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IL FASCINO DELL’ANTICO TESTAMENTO

19 settembre 2021

 

Presentiamo qui un breve studio sull’A.T. scritto agli inizi degli anni Ottanta per i membri della Chiesa di Cristo. Riadattato nel 2003, non è mai stato rivisto alla luce di nuove acquisizioni scientifiche. Riteniamo tuttavia che possa ancora risultare utile e spingere, eventualmente, verso ulteriori approfondimenti in altra sede.

 

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Dall’introduzione del 1° novembre 2003

Le pagine che seguono sono solo un riadattamento di materiale scritto circa un quarto di secolo fa per la rivista “Sentieri Diritti”, edita da mio padre Alessandro. Da allora la ricerca storica sul Vicino Oriente antico ha fatto passi da giganti, grazie soprattutto a nuove scoperte archeologiche. Pertanto, il materiale che qui presento ha solo valore di massima. A livello universitario, la migliore esposizione della storia del Vicino Oriente antico rimane quella di Mario Liverani, Antico Oriente. Storia, economia, società, Editori Laterza, Roma-Bari 1988. Professore all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Mario Liverani (Roma, 1939), mio docente dei bei tempi andati, non è credente. Lo si avverte sia nella trattazione su Israele in Antico Oriente, sia nel suo recentissimo lavoro Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Editori Laterza, Roma-Bari 2003. Il cristiano sa trarre le cose migliori in ogni circostanza. Il che vale anche nei due casi citati: a fronte di una valutazione puramente scientifica della storia d’Israele, che si rivela incompatibile con la fede di chi crede nell’ispirazione della Bibbia, le due opere di Liverani sono davvero esemplari e raccomandabili per molti altri motivi.

Per la nostra analisi occorre ovviamente rifarsi ad un atlante. Per quanto concerne la Bibbia e il contesto vicino-orientale, ne esistono parecchi, più o meno scientifici, più o meno voluminosi, più o meno economici. Per i nostri modesti scopi basterà fare riferimento all’utile e agile libretto di Giacomo Perego, Atlante didattico della Bibbia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2000.

 

Arrigo Corazza

Pisa, 1° novembre 2003

 

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SOMMARIO

 

INTRODUZIONE

 

CAPITOLO 1 ASPETTI GEOGRAFICI

1.1. La geografia del Vicino Oriente antico

1.2. La geografia della Palestina

 

CAPITOLO 2 LA STORIA DEL VICINO ORIENTE ANTICO

2.1. Introduzione

2.2. La tavola delle nazioni secondo Genesi 10

2.3. Sumeri, Accadi, Egiziani

2.4. Babilonesi, Popoli del Mare (Filistei), Assiri, Persiani

 

CAPITOLO 3 I POPOLI SEMITICI

3.1. Le genti semitiche

3.2. La famiglia e la tribù

3.3. Le leggi dell’ospitalità

3.4. La legge del taglione

3.5. Le lingue semitiche

3.6. La lingua ebraica e l’aramaico

 

CAPITOLO 4 LA STORIA D’ISRAELE

4.1. Introduzione

4.2. Le fonti

4.3. Definizione di termini

4.4. Cronologia della storia d’Israele

4.5. Possibile suddivisione della storia d’Israele

4.6. Dalle origini alla conquista di Canaan

4.7. I Giudici

4.8. Il Regno unito

4.9. Il Regno d’Israele

4.10. Il Regno di Giuda

4.11. Il ritorno dall’esilio: il giudaismo

4.12. I tempi del N.T.: «la pienezza del tempo» (Gal 4:4)

 

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INTRODUZIONE

Questa breve e semplice serie di studi ha l’unico e modesto obiettivo di descrivere alcuni aspetti della geografia e della storia del Vicino Oriente antico in generale e della Terra d’Israele in particolare. E ciò per consentire al credente di comprendere più accuratamente le Sacre Scritture, che annunziano il progetto salvifico di Dio nel tempo e nello spazio — nella storia, insomma. Dunque, la Parola di Dio nella storia umana o, se si preferisce, la Bibbia e la storia. Ora, in genere, Bibbia e storia fanno accapponare la pelle alla maggior parte degli Italiani, per i quali si tratta di due ossi davvero duri da rodere. Vediamo perché.

Quanto alla Bibbia, nella società italiana essa è praticamente sconosciuta, nonostante i lodevoli tentativi compiuti dal vertice cattolico dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965). Perché la Bibbia è sconosciuta? Per un’antica e ben radicata tradizione che si potrebbe provocatoriamente riassumere nel sinistro titolo del saggio della storica Gigliola Fragnito: La Bibbia al rogo, il Mulino, Bologna 1997. Se la Bibbia è trascurata, allora che cosa dire dell’Antico Testamento (d’ora innanzi: A.T.)? Siamo davvero costretti a raschiare il fondo del barile: non se ne sa proprio nulla. Un esempio significativo? Nella mia esperienza d’insegnante (Storia e Filosofia nelle scuole superiori: classico, scientifico e magistrale) ho notato più volte ignoranza, da parte degli studenti, nel determinare se Mosè sia nato prima o dopo Cristo. Non sto scherzando. Alle mie più che motivate rimostranze, si replicava — specie tra i maturandi, i futuri universitari che escono dal classico e dallo scientifico, in prospettiva dunque la classe dirigente di domani — che la domanda non era nel programma … Però! Quale forma mentis!

Quanto alla storia, è noto come a molti Italiani risulti antipatica, anche perché si ha il sospetto che venga insegnata male. La storia del Vicino Oriente antico, poi, è certamente meno trattata della storia greco-romana, che ci è più familiare per evidenti motivi culturali. Parlando da un punto di vista puramente educativo e sociale, l’ignoranza storica è forse l’aspetto più pericoloso e preoccupante della questione, perché coinvolge le nuove generazioni intaccandone conoscenze, valori ed interpretazioni. La maggior parte degli studenti non capisce perché mai si debba perdere così tanto tempo a studiare la ricostruzione di un passato oramai morto e sepolto. L’assenza di memoria storica genera, soprattutto a lunga gittata, una serie notevole di guai. È inutile, poi, lamentarsi dello sfascio della società.

Se si applica il concetto d’ignoranza alla storia religiosa del nostro Paese, occorre chiedersi ad esempio quale valore possano avere per la grande massa le sorprendenti e (apparentemente) tormentate confessioni da parte delle massime autorità cattoliche circa i molteplici ed evidenti crimini commessi per l’addietro da altrettanti insigni esponenti della Chiesa Romana. Nessun valore, perché la gente se ne infischia bellamente, non essendo stata abituata a discernere criticamente le cose del passato e del presente, cioè la realtà dell’uomo nel suo divenire. Certo, se è vero che la storia non è più maestra di vita (magistra vitae, come voleva il vecchio adagio ciceroniano [De oratore, 2,9,36]; lo dimostra la storia stessa, secondo cui l’uomo sembra non voler imparare dagli errori trascorsi), se è vero che la storia non si ripete mai (pure permanendo nell’animo umano similitudini sorprendenti nonostante le enormi variazioni temporali e geografiche), è altrettanto vero che la storia è comunque molto utile a comprendere come talune situazioni (specie d’indole religiosa) siano accuratamente da evitare e deplorare.

Prima di chiudere, cadono a proposito un paio di riflessioni sul valore che, per il cristiano, hanno tanto la storia del Vicino Oriente antico quanto l’A.T. Lo studio della storia del Vicino Oriente antico è indispensabile per capire la Bibbia. Facciamo un esempio: l’opera e gli scritti dei profeti dell’A.T ci sembrerebbero oscuri se non conoscessimo il contesto in cui essi ebbero ad agire, contesto dominato dapprima dagli Egiziani, poi dagli Assiri, dai Babilonesi e, infine, dai Persiani.

L’importanza dell’A.T. è fondamentale per il cristiano: senza l’A.T. non potremmo comprendere il Nuovo Patto, al quale siamo vincolati tramite la legge di Cristo (1Cor 9:21) che ha adempiuto quella mosaica (Mt 5:17; cfr. Col 2:14). L’A.T. c’informa sulla creazione, sulla caduta dell’uomo, sulla scelta da parte di Dio di una nazione eletta (Israele) attraverso la quale il cosiddetto “schema di redenzione” – predisposto addirittura prima della creazione – giunge a completarsi nella persona di Gesù, un Ebreo che i cristiani considerano Messia e Signore secondo le antiche profezie. In più occasioni lo stesso Gesù attribuì agli scritti veterotestamentari virtù speciali. In proposito basterà qui citare Giovanni 5:39: «Voi investigate le Scritture, perché pensate di aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me». Decine di profezie dell’A.T. puntano al Cristo, che è il vero tema della Bibbia. In Atti 8:35, ai primordi del cristianesimo, vediamo Filippo predicare Cristo all’illustre etiope eunuco facendo uso di un celebre annuncio di Isaia (53:7). V’è di più: gli eventi raccontati nell’A.T. costituiscono un ottimo esempio ed ammaestramento per i discepoli di Cristo, che si trovano nella fase finale della storia. Proprio per questa ragione furono scritti (1Cor 10:6,11; Rm 15:4).

Come già detto, anche se la legge mosaica è stata adempiuta in Cristo, nel cristiano deve comunque albergare un profondo senso d’amore e rispetto per questo segmento della Bibbia, poiché è Parola ispirata da Dio (2Tm 3:16-17; 2Pt 1:20-21).

 

CAPITOLO 1 – ASPETTI GEOGRAFICI

1.1. LA GEOGRAFIA DEL VICINO ORIENTE ANTICO

Lo scenario degli eventi che ci apprestiamo a narrare è una regione detta “Vicino Oriente”, tristemente nota in tempi recenti a causa di gravi sommovimenti di tipo politico. Situata alla confluenza di tre continenti (Asia, Africa, Europa), questa regione è costituita principalmente dall’Arabia, dall’Egitto, dalla Siria, dall’Anatolia (o Asia Minore), dall’Iran. A quanto pare, il Vicino Oriente antico fu una delle zone in cui le prime civiltà umane vennero a formarsi e le prime attestazioni storiche ebbero la loro origine.

Il perno centrale di tutta la regione è costituito dall’Arabia un’immensa distesa desertica che occupa gran parte del territorio. In quest’area l’elemento indispensabile, l’acqua, è limitato a poche oasi che consentono l’esistenza di minuscoli centri di vegetazione; vi regnano i beduini (“uomini del deserto”) — i nomadi per eccellenza. Con l’approssimarsi al Mar Rosso si nota un progressivo miglioramento così della vita come della vegetazione; si hanno, perciò, i centri abitati che caratterizzano la costa occidentale prospiciente il Mar Rosso. A sud-ovest, troviamo l’Egitto, terra che si identifica sostanzialmente con la fertilissima valle del Nilo, il lungo fiume che tutta l’attraversa. Il famoso storico greco Erodoto (circa 485-425 a.C.) definì appropriatamente l’Egitto come un dono del Nilo.

Procedendo verso nord, in direzione del Mar Mediterraneo, la Palestina (“Canaan”) e la Siria continuano la catena montuosa che circonda il deserto. La presenza dei fiumi (Oronte in Siria e Giordano in Palestina) conferisce alla regione una relativa prosperità: è la «terra promessa» assegnata da Dio agli Ebrei. Si susseguono foreste di pini, di cipressi e di cedri e fioriscono, sulla sponda occidentale del paese, i porti dai quali i Fenici salparono per fondare colonie nel Mediterraneo (la più celebre delle quali fu sicuramente Cartagine, acerrima nemica dei Romani nelle cosiddette “guerre puniche”: puni erano detti i discendenti dei Fenici).

