I PECCATI DEL RE SAUL

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I PECCATI DEL RE SAUL

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INTRODUZIONE

L’epopea di Saul, primo re d’Israele (circa 1040 – 1000 a.C.), è una delle più celebri e drammatiche in tutta la Bibbia ebraica. Essa dura quarant’anni (At 13:21) e si presta oggi ad alcune significative riflessioni inerenti al rapporto tra Dio e il credente. È la classica storia di caduta dalle stelle alle stalle: chiamato inaspettatamente al potere da Dio stesso tramite il profeta Samuele, il giovane Saul, dall’iniziale e quasi comica timidezza (addirittura, grande e grosso com’è, si nasconde tra i bagagli per non essere eletto), passa ad una gestione del potere sconclusionata e violenta, priva di quel punto di riferimento polare che è il volere divino. Già bello e timido, si trasforma in un vecchio schiavo di quel potere che non ha mai ricercato, e finisce tragicamente e ingloriosamente la sua esistenza. La sorte dell’umanità non dipende più dal casato di Saul: al suo posto subentra Davide, della tribù di Giuda, dalla cui famiglia discenderà Gesù di Nazareth, il Messia / Cristo Salvatore del mondo.

Da ultimo, a distanza di un millennio dal primo re d’Israele, è il caso di ricordare un altro Saul, anch’egli proveniente dalla tribù di Beniamino: Paolo di Tarso (At 13:9). La sua storia è totalmente diversa: sino all’ultimo, Paolo ha amato quel Signore che aveva dato se stesso per lui (Gal 2:20; 2Tim 4:6-8). Sebbene il cristianesimo sia sempre e unicamente incentrato su Gesù di Nazareth, il Signore, bisogna riconoscere che il beniaminita Saul di Tarso, già feroce persecutore della Chiesa di Cristo, ha fatto poi moltissimo per la diffusione del vangelo tra i non Ebrei. Ciò significa che, se si vuole, chiunque (anche il peccatore più incallito ravveduto) può fare sempre bene nel Regno di Dio.

 

LE FONTI

Le fonti per ricostruire la sventurata esistenza di Saul sono raccolte soprattutto in 1Samuele capitoli 9 – 31, poi in 2Samuele 4ss, 1Cronache, in Salmi 18:1; 52:1; 54:1; 57:1; 59:1, At 13:21.

 

SOMMARIO DELLA VITA DI SAUL

Siamo in Palestina, intorno al 1040 a.C. Le tribù d’Israele, senza un re, sono in lotta contro i Filistei, tradizionale nemico. Esse chiedono la monarchia, al pari delle nazioni vicine. Così facendo, in realtà il popolo eletto respinge il Signore Iddio (1Sam 8:7). In questo contesto storico, la nostra attenzione si rivolge a Saul, giovane proveniente dalla tribù di Beniamino, la più piccola tra le dodici d’Israele (più precisamente, dalla famiglia di Chis, a sua volta la più piccola tra tutte le famiglie di Beniamino: cfr. 1Sam 9:21). Degli Ebrei, Saul è il più bello e il più alto («superava dalla spalla in su chiunque altro del suo popolo»: 1Sam 9:1).

Il bel ragazzo viene inviato dal padre Chis a ricercare alcune asine smarrite. Preso con sé uno dei servi paterni, Saul si mette alla caccia (ma invano). In questo contesto avviene l’incontro con il profeta Samuele, il quale, avvertito un giorno prima dal Signore (1Sam 9:15ss), lo unge segretamente quale primo re d’Israele (1Sam 10:1ss).

 

RIFLESSIONE
Nella nostra vita accadono fatti che ci sembrano casuali e privi di senso. Per Dio, invece, nulla è imprevisto, ma spesso intenzionalmente voluto. Pensiamo ad Abramo, che, senza saperlo, albergò gli angeli di Dio (Gn 18:1ss; cfr. Eb 13:2). Impariamo a considerare con attenzione ogni fatto della nostra vita alla luce del vangelo, cercando di scoprirvi i segni di Dio e della sua volontà.

