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IL PECCATO DI GIONA

15 settembre 2021

 

«Dio, il Signore, per calmarlo [Giona] della sua irritazione, fece crescere un ricino che salì al di sopra di Giona per fare ombra sul suo capo. Giona provò una grandissima gioia a causa di quel ricino. L’indomani, allo spuntar dell’alba, Dio mandò un verme a rosicchiare il ricino e questo seccò. Dopo che il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un soffocante vento orientale e il sole picchiò sul capo di Giona così forte da farlo venir meno. Allora egli chiese di morire, dicendo: “È meglio per me morire che vivere”. Dio disse a Giona: “Fai bene a irritarti così a causa del ricino?” Egli rispose: “Sì, faccio bene a irritarmi così, fino a desiderare la morte”. Il Signore disse: “Tu hai pietà del ricino per il quale non ti sei affaticato, che tu non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito; e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?”» (Giona 4:6-11).

 

* * *

 

Giona è personaggio assai celebre; ma è certo da ritenere che presso la massa tale fama non derivi tanto dalla sua importantissima predicazione ai pagani abitanti di Ninive – sermone che istruisce sull’universalità della salvezza, sulla misericordia e provvidenza di Dio –, quanto piuttosto dalla sua sorprendente e sensazionale relazione con un «gran pesce» (dag gadol, in ebraico), nel cui interno ha albergato per tre giorni e tre notti.

Prototipo del Pinocchio e Geppetto di Collodi, sembrerebbe, il disgraziato Giona, più attore della fiaba, creata per dilettare i bimbi, che non concreto attore della storia. E che dire poi del libro, che ne racconta le gesta, purtroppo conosciuto solo perché contenente questo strano episodio? Eppure, esso merita ben altro accoglimento e migliore fama e rispetto, dal momento che abbiamo a che fare, oltre che con la Parola di Dio (e ciò basterebbe di per sé), con un’insigne opera d’arte, bella sia nello stile sia nella lingua, vero gioiello della letteratura anticotestamentaria, composto com’è di quadretti sapientemente costruiti, elaborati e disposti, nonché tendenti da un canto alla meraviglia e, dall’altro, all’epilogo fascinoso grazie a episodi progressivamente sempre più ricchi d’emozione. Infine, occorre aggiungere che Gesù ha paragonato i tre giorni e le tre notti passate da Giona all’interno del «gran pesce» alla sua sepoltura e risurrezione (cfr. Mt 12:40; 16:4; Lc 11:29-30). Tutto ciò basta dunque a sollecitare la nostra attenzione sul personaggio. Disgraziatamente, però, alla fine vedremo che il caratterino di Giona risulta davvero poco gradevole.

 

IL PROFETA GIONA E IL SUO LIBRO

Quanto alla persona di Giona, soltanto in due luoghi dell’A.T. (2Re 12:45 e in Gio 1:1) si parla di lui. Da questi dati veniamo a sapere che egli, figlio dello sconosciuto Amittai, proviene da Gath-Hefer (città situata nel nord della Palestina, nella terra di Zabulon, ossia in Galilea) e profetizza nella zona settentrionale del paese al tempo della monarchia di Geroboamo II (786 – 746 a.C.). Ne consegue che Giona è contemporaneo di Amos e Osea.

Quanto al libro di Giona (catalogato tra i “Profeti minori”), bisogna notare subito che è diverso dagli altri scritti profetici poiché non contiene né visioni né oracoli. In sostanza, si tratta del racconto del ministerio di Giona presso i Niniviti; è dunque quasi una breve biografia del profeta, utilissima a enunciare un fatto fondamentale (l’universalità della salvezza) che allora molti Ebrei potevano anche non concepire in assoluto.

Il contenuto del libro di Giona può essere agevolmente sintetizzato nella maniera seguente:

 

Capitolo 1

  • chiamata di Giona;
  • sua fuga;
  • punizione da parte del Signore.

Capitolo 2

  • il profeta nel ventre del gran pesce;
  • sua invocazione a Dio;
  • conseguente liberazione.

Capitolo 3

  • Giona predica ai Niniviti.

Capitolo 4

  • discussione tra Dio e Giona;
  • nascita e morte della pianta di ricino;
  • rimprovero a Giona per la sua insensibilità.