In Asia Minore i vari altopiani e catene montuose (come il Tauro in Cilicia) si innestano a quei rilievi dell’Armenia, dove il monte Ararat rappresenta la cima principale con i suoi 5156 metri; in questa zona si arenò, secondo la tradizione biblica di Genesi 8:4, l’arca di Noè. L’immaginario circolo si chiude a est con l’altopiano iranico, di cui la catena dello Zagros rappresenta l’elemento di spicco.

Il deserto arabico si trova contenuto nei confini d’una regione straordinariamente fertile a causa dei fiumi che la percorrono: la Mesopotamia, o «terra tra i fiumi», secondo l’accezione greca. Il Tigri e l’Eufrate resero questo territorio fertile e ricco: vi fiorirono alcune antichissime culture e si formarono potenti imperi quali quelli degli Assiri e dei Babilonesi. Se uniamo idealmente le regioni mesopotamiche a quelle egiziane tramite la Siria e la Palestina, formiamo una sorta di semicerchio che viene comunemente chiamato la “mezzaluna fertile”, striscia di terra coltivabile dove l’insediamento umano, ovunque respinto dal deserto o dal mare, fu reso possibile.

1.2. LA GEOGRAFIA DELLA PALESTINA

Conoscere i lineamenti essenziali della geografia palestinese è indispensabile per meglio capire la storia del popolo d’Israele. La Siria e la Palestina, a causa della loro speciale collocazione all’interno della “mezzaluna fertile”, vennero spesso a trovarsi al centro dei conflitti creatisi fra i vari imperi per il controllo del Vicino Oriente. Situate sulla direttrice che congiunge l’Egitto al resto dell’Oriente, le due regioni soffrirono del continuo per i fatti bellici dell’intera area. È così che la storia della Palestina, e quindi del popolo israelita, è inscindibilmente legata a quella dell’Oriente antico. Se non per un breve sprazzo di potere, durante il regno di Davide e Salomone, registratosi in concomitanza con l’allentamento della pressione assira sull’intera area, il popolo ebraico fu sempre suddito di altre potenze. Ogni tensione tra i vari imperi che si contendevano il potere nel Vicino Oriente antico fu gravida di conseguenze per Israele.

Il termine “Palestina” deriva dall’ebraico pelèshet, “Filistia” (cioè “terra dei Filistei”, genti di origine cretese che abitavano la regione costiera mediterranea davanti alla Giudea). La Palestina è situata in una posizione centrale confinante a nord con la Siria, a ovest con il Mediterraneo, a est con il deserto, a sud con le steppe desertiche del Negev. Secondo la Bibbia, la terra degli Ebrei andava da Dan a Bersabea (Gdc 20:1; 1Sam 3:20). Si tratta di un paese molto piccolo, la cui superficie sfiora i 20000 kmq (di poco inferiore a quella della Sicilia). Era lunga circa 200 km da nord a sud, da Dan a Bersabea, cioè dai monti meridionali del Libano fino al deserto confinante con il Sinai e l’Egitto. Da ovest ad est, cioè dal mare al Giordano, aveva una larghezza di circa 80 km, a cui occorre aggiungere una fascia di circa 40 km in Transgiordania. Per essere così piccola, la Palestina presenta caratteristiche fisiche sorprendentemente diverse: la fascia costiera mediterranea è stretta, ma fertile; i monti centrali raggiungono altitudini elevate, come il Garizim (841 metri), ove sorse un tempio samaritano, e il monte degli Ulivi (812 metri); la fertile vallata del Giordano è famosa per la sua notevole depressione (la più profonda della terra: circa 400 m); la regione meridionale, quella della Giudea, si presenta arida e stepposa. Prima di chiudere, facciamo solo un breve cenno alle cinque denominazioni bibliche della Palestina: «terra di Canaan» (Es 15:15), «terra d’Israele» (1Sam 13:19), «terra santa» (Zc 2:16), «terra promessa» (Eb 11:9), «Giudea» (Lc 1:5; At 10:37)

 

CAPITOLO 2 – LA STORIA DEL VICINO ORIENTE ANTICO

2.1. INTRODUZIONE

Come abbiamo già detto, per comprendere come si conviene tanto la storia d’Israele quanto l’A.T. è necessario avere conoscenza del contesto storico vicino-orientale. Israele non è nato e non si è sviluppato in un compartimento stagno, ma in un ambito ben preciso, sedimentato da millenni. Addirittura, alcuni popoli ricordati nell’A.T. (Egiziani, Assiri, Babilonesi) avevano stabilito imperi che si erano scambiati, in epoche diverse, l’egemonia della regione. Quando nel secondo millennio a.C Israele nasce come nazione, nel Vicino Oriente si riscontra una situazione politica ben definita, che nei suoi mutamenti genererà pesanti conseguenze per gli Ebrei. Qui di seguito tracceremo una breve storia dell’Oriente antico dal III millennio a.C. all’epoca persiana (V sec. a.C.).

2.2. LA TAVOLA DELLE NAZIONI SECONDO GENESI 10

Visto che più avanti parleremo spesso di popoli “semitici”, “camitici” e “indoeuropei”, guardiamo al frazionamento delle nazioni descritto in Genesi 10. In questo capitolo si fanno risalire le origini del genere umano, distrutto dal diluvio, ai tre figli di Noè: Sem, Cam, e Jafet, capostipiti di una serie di popoli che vengono comunemente indicati come “semitici”, “camitici” e “giafetici” (o “indoeuropei”, “ariani”).

I popoli semitici si stabilirono in Mesopotamia con diramazioni in Arabia e in Persia; tra di essi vanno annoverati gli Ebrei, gli Assiro-Babilonesi, gli Arabi e via dicendo. I camitici si diressero verso l’Egitto, l’Arabia, l’Africa e la costa orientale mediterranea. I giafetici sembra abbiano occupato la costa europea del Mediterraneo sino alla Persia. È stato ormai chiarito scientificamente che la divisione di Genesi 10 non ha nulla a che spartire con le “razze”, ma solo con famiglie e lingue.

2.3. SUMERI, ACCADI, EGIZIANI

A quanto pare, la storia (vale a dire la ricostruzione dei fatti nel tempo e nello spazio, possibile solo in presenza di fonti interpretabili) comincia in Mesopotamia nel III millennio a.C., mostrando l’esistenza di una civiltà assai sviluppata sotto molteplici aspetti: quella dei Sumeri.

— I SUMERI (3000-2350 a.C.). Questa popolazione di origine sconosciuta si stabilì nella parte meridionale della Mesopotamia (Sumer), dando vita a una rigogliosa cultura che fu alla base delle civiltà mesopotamiche posteriori. Il territorio era organizzato in un sistema di città-stato rette da sovrani/sacerdoti (en, ensi o lugal) considerati i rappresentanti terreni del dio protettore della città. I Sumeri erano politeisti naturistici, veneravano cioè le grandi forze dell’universo da cui dipendeva la fertilità della terra. Impressero un’influenza decisiva sulla cultura assiro-babilonese, introducendo la cosiddetta “scrittura cuneiforme” (che consiste nell’incidere con uno stilo appuntito tavolette d’argilla ancora fresche; il carattere impresso nell’argilla aveva la forma di un cuneo) e leggi scritte, meritando così di essere annoverati fra i creatori del diritto.

— GLI ACCADI. Nel 2350 a.C. i Sumeri soccombono sotto la pressione degli Accadi, popolo di lingua semitica proveniente forse dal deserto arabo, guidati dal sovrano Sargon che, dopo aver stabilito la capitale nella città di Akkad, fonda uno dei primi imperi della storia. Con gli Accadi il potere non resta limitato alla città-stato, bensì s’allarga fino al mar Mediterraneo e all’Anatolia. Ma il potere di Sargon e della sua dinastia dura appena due secoli, dovendo cedere il passo ai Gutei («draghi della montagna»), selvagge e bellicose tribù provenienti dai vicini monti Zagros. Ma lasciamo per un momento la storia mesopotamica e occupiamoci ora di un’altra civiltà straordinariamente importante: quella egiziana.

— GLI EGIZIANI. Popolo di stirpe camitica, si stanziarono nella regione africana confinante a nord con il Mediterraneo, a est con il Mar Rosso, a sud con l’Etiopia e a ovest con il deserto libico. Il loro territorio, percorso dal Nilo, era suddiviso in Alto e Basso Egitto (zona del Delta). Grazie a Manetone, un dotto sacerdote che scrisse intorno al 280 a.C. una storia del suo popolo, siamo in grado di ricostruire abbastanza fedelmente le vicende egiziane. Sarà sufficiente dire in questa sede che la storia egiziana suole dividersi in quattro periodi, durante i quali ben trenta dinastie faraoniche si susseguirono (dal 3000 al 525 a.C),

Particolarmente interessanti appaiono gli avvenimenti che hanno luogo durante la XIV dinastia (1730 circa) e che vedono protagonisti gli Hyksos («capi dei paesi stranieri»), tribù probabilmente semitiche, le quali introducono il cavallo e il carro da guerra, fin allora sconosciuto agli Egizi. Gli Hyksos, dopo circa un secolo e mezzo di sottomissione, saranno scacciati dagli Egiziani (1580). Alcuni studiosi hanno pensato di assegnare a questo periodo la migrazione in Egitto di Giacobbe e dei suoi figli per via della simpatia con la quale i sovrani hyksos avrebbero consentito agli Ebrei, semiti come loro, di dimorare in Egitto; sarebbe comprensibile, allora, una volta scacciati gli odiati invasori, la ritorsione da parte degli Egizi verso gli Israeliti.

Gli Egiziani svilupparono, a motivo del loro territorio circoscritto da deserti e dal mare, una cultura chiusa ma senza dubbio florida; soltanto verso la metà del II millennio a.C., dopo aver scacciato gli Hyksos, mostrarono una tendenza imperialistica, conquistando la Cilicia, la Siria e la Palestina. Il faraone («signore della grande casa»), considerato un vero e proprio dio, stava a capo del popolo che era diviso in tre classi: i sacerdoti, i nobili (o guerrieri) e il popolino. Come ben sappiamo, l’arte egizia raggiunse vertici altissimi: ne offrono magnifica testimonianza le piramidi, gli obelischi sparsi in molti paesi del mondo e le maestose statue faraoniche.

La scrittura egiziana si sviluppò nel tempo. Se ne conoscono quattro fasi: dalla geroglifica (“[segno] sacro inciso”) si passa alla ieratica (“sacra”) e alla demotica (“popolare”) per sfociare infine, dopo il cristianesimo, nel copto (dall’arabo quf, risalente al greco Aigyptos, “egizio”).

2.4. BABILONESI, POPOLI DEL MARE (FILISTEI), ASSIRI, PERSIANI

Tornando in Mesopotamia, notiamo come l’invasione dei Gutei scuota il torpore delle città numeriche, che prendono forza e si ribellano conquistando il potere verso il 2000 a.C. Per i Sumeri, guidati da Gudea di Lagash, è il canto del cigno: altre popolazioni semitiche provenienti dal deserto della Siria, gli Amorrei (“occidentali”), s’impossessano del potere. In questo periodo, ben documentato dai ritrovamenti archeologici di Mari (città sull’Eufrate), si registra la formazione di vari stati, tra cui emergono la stessa Mari, l’Assiria e Babilonia. La quale, sotto la guida del celebre sovrano Hammurabi, diventa la potenza egemone in Mesopotamia.