 

In seguito, Saul viene designato re davanti Il a tutto il popolo riunito a Mispa (1Sam 10:17ss). La sorte del Signore cade sulla famiglia di Chis, segnatamente su Saul, nascosto in mezzo ai bagagli. Grande è dunque la timidezza dell’inconsapevole giovane, che non ha affatto ricercato il trono. È Dio che lo sceglie quale principe del suo popolo. Più tardi, Saul dimenticherà questa timidezza, diventando dispotico, violento e arrogante. Il re avrà dapprima una buona relazione sia con Samuele, sia con Davide, che ne prenderà il posto. Poi, in entrambi i casi, le cose si deterioreranno a causa dei suoi peccati e disubbidienza verso Dio.

La parabola della vita di Saul si rivela perciò tragica: gli ultimi tempi sono assai negativi (il re è vittima di depressione e paura). Si avvicina all’estrema battaglia contro i Filistei senza essere pronto né fisicamente né spiritualmente. Saul si sente solo, senza l’aiuto del Signore che ha abbandonato da tempo. La sua sorte è segnata: richiamato Samuele dai morti, in palese contraddizione con la volontà del Signore e con il suo comportamento precedente (aveva fatto uccidere gli evocatori di spiriti e gli indovini: 1Sam 28:9), egli apprende dal profeta di Dio che l’indomani sarebbe morto sul campo. E, puntualmente, questo avviene: addirittura egli si darà la morte (caso assai raro negli annali d’Israele: cfr. Aitofel, 2Sam 17:23) e la sua discendenza sarà praticamente annientata a vantaggio di quella di suo genero Davide (marito di sua figlia Mical, la sterile), il nuovo re dal quale discenderà il Messia (2Sam 7:12ss).

Dopo questo brevissimo sommario, ecco le considerazioni che si possono avanzare a margine della vita di Saul.

– La sua vita spirituale fu una vera e propria odissea: egli inizia il suo ministero con tante buone intenzione e promesse, ma finisce miseramente, in vergogna e disonore.

– Egli riceve una grazia speciale dal Signore, sebbene sia un uomo pronto ad ammettere la sua scarsa importanza.

– Non ricerca il potere, ma Dio glielo dà. Saul non riesce ad essere un buon re secondo la volontà divina.

– Il contrasto con Samuele è, in realtà, il contrasto con Dio a motivo della sua disubbidienza e del suo poco rispetto verso il Signore.

– Nel giudicare le cose della vita, Saul non viene aiutato da un esame, da un’introspezione spirituale, essendo incline a prendere, sotto pressione, decisioni affrettate e inconsistenti (ricordiamo i casi del figlio Gionata in 1Sam 14:24, e dell’evocatrice di spiriti di En-Dor in 1Sam 28:8ss).

– Saul comincia ad essere sempre meno sicuro di se stesso e cede al peccato, come nella circostanza del re Agag e degli Amalechiti (1Sam 15). Dio e Samuele lo abbandonano. È l’inizio della fine.

– Uno spirito negativo si impossessa di lui, invece dello spirito buono del Signore. Segnato dalla depressione, nello stesso tempo egli ama e odia Davide, a sua volta aiutato e salvato dalle sue mani proprio da Gionata e Mical, figli del re.

– L’odio lo conduce a perseguitare Davide e i suoi amici, al punto tale da giustiziare i sacerdoti del Signore che aiutano il fuggitivo Davide.

– Saputo che Davide, per ben due volte, lo ha risparmiato, il suo sgomento è enorme e produce su di lui effetti devastanti.

– Il suicidio di Saul si palesa come un atto di codardia e di assoluta mancanza di speranza e fiducia nel Signore. Così termina la sua vita, in un’aura cupa e tremebonda.

– Il giovane e bel primo re d’Israele, scelto dal Signore, pieno all’inizio di buoni propositi e speranze, diventa un vecchio disgraziato, raccolto solo su se stesso. Questo è il risultato di aver abbandonato Dio.

 

IL PRIMO PECCATO (1Sam 13:7-15)

Saul riceve un ordine ben preciso: aspettare per sette giorni l’arrivo a Ghilgal di Samuele, il quale avrebbe sacrificato al Signore prima della discesa in campo d’Israele contro i Filistei (1Sam 10:8). Il popolo, però, preso da folle paura, comincia ad abbandonare il re (solo seicento uomini rimangono con lui).

