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PROVE E FEDE

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«Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (At 14:22). Vedi anche Sal 22:24; Mc 10:30; 2Tm 2:3; 4:5.

I cristiani dovrebbero sempre ricordare che la vita porta patimenti (Atti 14:22). In proposito, il libro di Giobbe, opera splendida che tratta della sofferenza (soprattutto quella del giusto), può conferire conforto e incoraggiamento. Tuttavia, non solo la Parola di Dio offre soluzioni al tema, ma anche la filosofia di questo mondo. Dispiace che talora i credenti seguano i pensieri e la filosofia del mondo, mettendo da parte la sapienza e i consigli provenienti da Dio. Bisogna dire che nessun argomento pare così delicato come quello sul male e sulla sua presenza nel mondo. Da parte di chi non crede accade spesso, in occasioni tristi o luttuose, che si tenda a dare a Dio la colpa di quanto accaduto, e sinceramente duole che ciò accada (ci si ricorda, spesso negativamente, di Dio soltanto nel dolore). La Parola di Dio dice: «nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore! In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto» (Gb 1:21-22).

Veniamo ora brevemente proprio a Giobbe, al nostro amico. Difatti, Giobbe non è ebreo (la terra di Uz rimane un enigma geografico), e quindi il problema che egli affronta si attaglia a tutti. Giobbe, ricco signore orientale, sebbene sia perfetto, integro, giusto, timoroso di Dio e distante dal male, finisce per perdere tutto e tutti (tranne l’invadente e blasfema moglie). Da ricco signore qual era, si ritrova a dimorare in mezzo all’immondizia, colpito da una piaga che lo pervade dalla testa ai piedi. Perché è successo questo? I tre amici che accorrono per consolarlo insistono su di un punto fondamentale, tipico della mentalità orientale: «Il giusto non soffre; se sei in queste condizioni, hai peccato. Riconosci il male fatto!». Giobbe, viceversa, ribadisce di sentirsi libero da colpe e chiede a Dio di rispondergli, di spiegargli, di fargli capire. L’agognato colloquio infine avviene, e Giobbe ne esce rinfrancato. Il giusto sofferente accetta per fede l’insindacabile giudizio divino. La pazienza di Giobbe è nella fede, che lo porta poi a ricevere tante benedizioni quante ne aveva perse ingiustamente.

La vita reca dunque gioie e dolori (spesso più dolori che gioie. Infatti, chi può ritenersi davvero soddisfatto in questa vita? Chi può dire di non aver mai sofferto?), sottoponendo gli uomini di Dio alla prova della fede. La fede! Quant’è importante per i cristiani! La nostra fede è fatta solo di parole, oppure anche di fatti? Ebbene, per sopportare le prove della vita occorre fede. Molta fede in Dio e in Gesù Cristo.

 

SCOPO DELLE PROVE

In primo luogo, darci la necessaria umiltà (2Cor 12:7). Come la pazienza, così l’umiltà è una delle splendide doti di Cristo (Fil 2:1ss), e deve essere anche la nostra dote per eccellenza. L’uomo non deve mai dimenticare chi è, da dove è stato tratto e dove va. Egli è mortale, derivante dalla polvere e destinato alla polvere. Tutti noi, ricchi e poveri, belli e brutti, importanti o meschini, apparteniamo per natura a quella terra dalla quale siamo stati tratti. Solo la fede in Cristo Gesù può conferirci la redenzione e darci la vita eterna che va oltre il nostro limite terreno. Come dice l’apostolo Paolo, la nostra cittadinanza è nei cieli, dai quali aspettiamo il ritorno del Signore (Fil 3:20s). Bisogna essere umili come si conviene a figli di Dio redenti dal sangue di Cristo.

In secondo luogo, provare la nostra fede (1Pt 1:7). Troppo spesso il credente non unisce i fatti alle parole e alla verità (1Gv 3:18). Il cristiano deve splendere quale fiaccola di Dio sempre, ma soprattutto nei momenti terribili recati dall’esperienza individuale e comunitaria. Se siamo veri credenti, capiterà senz’altro il momento in cui dovremo ergerci a difesa della Parola e della Chiesa. Allora, si vedrà realmente di che pasta siamo fatti.

In terzo luogo, perfezionare la nostra pazienza (Rm 5:3; Gc 1:3). Si rivela inutile lasciarsi andare, quando siamo sottoposti alla prova. Occorre pazienza, dedizione, preghiera … Pensiamo al comportamento di Gesù.

In quarto luogo, saggiare, stimare la nostra forza (1Pt 4:12). Il discorso è sempre il medesimo: è proprio nel duro momento della prova che la nostra forza deve risaltare; certo, non la forza nostra, ma quella che il Signore concede nella circostanza (vedi il fondamentale brano di 1Cor 10:13). Nessuna prova è insuperabile per il credente che ami Dio e le Sue promesse.

 

DURANTE LA PROVA IL CRISTIANO DEVE

Gioire (Mt 5:12) – Il mondo dice che la difficoltà produce nervosismo e tensione senza fine; lo Spirito Santo, invece, ci fa sapere che dobbiamo gioire nel Signore.

Pregare (At 16:25) – La preghiera serve sempre; tanto più nei momenti delicati della nostra povera vita.

Cantare (Gc 5:13) – La lode cantata rinfranca l’animo del credente e lo spinge su vette altissime, insieme con la preghiera.

Operare (1Pt 4:19) – Non dobbiamo mai lasciarci abbattere. Alla prova o sofferenza, dobbiamo immediatamente unire la fattiva e laboriosa opera nell’evangelizzazione e nella testimonianza.

 

LE PROMESSE DIVINE A CHI SUPERA LA PROVA

Grazia (2Cor 12:9) – La grazia o dono gratuito di Dio deve bastarci. Gli uomini privi dello spirito di Dio cercheranno il miracolo, la guarigione a tutti i costi. Paolo era malato; pregò il Signore e questi rispose che la grazia sua doveva bastargli. Questo vale anche per noi. Il miracolo non serve più; occorre il ravvedimento costante (Lc 13:1ss) e la fede in Cristo.

Corona della vita (Gc 1:12) – È il simbolo stupendo della nostra vittoria in Cristo sul peccato e della conseguente vita eterna con Dio.

Liberazione (Sal 34:7) – Liberi, finalmente liberi, dal male, dall’orrore della violenza. Liberi con Dio, per avere la sua presenza.

Benedizione eterna (Ap 7:13-17) – Nessuna benedizione dell’uomo è paragonabile a quelle che può dare Dio.

 

Arrigo Corazza