— I BABILONESI. Hammurabi regna per circa quarant’anni (1792-1750 a.C.), dando origine ad un vasto impero che, con capitale Babilonia, si estende dal Golfo Persico all’Assiria, fino a raggiungere la Siria. È un periodo molto florido in cui l’Impero babilonese si compatta nell’unità, nella potenza, nell’economia e nell’amministrazione della legge. Proprio per quest’ultima caratteristica il re resterà famoso nei secoli a venire: nel 1901-1902 una missione archeologica francese scopre a Susa (Elam), una stele (pietra su cui venivano scolpite immagini o iscrizioni) di diorite alta oltre due metri, sulla quale è redatto in lingua accadica un codice di leggi a lui attribuite. Interessanti paragoni sono stati formulati tra il codice di Hammurabi e la legge di Mosè per alcune affinità riguardanti la definizione dei delitti e la determinazione delle pene. Dopo Hammurabi e la sua dinastia comincia la decadenza dei Babilonesi, che cedono alla pressione di nuove genti (Ittiti, Hurriti, Cassiti) provenienti dagli altipiani anatolici e iraniani. Questi popoli di origine indoeuropea si affermano grazie anche all’introduzione di nuovi strumenti bellici quali il cavallo e il carro veloce.

— I POPOLI DEL MARE (FILISTEI). Verso il 1200 a.C. una moltitudine di persone proveniente dalla regione mediterranea invade per mare e per terra le regioni dell’Oriente alla ricerca di terre in cui stabilirsi. Tutto il sistema politico della zona ne risente durevolmente: ad esempio, il regno ittita viene distrutto, mentre gli Egiziani faticano assai a contenere l’ondata migratoria che tenta di penetrare in Egitto e in Palestina. I Filistei, uno dei più importanti «popoli del mare», compaiono e si stanziano nella parte meridionale della pianura costiera palestinese, costituendo nel tempo cinque piccoli stati (“pentapoli”) indipendenti nelle città di Gaza, Ascalon, Asdod, Ecron e Gat. Secondo la Bibbia (Am 9:7; Ger 47:4), i Filistei provenivano da Caftor (Creta). Furono chiamati gli “incirconcisi” per antonomasia. I Filistei, che pare avessero instaurato il monopolio della lavorazione del ferro, furono accaniti avversari degli Ebrei.

— GLI ASSIRI. Dal 1300 a.C. in poi, un’altra potenza s’affaccia in Oriente, mostrando le proprie velleità: si tratta dei semiti Assiri, lungamente assoggettati nel passato dai Babilonesi. Grazie a Tiglatpilèser I (1115-1075 a.C.) il loro dominio si estende dal Golfo Persico fino alle sponde del Mediterraneo. La macchina bellica assira, straordinariamente efficace, è molto temuta dalle città orientali per i crudeli metodi praticati. Gli Assiri introducono l’usanza di deportare in altre regioni i popoli vinti allo scopo di spezzarne l’unità nazionale. Nell’883 a.C., dopo un periodo di decadenza, il fiero Assurnasirpal II (883-859 a.C.) riprende il programma espansionista con la medesima crudeltà dei suoi predecessori.

In quest’epoca il regno d’Israele (capitale: Samaria), costituitosi dopo la morte di Salomone nella parte settentrionale della Palestina, è costretto a pagare tributi ai nemici. Appartiene a questo periodo il celebre obelisco nero di Shalmanassar III (British Museum, Londra), nel quale ricorre l’unica immagine ritrovata finora di un re ebreo (Jehu) prostrato ai piedi del sovrano assiro. Alla fine, nel 722, gli Assiri, guidati da Sargon II, catturano Samaria, deportando gran parte della popolazione e stabilendo nuove genti nel territorio conquistato; tali popoli si fonderanno con gli Ebrei rimasti, formando la stirpe ibrida dei Samaritani, aborrita dagli Ebrei (2Re 17:4-24).

Anche il regno di Giuda (capitale: Gerusalemme), situato nella parte meridionale della Palestina, è costretto a pagare pesanti tributi agli Assiri. Lentamente il predominio di questo crudele popolo comincia a scemare: dopo gli ultimi sprazzi di grande potenza con Esarhaddon (680-669) e con Assurbanipal IIl (668-631), che riescono persino ad assoggettare l’Egitto, arriva la fine: nel 612 a.C. Ninive, la capitale dell’Impero assiro, cade nelle mani dei Medi e dei Babilonesi. Dopo la presa di Ninive, i Babilonesi assurgono al ruolo di potenza dominante sotto la guida dell’energico sovrano Nabucodonosor (Nebucadnetsar, nella Bibbia ebraica: 605-562 a.C). È un’epoca di eccezionale potenza per il risorto impero babilonese: nel 606 un primo gruppo di Ebrei viene deportato a Babilonia; nel 586 Gerusalemme viene rasa al suolo e il Tempio salomonico dato alle fiamme. È l’inizio dell’aspra “cattività babilonese” che durerà, secondo la profezia di Geremia (29:10), ben settant’anni. Infatti i Babilonesi, attaccati nella regione orientale dai Persiani guidati da Ciro il Grande, cadono in una crisi profonda dalla quale non si risolleveranno più: nel 539 a.C. Babilonia passa nelle mani persiane e con essa tramonta definitivamente la gloriosa e millenaria civiltà mesopotamica.

— I PERSIANI (539-533 a.C.). I Persiani trattarono benevolmente i popoli conquistati permettendo loro di ripristinare le antiche consuetudini religiose. Così, dopo la promulgazione del famoso Editto di Ciro (Esd 1), gli Ebrei possono ritornare nella “terra promessa” e ricostruire a Gerusalemme sia il Tempio (515 a.C.) sia le mura (444 a.C.). L’Impero persiano fu in seguito debellato dai Macedoni di Alessandro Magno (356-323 a.C.).

 

CAPITOLO 3 – I POPOLI SEMITICI

3.1. LE GENTI SEMITICHE

Abbiamo già visto come in Genesi 10 appaia una serie di popoli che derivano la loro origine dai tre figli di Noè: Sem, Cam e Jafet. Un’attenzione particolare merita il gruppo semitico che include, tra gli altri, i seguenti popoli: Ebrei, Assiri e Babilonesi, Aramei, Arabi. Le genti semitiche hanno avuto origine, secondo le conclusioni degli specialisti, nel deserto e nella vita nomade. In altre parole, questi popoli si sarebbero irradiati dalle zone desertiche d’origine in quelle a cultura sedentaria dopo una lenta ma costante infiltrazione, conservando o abbandonando, secondo i casi, le loro identità culturali.

Gran parte del Vicino Oriente è occupata dal deserto che è circoscritto da territori come “la mezzaluna fertile”, dove le condizioni di vita, per la presenza di corsi d’acqua, migliorano notevolmente. Per “deserto” s’intende un’estensione di terreno privo d’acqua, quasi disabitato e notoriamente assai avaro nel procurare all’uomo gli elementi necessari alla sopravvivenza. Non essendo la vita del deserto sostanzialmente cambiata da diversi millenni a questa parte, sembra possibile studiare oggi le condizioni di vita dei popoli che li abitano e determinare quali fossero quelle peculiari degli antichi semiti. Una forte riserva contro tale fruttifero parallelo è data dall’impossibilità di datare con sicurezza l’introduzione, in forma stabile e addomesticata, del cammello, certo indispensabile per far fronte alla “vita desertica”. Se ne apprezzano la resistenza (può portare sul dorso fino a 200 chili, per giorni, percorrendo anche 40 km al giorno), la limitata necessità di bere, la fornitura all’uomo di carne, latte e pelo (2Re 1:8). Sembra sia stato introdotto soltanto verso il 1500 a.C., il che induce a riconsiderare alcune teorie riguardanti la storia delle antiche genti semitiche, che ebbero forse caratteristiche quasi esclusivamente semi-nomadi.

È opportuno a questo punto distinguere tra nomadismo vero e proprio e semi-nomadismo. Per “nomadismo” s’intende un sistema di vita che, a causa delle necessità legate alla vita desertica, rifiuta l’insediamento stabile nelle zone sedentarie. I nomadi, dediti quasi esclusivamente all’allevamento del bestiame, sono condizionati dalla presenza dell’acqua che, essendo altamente scarsa ma allo stesso tempo indispensabile, determina gli spostamenti. Il vero nomade, il beduino, abita le regioni propriamente desertiche dove la pioggia si limita a meno di 10 cm annui; inoltre, è un allevatore di cammelli, è soggetto a migrazioni abbastanza lunghe e ha scarsissimi contatti con le popolazioni sedentarie. Il nomade che alleva invece il gregge minuto (montoni, capre) gravita intorno alle zone desertiche dove la precipitazione annua varia dai 10 ai 25 cm e, a motivo della minore resistenza dei suoi animali, è costretto a rifornirsi più frequentemente d’acqua e così si trova ad avere considerevoli rapporti con i paesi a cultura sedentaria nei cui limiti territoriali pascola le greggi. Il nomade che sostituisce all’allevamento degli ovini quello dei bovini, cominciando così a lavorare la terra ottenuta nella zona sedentaria, cessa di essere praticamente tale trasformandosi in sedentario. In conclusione, dopo l’addomesticamento del cammello, la vera vita nomade si svolge molto all’interno del deserto, vicino alle fonti d’acqua, evitando di toccare la periferia delle regioni a cultura sedentaria. I semi-nomadi, di conseguenza, costituiscono il tessuto di connessione tra i nomadi e i sedentari.

Gli Ebrei e i loro antenati non furono mai beduini, ma piuttosto allevatori di bestiame minuto. Pur vivendo solamente per un limitato periodo di tempo una vita nomade o seminomade, conservarono talune strutture sociali caratteristiche della vita desertica, quali l’organizzazione tribale, le leggi dell’ospitalità e del taglione, cioè della vendetta del sangue.

3.2. LA FAMIGLIA E LA TRIBÙ

La società del deserto riconosce nella famiglia il suo elemento più importante. In genere l’autorità suprema risiede nel padre (patriarcato). La discendenza avviene in linea paterna e i figli, contraendo matrimonio, portano le loro mogli nella famiglia aumentandone il numero. Il matrimonio ha carattere poligamico, che però non trova terreno favorevole a motivo delle dure condizioni di vita le quali limitano la possibilità di mantenere più mogli. Le spose, in genere, sono scelte tra il parentado; caratteristico esempio di tale costume è l’episodio che vede protagonista Abramo, il quale invia il fidato servo Eliezer a cercare una consanguinea da dare in moglie ad Isacco (Gn 24).

La tribù è costituita da una serie di famiglie legate da vincoli di sangue comune. Il nome o soprannome del capofamiglia, preceduto o no da “figlio di” o “casa di”, viene ad essere applicato alla tribù. Le genti che compongono la tribù vivono insieme, spostandosi e sostando nel deserto. Esse sono permeate di un profondo senso di solidarietà comune in caso di attacco o d’offesa arrecata a uno dei suoi membri. Nella tribù l’autorità è esercitata da un consiglio di anziani che elegge un capo. Questi, secondo il costume delle antiche civiltà semitiche, amministra la giustizia quando qualcuno lo richieda.