 

RIFLESSIONE

Da Adamo ad Abramo a Gesù fino a noi, l’uomo è chiamato a vincere le prove della vita. Dio è sempre vicino all’uomo e gli consente di superare i drammi della sua esistenza (1Cor 10:13). Purtroppo, l’uomo stenta a riconoscere la grazia divina. Disgraziatamente, Saul non fu in grado di risolvere i problemi che doveva affrontare: su lui troppo forte fu la pressione dei pochi Israeliti rimasti, e troppo debole il rispetto per Dio. Se egli fosse stato più ubbidiente, facendo affidamento su Dio in primis, la sua vita sarebbe stato certa assai diversa. Non si dimostrò simile ad Abramo «che, sperando contro speranza, credette … secondo quel che gli era stato detto» (Rm 4:18). Noi, oggi, siamo come Saul o come Abramo?

 

Saul aspetta sette giorni, secondo quanto stabilito da Samuele. Ma Samuele non arriva. Allora, egli decide di assumere un’iniziativa che non gli è affatto consentita: sacrificare al Signore. In quel preciso momento arriva il profeta, proprio allo scadere del tempo stabilito da Dio. Sebbene la situazione appaia assai critica, il compito di Saul è solo quello di ubbidire alla Parola di Dio, e non di fare di testa sua. Infatti, al vero credente sembra impossibile che la volontà del Signore non trovi compimento. Per di più, Dio non lo aveva scelto quale re d’Israele? Perciò, lo avrebbe comunque aiutato a vincere il nemico e a governare saggiamente il suo popolo. Ma a questo Saul, uomo disubbidiente e di poca fede, non pensa …

 

RIFLESSIONE

Il peccato di Saul consiste non solo nella disubbidienza, ma anche nella mancanza di fiducia nei confronti di Dio. Esaminiamo il suo errore: fare qualcosa che Dio non gli ha comandato (al pari di Nadab e Abiu [Lev 10:1ss] e Uzzah [2Sam 6:7]). I credenti sono perciò chiamati a fare quello che Dio vuole, e non quello che pensano sia saggio fare perché in tal modo si passa dalla volontà, dalla Parola di Dio alla volontà o filosofia umana.

 

IL SECONDO PECCATO (1Sam 15)

Questa seconda e grave mancanza costa a Saul il rigetto da parte del Signore. Questo il fatto: comandato di annientare gli Amalechiti, ne risparmia il re Agag e la parte migliore del bestiame razziato. In questa circostanza, Saul dimostra di non volersi assumere le proprie responsabilità dinnanzi alla Maestà, e rivela tutta la sua falsità, ipocrisia e codardia.

 

RIFLESSIONE

Dal peccato di Adamo ed Eva in poi, questi tre mali sono assai diffusi nell’uomo e dimostrano quanto poco consapevole egli sia di fronte a Dio. Gesù, il nostro grande Dio e Salvatore (Tit 2:13), considera ciascuno di noi responsabile per averlo accettato o rifiutato (Mt 10:32-33).

 

Avviciniamoci più specificatamente ai tre terribili errori di Saul.

– Falsità (v. 13).

«Ho eseguito gli ordini del Signore». Non era vero. Aveva fatto esattamente l’opposto. L’uomo mente spesso agli altri e al Signore. Se l’uomo abbindola il suo consimile, nulla può contro Dio, che non può essere ingannato e che scopre tutte le sue menzogne.

– Ipocrisia (vv. 15-21).

«Il popolo ha risparmiato il meglio delle pecore e dei buoi per farne dei sacrifici al Signore, al tuo Dio; il resto, però, l’abbiamo votato allo sterminio» (1Sam. 15:15); «io ho ubbidito alla voce del Signore, ho compiuto la missione che il Signore mi aveva affidata, ho condotto qui Agag, re di Amalec, e ho votato allo sterminio gli Amalechiti; ma il popolo ha preso, fra il bottino, delle pecore e dei buoi come primizie di ciò che doveva essere sterminato, per farne dei sacrifici al Signore, al tuo Dio, a Ghilgal» (vv. 20-21). In questo modo risponde il re alle obiezioni di Samuele. La giustificazione è vecchia come il cucco (risale al giardino di Eden). Si tratta della stessa risposta che Adamo diede al Signore: sono sempre gli altri che fanno qualcosa: io non volevo, noi non volevamo … Si noti la furbizia di Saul: il popolo ha preso le greggi e gli armenti (loro l’hanno fatto, disobbedendo al Signore), ma poi «noi abbiamo votato all’anatema il resto», «io ho votato allo sterminio gli Amalechiti» (io l’ho fatto, ubbidendo al Signore che aveva chiesto l’anatema).