 

Il messaggio del libro di Giona è molto chiaro e importante:

  • sebbene abbia stabilito un rapporto del tutto speciale con Israele, Dio è il Signore di tutte le genti, che a lui sono comunque sottoposte e al quale dovranno rendere conto nel suo giorno;
  • Dio è perciò desideroso di salvare non solo Israele, ma tutte le nazioni che a lui si avvicinano (l’apostolo Paolo, più avanti nel tempo, ribadì il medesimo concetto in 1Tm 2:5 e Gal 3:26-28). Questa salvezza è nel suo Messia, l’ebreo Gesù di Nazareth. Inconsapevolmente, proprio Giona diventa il tipo di Gesù (che ne è l’antìtipo), della sua morte e risurrezione.

 

GIONA L’ANTIPATICO

La lettura del libro di Giona lascia l’amaro in bocca e la mente ripiena di domande sull’agire di Dio. Pur con tutto lo sforzo possibile, non si riesce proprio a capire come mai il Signore abbia potuto usare ai suoi fini un uomo tanto antipatico quanto Giona. Sì, perché nonostante ulteriori sforzi si facciano per addolcire quest’immagine pesante ma reale che si ha di lui, Giona possiede pessime qualità caratteriali che non possono non renderlo inviso, nient’affatto piacevole, a chi legga questa porzione della Sacra Scrittura.

Diciamo la sacrosanta verità: sebbene profeta di Dio, Giona ci appare nondimeno ottuso, ribelle, privo d‘amore verso il prossimo, nazionalista, vendicativo, egoista, più incline alla compassione per una pianta di ricino che per esseri umani pieni di peccato e perciò tanto più bisognosi della grazia e dell’intervento del Dio d’Israele.

Soprattutto, Giona ci appare pervicace, testardo nella sua posizione, al punto tale da fuggire dalla presenza divina prima e di contestare la conversione dei Niniviti dopo. Che sfrontato! Ma dov’è la religiosità di quest’uomo del Signore? Che farsene dunque di lui?

 

DIO E L’UOMO

Dio è scandaloso, per l’uomo che non voglia o sappia vedere il suo intervento, per chi persista a ritenersi il metro di tutte le cose, per chi guardi gli altri dall’angusto e perciò suo limitatissimo belvedere o punto di osservazione. È giusto che Dio sia scandalo per Giona e per noi tutti, che spesso siamo esattamente uguali a Giona: in primo luogo, quando non vogliamo fare la volontà di Colui che ha creato tutte le cose, che è la saggezza e la potenza assoluta, che ci chiede, con pazienza, di accordargli un poco della nostra fiducia.

Differentemente dal Signore, noi non avremmo perso un minuto del nostro tempo con una persona come Giona. Invece, Dio gli spiega la storia del ricino e dei Niniviti con meravigliosa e insolita pedagogia, prendendolo quasi per mano come si fa con un bambino per fargli comprendere le cose fondamentali della vita. Ma – grazie a Dio – Dio non è l’uomo, non è noi! Tra Dio e noi si frappone un’infinita e incommensurabile barriera, una diversità che troppo spesso tendiamo a dimenticare. Da qui nasce il ricorrente sforzo dell’uomo non redento dalla grazia (ma talora anche, disgraziatamente, del credente stesso) di non compiere la propria «salvezza con timore e tremore» (Fil 2:11).

 

COLLABORAZIONE CON DIO

Eppure, questo Dio totalmente alto e altro rispetto alla creatura umana, è il medesimo Dio che ha inviato suo Figlio perché noi fossimo vivi e non morti nei peccati. Si è piegato, con l’incarnazione della Parola (Gv 1:1,14,18), fino a noi stendendoci la mano non dell’oppressione ma della collaborazione. Questo punto è determinante nella storia di Giona e nella nostra: la collaborazione con Dio.

Giona non ha affatto intenzione di collaborare con Dio ai fini della salvezza degli odiati pagani Niniviti: addirittura preferisce morire (cfr. Gio 4:3) allorché si accorge che i Niniviti si sono ravveduti. È da temere fortemente che talvolta questo possa capitare anche a noi. Altrimenti, non si spiegherebbe come mai troppe volte nel passato i cristiani e le Chiese di Cristo si siano preoccupate di tutto fuorché di dare testimonianza della salvezza: scandali, divisioni, odii, insensibilità, appagamenti umani, ignoranza ecc. hanno avuto cittadinanza nel Regno di Dio più che la carità, la dignità, la verità, la sincerità, l’affetto, l’amicizia, la comprensione, la pazienza … Altro che angeli festanti in cielo quando un peccatore si ravvede dal suo errore (Lc 15:7)!