3.3. LE LEGGI DELL’OSPITALITÀ

L’ospitalità è una delle virtù maggiormente apprezzate tra i nomadi. L’ospite è sacro e viene trattato con i migliori riguardi. L’ospitante lo eleva a padrone di casa e gli fornisce ospitalità fino a tre giorni durante i quali si fa garante della sua personale incolumità. Addirittura, una volta partito, il visitatore può godere della protezione finché, secondo il pensiero di alcune tribù, «il sale che ha mangiato sia uscito dal suo ventre».

L’A.T. ci fa capire quanto l’ospitalità fosse tenuta in considerazione: Abramo riceve i tre “uomini” (Gn 18:1-8); gli angeli sono accolti da Lot a Sodoma (Gn 19:1-8); il delitto compiuto dagli abitanti di Ghibea (Gdc 19:24-25). Lot e l’anziano di Ghibea giungono al punto di sacrificare l’onore delle proprie figlie pur di proteggere i loro ospiti (Gn 19:8; Gdc 19:23).

3.4. LA LEGGE DEL TAGLIONE (dal lat. talioonis, dagli studiosi raccostato a talis «tale», quasi a dire «pena altrettale»)

Il vincolo del sangue crea una forte solidarietà tra i membri della tribù, sicché l’onore e il disonore di un membro si ripercuotono sull’intero clan. Se uno dei suoi membri viene ucciso, allora si reclama la vita dell’omicida: Ioab abbatte Abner per vendicare la morte del fratello Asael (2Sam 3:22-30).

Nella legislazione mosaica sono presenti le cosiddette “città di rifugio” (Nm 35:9-34; Dt 19:1-13), predisposte per accogliere l’omicida che abbia ucciso involontariamente. Mentre nell’organizzazione tribale araba è possibile riparare attraverso la compensazione in danaro, nella legge ebraica ciò non è contemplato perché il sangue versato ha profanato il paese in cui dimora il Signore Dio e può essere espiato solo uccidendo l’omicida (Nm 35:31-34).

3.5. LE LINGUE SEMITICHE

I vincoli che congiungono i popoli semitici appaiono ancora più evidenti quando si consideri l’elemento linguistico: le varie lingue sono talmente vicine tra loro da apparire dialetti formatisi da una matrice comune. LA.T. è stato scritto in ebraico e, per alcune sezioni (vedi sotto), in aramaico, due lingue semitiche assai vicine. È interessante, quindi, introdurre qui il concetto di “lingue semitiche”.

Per convenzione vengono definite “semitiche” un gruppo di lingue che presentano una serie di caratteri fonologici, morfologici e lessicali comuni. Il termine fu coniato nel 1781 dallo studioso tedesco A.L. Schlozer per designare, sulla base di Gn 10:21-31; 11:10,26, le lingue parlate dagli Aramei, dagli Assiri, dagli Ebrei, dagli Arabi e da altri popoli. Una volta introdotto nell’uso comune, quest’aggettivo fu in seguito applicato anche a lingue di recente scoperta (come l’ugaritico o l’eblaita) che non sono riscontrabili in Genesi 10.

Le lingue semitiche sono attestate nelle seguenti regioni del Vicino Oriente antico: Mesopotamia, Siria-Palestina, Arabia ed Etiopia. Sorge spontaneo classificarle in base a una distinzione geografica. Avremo così tre gruppi di lingue semitiche:

— semitico nord-orientale (Mesopotamia): accadico, che è la più antica lingua semitica conosciuta, e i suoi dialetti più importanti che sono l’assiro e il babilonese;

— semitico nord-occidentale (Siria-Palestina): cananeo, ebraico, fenicio, aramaico, ugaritico, eblaita;

— semitico sud-occidentale (Arabia ed Etiopia): arabo ed etiopico.

3.6. LA LINGUA EBRAICA E L’ARAMAICO

La Bibbia non parla di lingua ebraica, bensì della «lingua di Canaan» (Is 19:18) e della «lingua giudaica» (Is 36:13). In un certo senso l’ebraico rappresenta la continuazione della lingua di Canaan; oltre all’A.T., altri documenti antichi depongono a favore di questa tesi. L’ebraico che ci interessa è la lingua parlata dal popolo israelita a partire dalla conquista della terra di Canaan. L’A.T., che rappresenta il migliore esempio di letteratura ebraica, ci presenta un aspetto pressoché uniforme di questa lingua. L’ebraico è una lingua assai diversa dall’italiano. Rispetto all’italiano, le difficoltà dell’ebraico sono rappresentate dalla novità dell’alfabeto e dalla scrittura (e lettura, quindi) che procede da destra verso sinistra; dalla presenza di suoni inesistenti nella nostra parlata; dalla monotonia dei verbi dovuta al “trilitterismo” delle radici. I lati attraenti derivano dal lessico abbastanza limitato; dalla chiarezza e semplicità dell’espressione unite a una forte vivacità e a un intenso contenuto affettivo. Questa lingua riflette i sentimenti del popolo ebraico; studiarla ed apprezzarla, quindi, significa introdursi nell’ambiente semitico che l’ha prodotta, facilitando la comprensione dell’A.T. Per di più, gli scritti neotestamentari, sebbene redatti in greco, possono essere compresi più adeguatamente se si pensa che gli autori sacri provenivano dall’ambiente ebraico.

L’aramaico era solitamente parlato in Oriente specie durante la dominazione persiana, fungendo da lingua ufficiale nelle comunicazioni diplomatiche (un po’ come accadde per il francese nell’ottocento e per l’inglese dalla seconda metà del Novecento). In aramaico furono redatte soltanto alcune porzioni dellA.T. (Gn 31:47; Dn 2:4b-7:28; Esd 4-7; Gr 10:11). Nel N.T. appaiono alcuni aramaismi divenuti celebri: talitha qum («ragazza, alzati»: Mc 5:41); ephphatha («apriti»: Mc 7:34); eli eli lema sabachthani («Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato»: Mt 27:46; Mc 15:34; cfr. Sal 22:1); abba («Padre»: Mc 14:36; Rm 8:15; Gal 4:6); maranatha («Signore, vieni» o «il Signore viene» o «il Signore è venuto»: 1Cor 16:22).

 

CAPITOLO 4 – LA STORIA DISRAELE

4.1. INTRODUZIONE

Conoscere i momenti salienti della storia d’Israele è fondamentale per due motivi specifici. In primo luogo, Israele fu scelto da Dio come strumento di benedizione per tutti i popoli (Gn 12:1-3); così, «quando giunse la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato di donna, nato sotto la legge» (Gal 4:4), per adempiere la legge mosaica e per «mandare a effetto» il piano salvifico di Dio — piano preordinato da Dio ab aeterno (Ef 3:8-12): è in Cristo Gesù, infatti, che tutti i popoli della terra, senza distinzioni, sono stati riuniti. In secondo luogo, gli errori compiuti da Israele — tesoro particolare di Dio (vedi Es 19:5-6) — nei rapporti con l’Eterno servono ad educare il cristiano, come afferma Paolo in 1Cor 10:11 («queste cose avvennero loro per servire esempio e sono state scritte per ammonire noi, che ci troviamo nella fase conclusiva delle epoche») e in Rm 15:4 («mediante la pazienza e mediante la consolazione delle Scritture, noi riteniamo la speranza»).

Presenteremo qui di seguito, e solo per sommi capi, una storia del popolo ebraico dalle origini fino al 135 d.C., quando Gerusalemme, distrutta dai Romani, sarà ricostruita per ordine di Adriano con il nome di Aelia Capitolina e ai Giudei sarà vietato mettervi piede, pena la morte.

4.2. LE FONTI

L’Antico Testamento.

La storia può essere scritta solo in presenza di fonti che narrino avvenimenti, persone, luoghi. Della storia d’Israele l’A.T. costituisce la fonte principale (specialmente nei primi cinque libri [il Pentateuco], in Giosuè, nei Giudici, nei libri di Samuele, Re e Cronache) delineandone i tratti essenziali dalle origini fino al periodo persiano (400 a.C. circa). In proposito occorre rilevare che, per la prima volta nella letteratura dell’Oriente antico, ci troviamo di fronte a un’esposizione storica dettagliata, contenuta in interi libri e non nelle solite fonti isolate (iscrizioni di re, e via dicendo).

Documenti prodotti da popoli orientali.

L’archeologia biblica, in forte sviluppo dall’Ottocento, ha fornito interessantissime documentazioni delle epoche descritte nell’A.T. Se consideriamo che Israele fu legato da vicino alle vicende politiche del Vicino Oriente, allora è normale pensare a notizie relative ad Israele stesso riportate nelle iscrizioni di sovrani e annotazioni di popoli antico-orientali, quali quelle egiziane, assiro-babilonesi e persiane.

Giuseppe Flavio (37-100 d.c.).

Un’altra importante fonte è data dalle opere di Giuseppe Flavio, storiografo e personaggio politico ebreo, che preparò due opere basilari sul suo popolo: le Antichità giudaiche (in venti libri, che narrano accadimenti dalla creazione di Adamo fino all’insurrezione giudaica del 66 d.C.); La Guerra giudaica (che descrive l’ascesa al trono del sovrano macedone seleucide Antioco Epifane IV, la conseguente rivolta dei Maccabei e la storia degli Ebrei fino alla distruzione romana di Gerusalemme del 70 d.C., della quale Giuseppe Flavio stesso fu testimone e parte rilevante). Sul periodo dei Maccabei utili sono gli omonimi libri (che i cattolici inseriscono nell’A.T. considerandoli canonici, a differenza dei non-cattolici e degli Ebrei, che li respingono).

Il Nuovo Testamento.

Per il I sec. d.C., una delle fonti più rilevanti è ovviamente costituita dal Nuovo Testamento.

4.3. DEFINIZIONE DI TERMINI

Israele.

In Gn 32:24-32 ricorre un episodio abbastanza curioso: a Peniel, Giacobbe ingaggia una lotta con un “uomo”, che successivamente gli muterà il nome in Israele (“colui che lotta con Dio”). In seguito con “Israele” saranno indicati sia la stirpe di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, sia il regno formatosi alla morte di Salomone (931 a.C.) grazie all’unione di dieci tribù (quelle settentrionali) guidate da Geroboamo I. Il regno dIsraele crollerà nel 722 a.C., quando gli Assiri conquisteranno la capitale Samaria.

Ebrei (ibrì).

Appartenenti alla progenie di Eber, che fu discendente di Sem tramite Sela e antenato di Abramo (vedi Gn 10:21-25; 11:14,16,26). L’etimologia di ibrì è molto discussa: per alcuni significherebbe “di là da”, “passare”, “attraversare” (sicché “ebreo” sarebbe “uno dell’altra riva” del Giordano [Gs 1:15] o dell’Eufrate [Gs 24:2,3]; la Bibbia ci parla dell’origine mesopotamica di Abramo); per altri, invece, si collegherebbe a hab/piru, parola accadica presente in fonti vicino-orientali del II millennio a.C. (specie dei secoli XV-XII) per designare gruppi di sbandati, di fuorusciti che destavano parecchia preoccupazione; in questo senso sarebbero stati definiti i discendenti di Abramo, soprattutto dai Cananei.

Giuda.

Quarto figlio di Giacobbe e Lea. “Giuda” significa “lode del Signore” (Gn 29:35). Secondo la profezia di Giacobbe (Gn 49:8-13), la progenie di Giuda avrebbe ricevuto e mantenuto lo scettro e il bastone del comando, finché non fosse venuto «Colui che darà il riposo, e al quale ubbidiranno i popoli». Dalla tribù di Giuda provenne Gesù, il Cristo. Inoltre, “Giuda” indica il regno formatosi alla morte di Salomone (931 a.C.), con capitale Gerusalemme. Durerà fino al 587 a.C., anno della distruzione del Tempio da parte dei Babilonesi.