– Codardia (v. 24).

«Ho peccato, perché ho trasgredito il comandamento del Signore e le tue parole, perché ho temuto il popolo, e ho dato ascolto alla sua voce». Dov’è il coraggio dell’uomo di Dio? È davvero possibile che l’uomo abbia sempre paura dell’uomo ma non di Dio? In Gv 12:42-43 si dice che «molti, anche tra i capi, credettero in lui [Gesù]; ma a causa dei Farisei non lo confessavano, per non essere espulsi dalla sinagoga; perché preferirono la gloria degli uomini alla gloria di Dio». In Gal 2:11 Paolo riprende Pietro, intimorito dai giudeocristiani.

 

RIFLESSIONE

A noi oggi è richiesto di non avere paura dell’uomo, ma di Dio. Se lui «è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8:31). Nelle chiese si dovrebbe avere un rispetto totale per il Signore, compiendo la salvezza con timore e tremore (Fil 1:12), senza avere nessuna paura dell’uomo, specie quello malvagio, prepotente e ducetto. Con l’aiuto di Cristo è possibile ergersi contro chicchessia. In Cristo la vittoria è assicurata.

 

In realtà, leggendo bene il contesto di 1Sam 15, si capisce che Saul, in tutta la sua giustificazione di fronte a un inflessibile Samuele, ha un solo pensiero per la mente: mantenere il regno e l’onore dei sudditi. Dov’è finito il giovanotto che, a suo tempo, si era nascosto tra i bagagli, preso dalla paura di diventare re (1Sam 10:21-22)? Il potere logora chi lo ha o piuttosto chi non lo ha? Dunque, il pentimento di Saul non è sincero, giacché chiede a Samuele di onorarlo al cospetto del popolo (v. 30), di mantenere cioè il suo potere.

Ad evitare altri guai, il profeta, al quale Saul aveva strappato un lembo del mantello in un estremo tentativo di pacificazione (v. 27), acconsente alla richiesta del peccatore, annunciandogli però nel contempo che il Signore, dipartito da lui per sempre, avrebbe dato il suo regno ad un altro migliore di lui (v. 28). Da quel momento in poi, Samuele, afflitto profondamente dal comportamento di Saul, l’eletto di Dio, non volle più vederlo sino alla morte (v. 35). In realtà, Samuele lo vedrà ancora due volte: la prima non gli parlerà (1Sam 19:24, Saul è prostrato), la seconda, richiamato dall’oltretomba, gli denuncerà la disfatta veniente (1Sam 28:15-19). Questo fatto ci apprestiamo a commentare, appena finite le debite considerazioni sul secondo peccato di Saul.

 

RIFLESSIONE

Pensiamo per un attimo all’importanza del ravvedimento. Se Saul fosse stato veramente ravveduto, allora non avrebbe posto alcuna condizione al Signore. Dopo il suo terribile peccato (l’omicidio di Uria l’Ittita, il marito di Betsabea, la futura madre di Salomone: 2Sam 2:13; Sal 51), Davide non lo fece. Altrettanto non deve fare il credente (Lc 15:18-19, il figliol prodigo). Il vero ravvedimento spinge a dire: «Padre, ho peccato! Non merito niente; ma – ti prego – non mi annientare! Dammi una speranza di vita. Sono pronto a pagare tutto quello che devo. Cambierò strada da questo momento in poi». Dio conosce i cuori degli uomini e sa che cosa fare di loro.