Collettivamente ed individualmente noi rischiamo di essere proprio come Giona: insensibili al richiamo del Regno e della salvezza. Attenzione, però: come Dio ha risposto a Giona, così risponde anche a noi: «Hai forse diritto di sdegnarti?» (Gio 4:4). Abbiamo vissuto e qualche volta continuiamo a vivere come se Dio non esistesse, come se dovessero a tutti i costi regnare la nostra volontà, orgoglio, mancanza di dialogo con il Signore e con gli altri, che porta inevitabilmente all’impazienza e alle soluzioni spicciole, umane, sbrigative, invece che alla preghiera, alla riflessione biblica dei fatti e delle cose, all’analisi precisa delle circostanze, al timore (se non proprio alla paura) di non fare le cose secondo Col 3:17. Questo modo di procedere non è affatto buono. Che cosa raccoglieremo? L’uomo è un perenne ducetto.

Domanda: come mai Dio ha tanto pazienza con Giona e con noi, che spesso non vogliamo collaborare al suo piano di redenzione? Appunto, perché egli è Dio, perché sa più e meglio di noi, perché sa far fruttare di noi tutte le possibili caratteristiche. Se volessi parafrasare Umberto Eco (che dice più o meno così: «Di una tesi di laurea non si butta niente; è come il maiale»), si potrebbe dire che Dio, paradossalmente, non butta niente di noi uomini, persino dei più atroci bestemmiatori (vedi il caso di Paolo persecutore della Chiesa). Sa ricavare il bene da tutto e da tutti.

E allora, dinnanzi a questa straordinaria attestazione della grandezza divina confrontata alla nostra miserabile e ottusa piccolezza, non possiamo che prorompere in un grido e inno di gloria al nostro Dio, saggio creatore (Rm 11:33-36; cfr. anche Ger 23:18; 1Cor 2:11,6; Gb 15:8; Sal 139:6,17ss; 40:6; Is 40:12-19; 55:6-11).

 

LA DISOBBIDIENZA DI GIONA

A noi sembra impensabile e/o impossibile pretendere di fuggire dalla presenza del Signore, come fece Giona (1:3). Il suo gesto ci appare grottescamente piccino e inutile. Ma, a ben guardare, proprio come fece il profeta recalcitrante, anche a noi può capitare di fuggire agli antipodi della destinazione assegnataci dal Signore, salvo poi a imparare che gli eventi ci riconducono al Signore, al punto di partenza da lui stabilito. Spesso agiamo come Giona.

Pieno di stupore e delusione per la possibilità di salvezza offerta all’odiato nemico, Giona disobbedisce. Tutto sommato, egli è coraggioso nella sua follia. Certo, se Dio gli avesse chiesto di proclamare la rovina di Ninive sarebbe partito in quarta, con lo stesso zelo e sicurezza che aveva contraddistinto l’Isaia chiamato dal Signore (Is 6:1ss). Dunque, Giona fugge non per paura, ma a causa dello sconforto e della delusione: Dio lo delude; le cose non vanno come egli pensa e ritiene debbano andare; Dio è perciò ingiusto e immeritevole di essere ubbidito. Ma come abbiamo detto, anche noi recalcitriamo contro Gesù (cfr. At 26:14) quando talune questioni non ci piacciono, quando ci sembra che il cristianesimo non possa essere come lo vuole il Signore ma come lo vogliamo noi presuntuosi. Ma Dio controlla, segue, aspetta, richiama all’ordine la sua creatura: non gli possiamo sfuggire (Sal 139:7-12)!

Preghiamo il Signore di non fare come Giona, il quale ritenne che Dio fosse ingiusto («gli Assiri sono assai crudeli e pertanto non meritano salvezza») e irragionevole («predicando loro l’assurdo ravvedimento, rischio di andare contro il mio popolo»). Preghiamo il Signore di non ostacolare mai il suo piano di salvezza e di ricordare le sagge parole del dotto Gamaliele (At 5:34-40), se non si vuole rischiare di combattere contro di lui.