Giudaismo.

«Religione e istituzioni del popolo d’Israele che si costituiscono in forma definitiva sin dal tempo dell’esilio babilonese (VI sec. a.C.), quando Israele si trovò ridotto alla sola tribù di Giuda. Il giudaismo si compone di credenze e pratiche derivate dalla Bibbia e dalla tradizione che costituiscono il patrimonio comune di Farisei, Sadducei, Esseni e anche degli ambienti popolari» (E. Zolli, Giudaismo, in Enciclopedia Cattolica, VI, Roma 1951, coll. 695-703)

4.4. CRONOLOGIA DELLA STORIA D’ISRAELE

Prima del periodo di Salomone (950 a.C. circa) è difficile elaborare una cronologia attendibile della storia ebraica. La discesa e il soggiorno in Egitto, l’esodo degli Ebrei non possono essere datati con precisione; molte sono state le ipotesi suggerite dagli studiosi. Per quanto riguarda la data dell’esodo, due sono le ipotesi principali, sulla base delle tradizioni bibliche (che non ci danno il nome dei Faraoni coinvolti) ed extrabibliche: cronologia “lunga”: esodo nel 1445 a.C. circa; cronologia “corta”: esodo nel 1280 a.C. circa.

— CRONOLOGIA LUNGA (1445 a.C. CIRCA). Si basa essenzialmente sui seguenti dati biblici:

1Re 6:1. Nel quarto anno del regno di Salomone (966 a.C.), inizia la costruzione del Tempio, la quale cade 480 anni dopo l’uscita degli Ebrei dall’Egitto; quindi 966 sommato a 480 ci porta al 1446 a.C.

Esodo 12:40; Galati 3:16-17. Secondo queste indicazioni bibliche il patriarca Abramo sarebbe giunto in Palestina nel 1875 a.C. (intendendo che in Es 12:40 i 430 anni possano coprire l’intero soggiorno in Egitto, ad iniziare dalla discesa in Canaan di Abramo fino all’esodo). «I dati sui quali si basa questa ipotesi, sono troppo incerti … Le cifre date dalla Bibbia hanno un carattere troppo artificioso e schematico, ispirate come sono da intenti diversi da quelli dello storico moderno, così che su di essi non si può fondare una cronologia precisa» (Galbiati-Moraldi, Esodo, in Introduzione alla Bibbia, Vol. II/1, p. 223, Marietti, Torino 1969).

— CRONOLOGIA CORTA (1280 a.C. CIRCA). Ben si accorda non solo con i dati biblici e la storia egiziana, ma anche con dati biblici e i ritrovamenti archeologici in Palestina. Secondo la testimonianza di Es 1:11, gli Ebrei furono adibiti alla costruzione di Pithom e Raamses, che secondo la storia egiziana vennero edificate da Raamses II (1298-1232 a.C. circa). Inoltre, i ritrovamenti archeologici avvenuti in Palestina riguardanti città come Lachis, Eglon, Betel, Hazor, catturate dagli Israeliti al tempo della conquista della terra promessa, evidenziano una datazione da collocarsi nel XIII sec. a.C. In conclusione, l’esodo sarebbe avvenuto nel 1280 a.C. circa, e la conquista di Canaan nel 1240 a.C.; di conseguenza, Abramo sarebbe sceso in Palestina intorno al 1700 a.C. In questo studio sulla storia d’Israele adotteremo la cronologia corta.

4.5. POSSIBILE SUDDIVISIONE DELLA STORIA D’ISRAELE

  • Dalle origini alla conquista di Canaan (1800-1240 a.C. circa);
  • i Giudici (1200-1040 a.C.);
  • la monarchia; il regno unito (1040-931 a.C.);
  • la divisione del regno: Giuda e Israele (931 a.C);
  • fine del regno d’Israele (722 a.C.);
  • fine del regno di Giuda (587 a.C.);
  • il ritorno dall’esilio: il giudaismo (538 a.C.);
  • il periodo persiano (538-333 a.C.);
  • il periodo greco: Tolomei e Seleucidi (333-167 a.C.);
  • il periodo dei Maccabei e Asmonei (167-63 a.C.);
  • il periodo romano (63-66 d.C.);
  • le rivolte ebraiche e le distruzioni di Gerusalemme (66-135).

4.6. DALLE ORIGINI ALLA CONQUISTA DI CANAAN (1800-1240 a.C.)

Il popolo d’Israele trae le sue origini da Abramo, che, secondo Genesi 12, riceve l’ordine da Dio di abbandonare la sua patria (Ur dei Caldei, in Mesopotamia) e il parentado per recarsi nella terra promessa a lui e alla sua progenie. Il patriarca, sebbene avanti con gli anni — ha settantacinque anni —, ubbidisce, fiducioso nella potenza di Dio. Per questo egli è riconosciuto nella Scrittura come uno dei più fulgidi esempi di fede (Eb 11:8-19) e di attaccamento a Dio.

Abramo, arameo errante (Dt 26:5), cresciuto in un ambiente idolatra e politeista (cfr. Gs 24:2), conclude un patto con il Signore suggellandolo con la circoncisione, che è l’asportazione del prepuzio da farsi otto giorni dopo la nascita del neonato. Questa pratica, conosciuta anche da altri popoli antico-orientali e propizia per iniziare gli adolescenti al matrimonio, ebbe un carattere del tutto particolare per gli Israeliti a causa dell’aspetto religioso che la contraddistingueva, essendo il segno dell’appartenenza a Dio inciso alla radice della vita, ossia sul sesso maschile.

Abramo genera Isacco e Isacco Giacobbe, il cui nome verrà cambiato in Israele (“colui che lotta con Dio”) dopo la strana lotta sostenuta con un “uomo” a Peniel (Gn 32:24-32). Giacobbe/Israele e i suoi dodici figli, eponimi (cioè “portatori di nome”) delle tribù israelitiche, si stabiliscono nella terra di Canaan. Qui, a Sichem, Giuseppe, il favorito del vecchio Israele, viene venduto dai fratelli gelosi ad alcuni mercanti madianiti che, a loro volta, lo vendono a Potifar, ufficiale delle guardie faraoniche. Il giovane ebreo, grazie al suo straordinario carattere e alla sua fedeltà verso Dio che lo protegge e benedice, diventa il personaggio più importante d’Egitto dopo Faraone. È in grado, così, di aiutare la sua famiglia che, discesa da Canaan a causa della carestia, si insedia nel paese di Goscen, crescendo in numero e prosperità.

In prosieguo di tempo le cose si complicano per Israele: sale sul trono un nuovo Faraone che non riconosce più l’opera svolta dal buon Giuseppe. Assai preoccupato per la crescita demografica degli Ebrei, il Faraone li perseguita duramente. L’Iddio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, suscita tra loro un capo: Mosè. Cresciuto nel lusso della corte faraonica, ma consapevole di essere Ebreo, per difendere un altro Ebreo Mosè uccide un Egiziano ed è costretto a fuggire nel paese di Madian. In Madian incontra Sefora, figlia di Reuel-Ietro, sacerdote del luogo; la sposa e diventa pastore. Dio lo chiama, ottantenne, mentre si trova a pascolare il gregge sull’Oreb (Sinai); qui l’Onnipotente gli svela i propri piani, facendosi finalmente conoscere per Yhwh (pronuncia: Adonài, il Signore, forse «Io sono Colui che sono»: Es 3:12-14; 6:3).

Mosè e suo fratello Aaronne operano una serie di eccezionali prodigi che scuotono gli Egiziani; il Faraone, dopo la Pasqua di Dio, si decide a lasciar partire gli Ebrei, che escono dal paese d’Egitto «a mano levata» (Es 14:8). Il miracoloso passaggio del Mar Rosso pone termine alla schiavitù degli Israeliti, precisamente profetizzata dal Signore ad Abramo ben 430 anni prima (Gn 15:7-21; Gal 3:16).

Sul Sinai avviene l’impressionante teofania (“apparizione di Dio”): tuoni, lampi, una folta nuvola sul monte e un fortissimo suono di tromba che scuotono l’accampamento israelita (Es 19:16-25). È la preparazione alla concessione della legge che il Signore darà agli Ebrei. Mosè si reca sul monte dove riceve la Legge, in virtù della quale viene suggellato il patto fra Dio e Israele. Per “patto” s’intende un accordo tra due parti; nel caso del Sinai, l’alleanza è condizionata all’ubbidienza d’Israele verso Dio. Il patto è ratificato con il sangue dei vitelli e dei becchi, poiché «senza spargimento di sangue non c’è remissione» (Eb 9:18-22; Es 24:1-9). Così Israele diventa, tra tutti i popoli della terra, il tesoro particolare di Dio e un regno di sacerdoti — insomma, una nazione santa (Es 19:5).

Si procede all’organizzazione del culto: Dio dà ordine a Mosè di costruire il Tabernacolo, il santuario nel quale egli abiterà (Es 25:8); i Leviti Aaronne e i suoi figli — tutti appartenenti alla tribù di Levi — eserciteranno l’ufficio di sacerdoti in perpetuo, cioè fino all’avvento di Gesù Cristo, che è non solo il termine della legge mosaica (Rm 10:4), ma anche Sommo Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec (Eb 7), un ordine del tutto diverso da quello di Levi. Ma questo idilliaco rapporto è spesso violato da Israele. Dio punisce severamente il suo popolo. In proposito ricordiamo qui solo un fatto: Israele invia dodici spie (una per ogni tribù) nella terra di Canaan al fine di saggiare la forza dei suoi abitanti. Dopo un viaggio di quaranta giorni, le spie tornano formulando, ad eccezione di Giosuè e Caleb, parere negativo: non sarà possibile conquistare il paese. Dio, stanco di così poca fede, lo condanna a vagabondare nel deserto per quarant’anni, «un anno per ogni giorno». È così che tutti coloro, dai vent’anni in su, che avevano mormorato contro la sua maestà, non avrebbero mai visto la terra promessa, salvo Giosuè e Caleb (Nm 13 – 14).

Lo stesso Mosè, l’amico di Dio, uno tra i massimi personaggi della storia, «uomo mansueto, più d’ogni altro uomo sulla faccia della terra» (Nm 12:3), provato dai continui mormorii del popolo ribelle, pecca e viene condannato a non entrare in Canaan (Nm 20:1-13). Infatti, dalla cima del monte Nebo, il vecchio Mosè, a centoventi anni, può finalmente ammirare la terra tanto desiderata. La sua storia deve essere d’esempio al cristiano, per comprendere chiaramente che la «terra promessa», il paradiso, la mèta finale, la salvezza in Cristo, deve essere conquistata lottando contro il peccato fino all’ultimo momento di questa vita terrestre che costituisce il banco di prova a cui Dio lo ha destinato.