 

Prima di passare al terzo ed ultimo peccato di Saul, conviene soffermarci di passata sulla straordinaria figura di Samuele, difensore della giustizia: uccide il re Agag risparmiato da Saul, si allontana dallo stesso Saul rifiutandosi di spartire alcunché con lui sino alla morte. Da solo, oramai anziano, indifeso, egli affronta decisamente il re, avendo quale unica forza la fede nel suo Dio. Si tratta della medesima forza dispiegata da Nathan contro Davide (2Sam 12:1ss), da Elia contro Achab (1Re 21:20), da Geremia contro Sedechia (Ger 21:3), da Daniele contro Nabucodonosor (2Sam 2:26ss), da Gesù nei confronti della croce, dagli apostoli e da Stefano contro il Sinedrio (At 4 – 5; 7).

 

RIFLESSIONE

Difendere la verità come fece Samuele, dovrebbe essere lo scopo principale dell’esistenza del credente in Cristo. Nel mondo iniquo che ci circonda, ergersi a tutti i costi per il vangelo è quanto di meglio si possa fare. Combattere per la difesa dei principi evangelici esige molto, tra cui zelo, dedizione, soprattutto disciplina. Occorre allargare il Regno e guadagnare alla salvezza il maggior numero di peccatori. Anche all’interno delle chiese bisogna operare perché i fratelli in errore si ravvedano e corrano incontro alla vita eterna. Il segreto della vita e del lavoro nel Regno è la fiducia e la sicurezza in Dio. Con lui possiamo affrontare i momenti tremendi della tentazione e del pericolo, prendendo le decisioni più confacenti all’insegnamento scritturale.

 

IL TERZO PECCATO (1Sam 28:3-25)

Saul cade in palese contraddizione: dopo aver fatto uccidere gli evocatori di spiriti, gli indovini, proprio a loro si rivolge per ottenere risposta ai propri angosciosi e paurosi dubbi, visto che il Signore non gli conferisce più importanza, non gli risponde (tramite sogno, i profeti, l’urim: 1Sam 28:6. Su l’urim, vedi Es 28:30; Lv 8:8; Dt 33:8). Anche Saul, come molti, è alla ricerca di un’altra rivelazione che lo soddisfi in pieno, secondo i suoi desideri. Tremendo è l’esito della sua ricerca: Dio, per bocca di Samuele richiamato dall’aldilà, gli annuncia la fine. Il suo ultimo peccato è terribile, imperdonabile. Saul è lontano dalla grazia di Dio, è un uomo finito. Insieme ai suoi figli, va incontro alla morte, al suicidio, a cui seguirà lo scempio del suo cadavere da parte dei Filistei. L’ultimo oltraggio a un uomo disperato, caduto come già detto dalle stelle alle stalle, dalla grazia assoluta di Dio al peccato irrimediabile.

 

RIFLESSIONE

Il nostro modo di vivere dovrebbe sempre rispecchiare al massimo la sobrietà che Dio ci richiede, giacché abbiamo una roccia salda a cui appoggiarci: Gesù (cfr. 1Cor 10:4). Spesso, nell’uomo in genere e talora anche nei cristiani, vige la tendenza a trovare la risposta che stiamo cercando e non quella che il Signore realmente dà secondo i suoi tempi e saggezza. Spesso il Signore tace con noi, perché non siamo più capaci di ascoltarlo, o addirittura non vogliamo più ascoltarlo: la sua voce ci fa paura!

 

Dio si è rivelato, ha parlato, ma l’uomo non ne vuole sapere e cerca il responso di maghi, indovini, fattucchieri (su questo fenomeno vedi, in questo sito, l’editoriale Occultismo? Il pane di Satana! del 7 settembre 2021). La nostra folle disposizione a sapere quel che non possiamo e dobbiamo sapere, a sapere quel che ci fa soltanto comodo sapere, a discapito di quello che invece non vogliamo sapere ma che dovremmo invece sapere per la salvezza dell’anima nostra, ci porta ad anelare, aspettare nuove rivelazioni, e dunque nuove verità. Tuttavia, una soltanto è la verità: la Parola di Dio (Gv 17:17; Ef 4:4). Dopo averla conosciuta, null’altro deve interessarci, se non difenderla a qualunque costo, pena la possibilità di inimicarci il prossimo (Gal 4:16). Ricordiamo, a proposito della difesa della Parola del Signore, un altro insigne protagonista della storia veterotestamentaria: Michea, il figlio di Imla (1Re 22:8).

 

Arrigo Corazza