Giosuè, ereditato il difficile ruolo di condottiero, guida il popolo alla conquista di Canaan con rapide e improvvise puntate che seminano lo scompiglio tra i Cananei. Alla fine, Canaan cade nelle mani degli Israeliti, che la dividono tra le dodici tribù. È un buon periodo per il popolo di Dio: Giosuè, personaggio carismatico e fedele al Signore, influenza positivamente il popolo. Viene così ripristinata la pratica della circoncisione e l’osservanza della Pasqua, abbandonate da tempo. Commoventi appaiono le ultime esortazioni agli Israeliti del vecchio capo, pago delle benedizioni divine: il Signore non ha lasciato cadere alcuna delle sue parole; ha mantenuto le sue promesse, concedendo loro il paese. Soltanto se essi si cureranno di essere fedeli alle leggi divine, senza sviare né a destra né a sinistra, senza essere coinvolti nelle pratiche idolatriche dei popoli vicini, ne manterranno il possesso (Gs 23). Il Signore non è un Dio passivo, simile agli idoli pagani, ma efficiente, che dimostra la sua potenza e gloria nelle concrete esperienze del popolo eletto. Israele riceve in eredità la terra di Canaan, secondo la promessa rivolta al patriarca Abramo secoli prima.

4.7. I GIUDICI (1200-1040 a.C.)

Il periodo dei Giudici copre la storia d’Israele dalla conquista di Canaan all’inizio della monarchia. All’indomani della morte di Giosuè e della sua generazione, ne nasce un’altra «che non conosceva il Signore, né le opere ch’egli aveva compiute a favore d’Israele» (Gdc 2:10). È un momento di profondo decadimento politico e spirituale. La religione dei Cananei, tutta improntata sui culti della fertilità e sulla prostituzione sacra da dedicarsi ai principali idoli Baal (“Signore”) e Astarte (la “grande madre” dei Fenici e dei Cananei) attrae irresistibilmente il popolo eletto che, ben presto, abbandona Dio per darsi all’idolatria e, in taluni casi, per unirsi addirittura ai Cananei. Dal punto di vista politico la diversa configurazione geografica del paese appena conquistato favorisce lo sgretolamento dell’unità delle dodici tribù. Solo il patto con il Signore e la presenza a Silo dell’Arca dell’Alleanza (eretta nel deserto da Mosè e posta nel Tabernacolo quale simbolo della presenza di Dio) costituiscono gli elementi d’unione per l’intero popolo.

Di tale particolare situazione approfittano i numerosi popoli confinanti — Moabiti, Cananei, Madianiti, Ammoniti, Filistei – che esercitano in tempi diversi una notevole oppressione su Israele, favoriti dal fatto che Dio ha abbandonato il suo tesoro particolare, reo di aver dimenticato la potenza della sua grazia. Ma quando gli Ebrei, pentiti, invocano l’Eterno, egli interviene suscitando persone scelte per liberarli dagli oppressori: i Giudici. Ricordiamone solo alcuni: Debora; Gedeone, il quale sconfigge i Madianiti e si rifiuta di regnare su Israele; Iefte; Sansone, acerrimo nemico dei bellicosi e potenti Filistei. I Giudici hanno anche il potere di giudicare, ma questo è certo un aspetto secondario della loro attività.

Da ultimo occorre dire che è difficile fissare un’esatta cronologia del periodo, poiché alcuni Giudici governarono in diverse parti del paese nello stesso tempo. Comunque, basterà qui dire che la morte di Giosuè viene comunemente datata verso il 1200 mentre l’ascesa al trono di Saul dovrebbe porsi nel 1040 a.C. Il periodo dei Giudici durò poco meno di due secoli.

4.8. IL REGNO UNITO (1040-931 a.C.)

Il libro dei Giudici descrive la grave situazione in cui si trovava il popolo ebraico: «in quel tempo, non v’era re in Israele; ognuno faceva quel che gli pareva meglio» (21:25). Stretta da ogni lato da agguerriti nemici (Ammoniti, Amaleciti, Aramei, Filistei ed altri), la nazione eletta si trova di fronte alla necessità d’istituire la monarchia: le giudicature di Eli e di Samuele non hanno offerto valide garanzie, né la condotta scellerata dei loro figli ha contribuito ad alimentare le speranze popolari. Si avverte la necessità di avere un capo unico ed assoluto che, guidato da Dio, possa condurre Israele a scrollarsi di dosso il giogo dei nemici. In realtà, chiedere un re che amministri la giustizia, come accade per le altre nazioni, equivale a rifiutare il Dio che li aveva liberati per sempre dalla schiavitù egiziana (1Sam 8:5-21). In questa cornice s’inserisce a dovere la figura di Samuele, che fu giudice e profeta riconosciuto da Israele. Con lui il profetismo comincia a svilupparsi per realizzarsi pienamente nei secoli successivi.

Il primo re d’Israele è Saul, figlio di Chis, della tribù di Beniamino. Dotato di eccezionale prestanza fisica, sembra in possesso delle caratteristiche necessarie per sconfiggere i nemici più accaniti: i Filistei. Inoltre, l’estremo stato di rilassatezza in cui versano le due maggiori potenze militari dell’area, l’Egitto e l’Assiria, favorisce una politica di liberazione. Durante la sua reggenza (1040-1010 a.C.) Saul sottomette gli Amaleciti, ma non riesce a sconfiggere definitivamente i forti Filistei. Muore combattendoli a Ghilboa. La figura del re Saul è senz’altro oscurata dalle personalità di Samuele e di Davide. Gli ultimi anni della vita del primo sovrano d’Israele sono caratterizzati da completa sfiducia verso i collaboratori più vicini e da un’evidente gelosia nei confronti di Davide, unto re dopo il ripudio di Saul stesso da parte del Signore, stanco della sua disubbidienza.

Davide, appartenente alla tribù di Giuda, si distingue per tutta la durata del suo regno (dal 1010 al 970 a.C.) come il campione della religione voluta da Dio (jahvismo), risultando perciò uno dei personaggi più popolari della tradizione ebraica. Pieno di ammirevole religiosità e fedeltà verso Dio, viene da lui benedetto. Attua vaste campagne militari: sconfigge definitivamente i Filistei; vince gli Edomiti, gli Aramei; rende tributari i Moabiti; conquista infine Gerusalemme (2Sam 5:6ss), ultima roccaforte gebusea, stabilendola capitale del suo regno, che risulta certo il più glorioso della pur lunga storia d’Israele.

Dopo aver concesso un periodo di prosperità al suo popolo, Davide si mette in animo di costruire una casa all’Eterno. Ma i piani di Dio sono diversi: tramite le parole di Nathan, gli comunica che non lui ma suo figlio (Salomone) gli avrebbe eretto una dimora. In compenso, a Davide e alla sua stirpe è destinato un regno eterno, quello del Messia suo discendente carnale (2Sam 7). Soffermiamoci per un istante sui concetti di “unzione” e di “messianismo”. Dio sceglieva alcuni uomini che avrebbero agito come suoi inviati. Essi erano resi tali tramite la cerimonia dell’unzione: così avveniva per i re e per i sommi sacerdoti; persino il famoso re persiano Ciro fu metaforicamente unto dal Signore (Is 45:1) che lo usò come strumento per permettere agli Ebrei, schiavi in Babilonia, di far ritorno, nel 538 a.C., in Palestina (vedi l’Editto di Ciro in Esd 1).

L’inviato di Dio era detto “Messia” (“unto”) in lingua ebraica; “cristo”, invece, è il corrispettivo greco. Quindi, dopo la promessa rivolta a Davide, «il messianismo, questo elemento essenziale della religione dell’A.T., ebbe un notevole incremento dall’istituzione stessa della monarchia. Al genere umano era stata promessa una liberazione (Gn 3:15), una benedizione che passava per la discendenza di Sem (Gn 9:26), per la posterità di Abramo (Gn 12:1-3), per la tribù di Giuda (Gn 49:8-12); ora una nuova ed importante profezia specifica ancora meglio l’origine della salvezza. Essa verrà dalla discendenza di Davide, il cui regno perenne trova il suo apogeo nel Messia» (S. Virgulin, Introduzione alla Bibbia, vol. IV. 1, Torino 1969, p. 417). Quest’attesa si realizza con Gesù Cristo, presentatoci nel N.T. come il «figlio di Davide» (Mt 1:1; Rm 1:4).

Quando il gran re Davide si addormenta con i suoi padri, assume le redini del comando il figlio avuto da Bat-Sceba, Salomone. Questi, durante i quarant’anni del suo regno (dal 970 al 931), brilla per sapienza e sagacia politica. Costruisce il famoso Tempio di Gerusalemme, che diventa uno degli elementi focali del popolo ebraico in tutta la sua storia. Ma la sua attività politica lo spinge verso l’apostasia, verso l’abbandono del Signore: si ingrazia gli Egiziani sposando la figlia di Faraone (1Re 3:1); alla stregua dei sovrani pagani crea per sé un harem assai numeroso — settecento principesse e trecento concubine — composto di donne straniere (Moabite, Ammonite, Idumee, Sidonie e Hittee) che gli inclinano il cuore verso gli idoli (1Re 11). Certamente Salomone godette delle migliori benedizioni da parte del Signore; la sua sapienza e ricchezza erano proverbiali. Eppure servì altri dèi, idoli creati dall’uomo. Ancora una volta, la triste storia dell’uomo che serve l’uomo e non Dio si ripeteva. Come nel passato …

4.9. IL REGNO D’ISRAELE (931-722 a.C.)

La politica fiscale di Salomone si abbatte pesantemente sul popolo, che soffre e protesta con il successore Roboamo. Ma il nuovo arrivato, che non è certamente del calibro dei suoi avi, non riesce a comprendere il malcontento popolare. Invece di porre rimedio alla difficile situazione preferisce rincarare la dose dopo essersi consultato con i giovani di corte tanto boriosi e sprovveduti quanto lui. La ribellione è, allora, inevitabile: le dieci tribù del nord si radunano intorno a Geroboamo, tornato dall’esilio egiziano a cui l’aveva costretto Salomone. Siamo nel 931. Le tribù separatiste formano il Regno d’Israele. Ben presto, però, Geroboamo mostra le sue vere tendenze: preoccupato che il suo popolo recandosi a Gerusalemme ad adorare Dio nel Tempio possa essere influenzato a favore del Regno di Giuda, impone ai suoi sudditi di prestare culto a due vitelli d’oro posti a Dan e a Betel (1Re 12:29), località poste ai poli estremi del suo dominio.

È impossibile qui esaminare le vicende che videro protagonisti tutti i re d’Israele; basterà ricordare che essi, senza alcuna distinzione, fecero ciò che è male agli occhi di Dio. I profeti che agiscono in questo periodo, tra i quali Elia ed Eliseo, si adoperano per riportare il popolo sui sentieri diritti di Dio, ma invano. La fine giunse con gli Assiri, quando nel 722 Sargon II conquistò la capitale Samaria. Gli Israeliti furono deportati in Assiria mentre, secondo il costume assiro che aveva lo scopo di spezzare l’unità nazionale dei popoli sottomessi, elementi stranieri furono immessi nella terra d’Israele. L’unione di questi ultimi con i pochi rimasti risultò nell’ibrida gente dei Samaritani, tanto disprezzata dagli Ebrei (2Re 17:24).

4.10. IL REGNO DI GIUDA (931-587 a.C.)

Giuda può contare sul fatto di poter adorare il Signore in Gerusalemme, e ciò sembra favorire il ripristino dell’antica fedeltà verso Dio, minacciata da altre divinità penetrate nella religiosità dei Giudei. I re Giosia ed Ezechia tentano di riportare il popolo al Signore, ma invano. Anche per gli apostati giudei la fine si avvicina. Gerusalemme si salva una prima volta dalla conquista assira grazie all’aiuto dell’angelo di Dio che stende centottantacinquemila soldati che l’assediano (2Re 19:35). La crescente potenza babilonese, nel frattempo, comincia a schiacciare il vacillante impero assiro. Con la presa di Ninive del 612, il re caldeo Nabucodonosor (Nebucadnestar, nella Bibbia ebraica) diventa il padrone del mondo orientale. Nel 606 un primo gruppo di nobili giudei, tra i quali Daniele, è deportato a Babilonia; nel 597 Gerusalemme viene sottomessa e il re Ioiachin deposto a favore di Sedechia che, dieci anni più tardi, tenta la ribellione. Nabucodonosor la stronca sul nascere: a Ribla massacra i figli di Sedechia in sua presenza e poi gli cava gli occhi. Gerusalemme e il Tempio vengono rasi al suolo: la gloria d’Israele finisce in misero modo.

È difficile dire perché il Regno di Giuda sia durato di più rispetto a quello d’Israele; forse perché vi si susseguirono sovrani della stirpe di Davide (tanto amata da Dio), alcuni dei quali fecero bene. Come che sia, secondo la profezia di Geremia — rimasto in Giudea con i più poveri — l’esilio sarebbe durato settant’anni, e così fu (Ger 29:10). La distruzione di Gerusalemme e del Tempio, l’esilio a Babilonia costituiscono la tragedia nazionale degli Ebrei: un colpo durissimo dal quale non riuscirono a risollevarsi mai più, avendo perduto per sempre l’autonomia politica. Quest’evento fu scolpito nei cuori di molti Israeliti come segno evidente della loro ribellione e disubbidienza verso Dio.

4.11. IL RITORNO DALL’ESILIO: IL GIUDAISMO

Con l’avvento al potere di Ciro, re dei Persiani, la situazione cambia favorevolmente per gli Ebrei deportati a Babilonia. Il nuovo sovrano decide saggiamente di permettere ai popoli conquistati di ritornare nelle terre d’origine e di riprendere i propri costumi sociali e religiosi. Israele può così fare ritorno in Palestina grazie all’Editto di Ciro (2Cro 36:22; Esd 1). Le guide che conducono il popolo in Palestina sono il sacerdote Giosuè e Zorobabel, discendente di Davide (tramite il re Ieconia: 1Cro 3:17). Dopo alterne vicende, il Tempio viene riedificato nel 515 a.C. Le indicazioni di Esd 3:12-13 e Ag 2:3 sembrerebbero indicare un aspetto più dimesso rispetto al santuario costruito da Salomone. Israele è ad un bivio: finiti i tempi gloriosi, deve ricominciare a vivere secondo i precetti di Dio. Nel 444 Neemia dota nuovamente Gerusalemme di cinta murarie. La vita può assumere un nuovo andamento e significato dopo tutte le umiliazioni subite. L’energico insegnamento di Esdra, lo scriba, e di Neemia inculcano nel popolo il segreto del buon vivere: il ritorno a Dio. Nasce così il “giudaismo”, le cui caratteristiche fondamentali sono: la grandezza di Dio, l’elezione d’Israele, la Torah, cioè la Legge, unico bene rimasto in possesso degli Ebrei, la morale e il messianismo, la viva attesa del Trionfatore che li avrebbe liberati dagli oppressori.

L’A.T. si conclude con Israele sottomesso ai Persiani. Dopo i Persiani arriveranno i Macedoni di Alessandro Magno e, dopo i Macedoni, i Romani. Per ben quattro secoli, fino alla bellissima figura di Giovanni Battista, la rivelazione di Dio tace. Dopo tanta attesa, il popolo lo accoglie con ardore perché in lui riconosce l’inviato di Dio. Tuttavia, Giovanni non è il Cristo, ma solo il precursore, colui che ne prepara la strada. Soltanto con Gesù di Nazareth, infatti, una nuova e gloriosa si apre: egli è il Re di un regno spirituale — e non materiale come attendevano i Giudei — che avrebbe donato la pace a tutti i popoli. La «pienezza del tempo» arriva con lui.

4.12. I TEMPI DEL N.T.: «LA PIENEZZA DEL TEMPO» (GALATI 4:4).

Spesso viene chiesto perché mai Dio abbia deciso di mandare suo Figlio nel mondo al tempo dei Romani, e non prima o dopo. La risposta è che quel periodo costituisce la «pienezza del tempo» (Gal 4:4; vedi anche Ef 1:10), frutto di tre fattori determinanti che favorirono molto la diffusione del vangelo. Essi sono: la potenza militare di Roma, la lingua greca, la dispersione degli Ebrei.

— LA POTENZA MILITARE DI ROMA. L’Impero romano è stato senza dubbio uno tra i più potenti in tutta la storia umana. Sotto Traiano (117 d.C.) raggiunse la massima espansione, per poi ritrarsi progressivamente sino al triste crepuscolo del V sec. Ottaviano (Augusto), divenuto imperatore dopo aver sconfitto Marco Antonio e Cleopatra nella battaglia di Azio (31 a.C.), ne fu il vero ideatore. Questo principe, sotto il cui regno nacque Gesù, stabilì nel mondo sottoposto a Roma la pax romana (“la pace di Roma”): dopo secoli di guerre gli stati inglobati nei possedimenti romani fruirono di una stabilità politica, economica e sociale mai registrata prima d’allora. La potenza di Roma rese possibile l’incremento dei rapporti tra paese e paese; consentì una notevole sicurezza negli spostamenti per terra e per mare, in virtù della quale i primi evangelisti poterono viaggiare al sicuro dai briganti e dai pirati e sveltire il loro programma di evangelizzazione; permise a molti popoli (tra cui i Giudei) di continuare a vivere secondo i propri costumi. Fu, in verità, una pace sempre controllata dalle legioni, pronte a spezzare sul nascere qualsiasi anelito di ribellione, e gravata da pesanti tassazioni.

Nei primi anni del suo sviluppo, la chiesa di Cristo non ebbe grossi problemi con le autorità romane; anzi, è possibile notare in alcuni episodi descritti negli Atti degli Apostoli una certa protezione specialmente nei riguardi di Paolo, cittadino romano. Le prime severe persecuzioni cominciarono con Nerone nel 64 d.C. e con Domiziano che, verso la fine del suo regno (circa 95 d.C.), pretese il culto divino alla sua persona, culto al quale nessun cristiano poteva naturalmente sottomettersi. In questa cornice sembra doversi collocare l’Apocalisse di Giovanni.

— LA LINGUA GRECA. I Macedoni, guidati da Alessandro Magno (356-323 a.C.), estesero la loro egemonia in Grecia e nell’Oriente antico, diffondendo la cultura e la lingua greca nei paesi conquistati. Si formò un nuovo tipo di greco che risentiva inevitabilmente dei dialetti dei popoli assoggettati: la koiné (“comune”). Diversa dal greco classico, la koiné rappresentò così il mezzo di comunicazione più diffuso nel mondo greco-romano dal 300 a.C. al 500 d.C. Poi veniva il latino, la lingua ufficiale di Roma. L’iscrizione posta sulla croce («Gesù il Nazareno, il re dei Giudei»: Giovanni 19:19-20, in ebraico, latino e greco) ben sintetizza la situazione linguistica nella Palestina. Un chiaro esempio della diffusione internazionale della koiné è dato dalla lettera di Paolo ai Romani, redatta in greco e indirizzata ai cristiani residenti nel centro dell’Impero.

— LA DISPERSIONE DEGLI EBREI. Dopo l’esilio babilonese del 586 a.C., parecchi Israeliti cominciarono ad emigrare, volenti o nolenti, in altre nazioni. Si formarono estese colonie giudaiche ad Alessandria d’Egitto, in Grecia, in Macedonia, nelle principali città dell’Asia Minore e a Roma. Ovunque andassero, gli Ebrei continuavano nella loro pratica religiosa diffondendone l’aspetto essenziale, il monoteismo (la fede nell’unico vero Dio). Non pochi pagani, stanchi degli idoli e dei culti ad essi dedicati, simpatizzarono per l’etica e la purezza contenuta nella Legge (vedi Cornelio in At 10:1). Gli Ebrei prepararono un terreno molto favorevole al cristianesimo. Si ricordi che i primi cristiani, nella loro evangelizzazione, solevano recarsi dapprima nelle sinagoghe, ove potevano trovare un terreno comune di discussione: l’A.T. e tutto il sottofondo ebraico.

— LA PALESTINA SOTTO IL DOMINIO DI ROMA E DEGLI ERODI. Quando nel 63 a.C. Pompeo invase la Palestina, si concluse un secolo di reggenza locale, iniziata dagli eroici Maccabei. Dopo alterne vicende e lotte intestine salì al trono, sotto il diretto controllo di Roma, Erode. Il suo lungo regno dal 37 al 4 a.C. fu caratterizzato da un profondo servilismo verso i dominatori romani e da un serio programma di costruzioni, alla stregua dei monarchi ellenisti. Edificò il Tempio, costruì Cesarea e Sebaste (Samaria) in onore di Cesare Augusto ed eresse o abbellì altre città. I suoi sudditi lo disprezzavano perché non era uno dei loro: era, infatti, un Idumeo. Questo popolo, che discendeva dagli Edomiti di Esaù, fu costretto dai Giudei di Giovanni Ircano ad accettare la circoncisione nel 110 a.C. Seppure incorporati nella nazione giudaica, gli Idumei erano disprezzati in quanto bastardi e bollati come provenienti da una «razza turbolenta e disordinata, sempre proclive a sommosse e lieta di sconvolgimenti» (Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV-231). Erode fu personaggio ferocissimo: fece uccidere gran parte della sua famiglia, raggiungendo l’impensabile quando, in preda a violenti dolori intestinali che lo uccisero cinque giorni dopo, diede ordine di assassinare il primogenito Antipatro, già nominato successore al trono. Il suo carattere sospettoso contro chiunque minacciasse il suo dominio è assai ben presentato da Matteo in occasione della cosiddetta “strage degli innocenti” (2:16-18). Alla sua morte il regno venne spartito tra i suoi figli: Archelao ereditò l’Idumea, la Giudea e la Samaria, governando fino al 6 d.C. quando fu deposto da Augusto; Erode Antipa (4 a.C.-39 d.C.) ebbe il governo della Galilea e della Perea (il Signore lo definì una «volpe» ad indicare il suo carattere astuto [Lc 13:32]. Fece giustiziare Giovanni Battista [Mt 14:1-2] e trattò irrispettosamente il Signore stesso prima della sua crocifissione); Filippo (4 a.C.-34 d.C.) governò le regioni ad oriente dell’alto Giordano.

L’Impero romano era suddiviso in province. Ogni nuovo territorio sottomesso veniva considerato «provincia» o aggiunto a una già esistente. In base a un accordo tra Augusto e il Senato (27 a.C.), le province potevano dividersi in due tipi: senatorie ed imperiali. Le senatorie erano governate da un proconsole (Sergio Paolo, in At 13:7), mentre le imperiali venivano sottoposte direttamente all’imperatore che le governava tramite un legato propretore. Le province imperiali, poste alla frontiera o in situazioni particolarmente delicate, erano presidiate da numerose truppe romane. Alcuni popoli, come i Giudei, accettavano malvolentieri la dominazione romana: in tali casi l’imperatore eleggeva un «procuratore». Così, quando Archelao fu destituito, l’Idumea, la Giudea e la Samaria divennero un procuratorato sottoposto alla diretta supervisione del legato della sovrastante provincia di Siria (Quirinio, in Lc 2:2).

I procuratori romani, che risiedevano abitualmente a Cesarea, avevano a disposizione un limitato contingente militare, dipendendo anche in questo dal legato in Siria. In occasione delle principali ricorrenze religiose giudaiche il procuratore si stabiliva in Gerusalemme per meglio controllare eventuali rivolte. In genere i governatori romani oppressero i Giudei, mostrando nei loro confronti il disprezzo più assoluto. Il peggiore fu Gessio Florio (64-66), contro il quale si scatenò la rivolta giudaica, lungamente covata, che portò alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. La sezione finale degli Atti degli Apostoli descrive i rapporti di Paolo con i procuratori Felice e Porcio Festo. Ponzio Pilato viene definito da Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche, 18,4,2) e da Filone di Alessandria (Legatio ad Gaium), come un uomo crudele e venale. Governò per dieci anni, dal 26 al 36 d.C., quando venne rimosso da Tiberio dopo le vibrate proteste dei Giudei e dei Samaritani. Sotto la sua amministrazione, verso il 30, fu crocifisso Gesù Cristo. Così, questo personaggio rapace e in fin dei conti modesto nel panorama storico di quell’epoca, verrà per sempre ricordato come il giustiziere del Figlio di Dio. Nel 1961 una spedizione archeologica italiana scoprì a Cesarea una iscrizione recante il suo nome e il suo titolo (“prefetto”).

— DOVERI E PRIVILEGI DEI GIUDEI. I Giudei erano costretti a subire la presenza delle milizie romane, a giurare fedeltà all’imperatore, a pagare i tributi, distinti in «diretti», riscossi dal procuratore tramite funzionari locali, «personali» (il famoso tributo a Cesare in Mc 12:14) e «indiretti» (dazio, dogana e così via). Questi ultimi venivano riscossi da privati ai quali il procuratore concedeva l’appalto: i pubblicani. Costoro si macchiavano di molti soprusi ed erano odiati dalla popolazione che li considerava come pubblici peccatori. Tra di essi spicca la figura di Matteo-Levi (Mt 9:9), che divenne apostolo di Gesù. I privilegi dei Giudei consistevano nell’esenzione dal culto all’imperatore, dall’essere citati in giudizio nel giorno di sabato, nell’esonero dal servizio militare e dalla rimozione delle insegne imperiali per rispettare la proibizione delle immagini propria degli Ebrei. Inoltre pare che, sempre per rispetto ai Giudei, i Romani evitassero di crocifiggere i condannati completamente nudi (vedi il caso di Gesù in Mc 15:20).

— LE DIVISIONI NEL GIUDAISMO. I Farisei occupano una parte di rilievo nella storia neotestamentaria. La radice semitica del termine “fariseo” significa “il separato”, “il separatista”. In quel periodo indicava la completa distinzione di questo gruppo da tutto ciò che non era giudaico e da coloro che non erano annoverati nelle loro fila. Sembra che i Farisei siano sorti nell’epoca maccabaica (165 a.C.), distinguendosi come strenui difensori della fede nazionale in pericolo di essere estirpata dal re Antioco Epifane IV. Al tempo di Cristo costituivano il partito più rilevante, avendo il favore popolare. Vivere alla «farisea» significava osservare le più strette prescrizioni che li resero campioni del purismo legale. Cristo li biasimò perché a causa delle loro tradizioni avevano vanificato il culto da rendere a Dio (Mt 15). I Farisei credevano nel Messia, il Cristo (l’Unto), nella resurrezione dei morti e negli angeli. L’apostolo Paolo appartenne al loro gruppo prima della conversione a Cristo (Fil 3:5).

I Sadducei ritenevano di discendere dal sommo sacerdote Sadoc, eletto da Davide (1Re 2:35). Inferiori numericamente ai Farisei, erano loro avversari, ma con i Farisei si unirono contro il Signore Gesù. Rappresentavano l’alta aristocrazia sacerdotale e dominavano nel Tempio e nel Sinedrio (At 5:17). Dal punto di vista dottrinale accettavano solo i primi cinque libri dell’A.T., cioè la legge di Mosè (Toràh), rifiutando per questa ragione la tradizione orale tanto cara ai Farisei. A differenza di questi, i Sadducei respingevano la fede sia nella resurrezione, sia negli angeli (At 23:1-9). Perseguivano una politica filoromana, ed erano perciò invisi al popolo.

Importanza minore rivestono gli Erodiani (Marco 3:6; 12:13), sostenitori degli Erodi. Gli Zeloti (“zelanti”) rappresentavano la punta più estremista del partito farisaico. Erano continuamente in contrasto con i Romani poiché non accettavano altro sovrano all’infuori di Dio. Dopo essere stati sconfitti dai Romani nei primi anni dell’era cristiana, cominciarono a perpetrare atti terroristici. Furono chiamati anche “sicari” da sica, il corto pugnale usato nelle loro imprese. Veri oppositori dei Romani, da essi scoccò la scintilla che accese la rivolta popolare del 66 d.C. e che portò alla distruzione di Gerusalemme e del Tempio (70 d.C.). L’apostolo Simone, detto Zelota (Lc 6:15; At 1:13) o Cananeo (Mt 10:4), poteva essere appartenuto al gruppo. Secondo alcuni studiosi, “cananeo” sarebbe solo la forma aramaica del greco “zelante”, cioè “zelota” (“cananeo” non avrebbe perciò alcuna attinenza con la terra di Canaan).

Gli Scribi costituivano un gruppo particolare del giudaismo: erano gli studiosi della Legge. Quando nel 587 a.C. Gerusalemme fu distrutta dai Babilonesi, gli Ebrei, privati di molti beni materiali, rivolsero particolare attenzione alla Legge, unico valore rimasto. Sorsero, allora, uomini dedicati alla conservazione, allo studio, all’insegnamento e all’interpretazione della Legge. Così, per merito loro, gli scritti dell’A.T. poterono essere conservati e tramandati. Gli Scribi, alcuni dei quali tenevano a distinguersi dai Farisei sebbene molti aderissero ai loro ideali, avevano sostituito i sacerdoti nell’insegnamento della Legge, che spettava per comando di Dio ai figli d’Aronne (Dt 31:9-13). Definiti «dottori della legge» (Lc 5:17), occupavano una posizione di un certo rilievo nel Sinedrio in qualità di giuristi.

Un altro gruppo che merita di essere citato, anche se non appare nel N.T., è quello degli Esseni. Di essi parla, tra gli altri, Giuseppe Flavio e di essi testimoniano le recenti scoperte archeologiche effettuate nei pressi del Mar Morto. Nel 1947 furono scoperti nelle grotte di Qumran molti manoscritti di età pre-cristiana, assai importanti per lo studio del testo dell’A.T. Illazioni sono state avanzate circa eventuali rapporti di Giovanni Battista e di Cristo con gli Esseni. Esistono diversi e seri problemi da superare nell’esatta interpretazione del materiale rinvenuto.

— IL TEMPIO E IL SACERDOZIO. Il Tempio rappresentava il centro della vita nazionale giudaica. Costruito da Erode, era praticamente il terzo dopo quello bellissimo di Salomone (abbattuto dai Babilonesi nel 587 a.C.) e quello riedificato dagli esuli nel 515 a.C. L’area del Tempio si divideva in tre parti: i portici, i cortili o atri, il Santuario. I non Ebrei (cioè i Gentili) potevano circolare nell’area loro riservata, mentre era vietato l’ingresso nella sezione dei figli d’Israele, pena la morte. Nel 1871 fu ritrovata nelle vicinanze dell’area templare un’iscrizione in greco che avvertiva i Gentili nei seguenti termini: «Nessun straniero metta piede entro il cortile o il recinto del Tempio. Chiunque venisse sorpreso sarà responsabile della propria morte». In At 21:28-29 Paolo è accusato di aver introdotto un Gentile nella zona loro preclusa.

Ogni Giudeo guardava al Tempio come depositario della presenza di Dio; infatti nel Santuario, sezione riservata ai soli sacerdoti, era situato il Santissimo, separato dal resto mediante un velo (che si squarciò in due, da cima a fondo, dopo che Gesù rese lo spirito [Mt 27:51] a significare che tramite il suo estremo sacrificio ogni uomo poteva finalmente avvicinarsi al Padre celeste, senza alcuna distinzione). Nel Santissimo entrava soltanto il Sommo Sacerdote una volta l’anno in occasione della cerimonia nel giorno dell’Espiazione (Yom Kippùr), che permetteva all’intero popolo riunito di avere i peccati rimessi. Nel Tempio, Dio veniva adorato con il sistema sacrificale; ma, come aveva promesso Gesù (Gv 4:24), non vi sarebbe stato più alcun edificio specifico in cui adorare. Quando nel 70 d.C. il Tempio venne distrutto dai Romani del generale Tito, si avverarono le parole di Gesù (Mt 24:1-2). Per gli Ebrei fu un colpo terribile dal quale non riuscirono più a risollevarsi; per i cristiani, invece, rappresentò uno stimolo in più a continuare nella pura adorazione da rendere a Dio e finalmente li distinse, agli occhi delle autorità romane, dal giudaismo a cui erano stati spesso associati.

Congiunta al Tempio, la classe sacerdotale aveva notevole influenza. I sacerdoti si occupavano di tutti i servizi del Tempio. Il capo della nazione giudaica era il Sommo Sacerdote, detto anche «pontefice». Faro del Sinedrio, il pontefice era considerato il mediatore tra il vero Dio e il popolo. Nel periodo del N.T. i pontefici appartenevano ai Sadducei e venivano eletti secondo gli interessi politici dei Romani. Caiafa fu il Sommo Sacerdote che, insieme ad Anna suo suocero, condannò Gesù. Cristo è oggi l’unico Sommo Sacerdote e mediatore (vedi la lettera agli Ebrei).

— LE SINAGOGHE. Impossibilitati a recarsi al Tempio di Gerusalemme per partecipare al culto ufficiale, i Giudei sparsi nel mondo antico usavano riunirsi nelle sinagoghe, luoghi dove potevano studiare e pregare assieme. Sembra che occorressero come minimo dieci maschi ebrei per costituire un’assemblea sinagogale. La custodia dell’edificio spettava al «capo della sinagoga» (At 13:15), che si avvaleva dell’aiuto di alcuni subalterni. Al tempo di Cristo le sinagoghe erano diffuse ovunque: forse ve n’era una persino nell’area del Tempio. Come abbiamo già detto, i primi cristiani solevano recarsi nelle sinagoghe, dove sapevano che si poteva discutere dell’unico Dio e del suo inviato, il Cristo, caldamente atteso dai Giudei secondo l’insegnamento dei profeti.

— IL SINEDRIO. «Sinedrio fu detto il supremo tribunale degli Ebrei, una specie di senato aristocratico, depositario del potere giudiziario, religioso e, in certa misura, politico» (Rinaldi-De Benedetti, Introduzione al Nuovo Testamento, Brescia 1971, p. 378). Era composto di 71 membri, divisi in tre categorie: i pontefici, gli anziani (cittadini autorevoli della società giudaica) e gli scribi (At 4:5). Le decisioni del Sinedrio avevano potere esecutivo per gli Ebrei; tuttavia, in caso di sentenza capitale le autorità romane dovevano essere interpellate (vedi Gv 18:31). Davanti al Sinedrio comparvero Cristo (Lc 22:66) e i suoi apostoli (At 4:15).

 

Arrigo Corazza