 

LA DISPERAZIONE DI GIONA E SUA LIBERAZIONE

Buttato a mare dai marinai della nave entro cui s’era nascosto a Giaffa, Giona trova ricovero nel ventre del gran pesce per tre giorni e tre notti. Ivi rinviene (ma solo in parte, come vedremo) la ragione e invoca l’aiuto soprannaturale. La disubbidienza non può che portare alla disperazione, e la disperazione alla richiesta di aiuto. Dunque, il cerchio si chiude: chiamati da Dio, fuggiti dalla sua presenza, viventi nella disubbidienza e disperazione più cupa, avvolti dal male, non possiamo che chiamare lui (cfr. Lc 15:11-32: il figliol prodigo). Circondato fisicamente dall’abisso della morte, Giona è riconoscente per la grazia ricevuta. Riconciliato con Dio e con la vita, non può fare altro che avviarsi verso Ninive. Sembra aver capito la lezione, ma …

Facciamo qualche applicazione alla nostra condizione di cristiani. Quanti cristiani hanno tentato di fuggire dal Signore abbandonando la Chiesa, vivendo secondo la loro logica, ritenendo che Dio non fosse quello per il quale avevano lottato a suo tempo? Quanti cristiani, però, a differenza di Giona, non sono più tornati dall’abisso? Quanti cristiani addirittura evitano la compagnia di altri figli di Dio, recando scempio al corpo di Cristo, la Chiesa, e dando una pessima testimonianza al mondo? Quanti cristiani vivono nella disperazione data dal peccato e dalla mancata, giornaliera riconciliazione (o ravvedimento) con Dio? Per uscire da questa terribile situazione, non v’è che un unico rimedio, lo stesso che ha permesso a Giona di salvarsi: la memoria del Signore. Di lui bisogna ricordare la

  • Parola (Gio 2 è un mosaico di reminiscenze di testi biblici, soprattutto i Salmi);
  • misericordia (Gio 2:2);
  • sovranità (Gio 2:9: Egli salva chi vuole perché è il Signore del cielo e della terra.

Anche i cristiani, proprio come Giona, nel momento del bisogno, dell’abbandono, della ribellione debbono tornare ai fondamenti della fede e della grandezza di Dio. È l’unica speranza.

 

LA MANCATA COMPASSIONE DI GIONA

Avviatosi ad adempiere il suo compito (Gio 2:10), il profeta si accorge, con meraviglia, che gli odiati Niniviti si convertono alla Parola del Signore (Gic 3). Se è vero che Giona ubbidisce, pur obtorto collo, è altrettanto vero però che egli non ha compassione (Gio 4:1-2).

Non basta dunque predicare: occorre mettere anche il cuore, noi stessi, i nostri desideri biblici, le nostre continue preghiere perché tutto sia fatto secondo la volontà del Padre. La lacuna di Giona in tal senso conferisce al credente una severa lezione: l’attività sua deve essere qualitativamente buona, quindi il servizio deve coniugarsi con l’atteggiamento più proprio alla professione di fede in Cristo. In caso contrario, i risultati non potranno essere quelli che il Signore richiede: il seme del Regno va gettato da operai interessati e preganti perché il raccolto conseguente piaccia a Dio.

 

LA DELUSIONE DI GIONA

L’abbattimento di Giona per la conversione dei Niniviti è, a dire poco, impressionante in negativo. Egli avrebbe addirittura preferito gustare la morte piuttosto che vedere vivere i Niniviti. Giona imputa a Dio di essere troppo buono, misericordioso, quasi che Dio potesse o dovesse essere modellato dall’uomo (e questo era esattamente quello che succedeva con gli idoli). Ma Dio ha perdonato un popolo che si è ravveduto e si è ravveduto come doveva.

Anche noi spesso, al pari di Giona, non sappiamo che cosa sia il ravvedimento nostro e altrui, a che cosa serva e perché si debba accettarlo. Non capiamo, purtroppo, che esso è

la linfa della vita in Cristo,

per tutti,

stimolo a migliorare e a rivedersi secondo la Parola di Dio,

incoraggiamento reciproco,

umiltà, dignità, serietà …

A molti cristiani può capitare di essere spietati, senza cuore e misericordia rispetto alla conversione altrui. Il sospetto ha vita facile (cfr. At 9:26), il perdono no. Chiamare oggi “fratello” chi un tempo non ci piaceva o ha peccato contro di noi, e che pure si è ravveduto, costa fatica. Allora, che cosa mai Dio dovrebbe dire di noi? Soprattutto, che cosa dovrebbe fare di noi?

 

RIMANERE SPIRITUALI

Giona è un uomo pieno di contraddizioni e di egoismo, come siamo un po’ tutti noi. Ardisce dibattere con Dio a proposito della conversione dei Niniviti, palesando tutta la sua amarezza in proposito e giungendo a desiderare la morte (Gio 4:3). Ma appena riceve una grazia dal Signore (una pianta di ricino utile a dargli ombra e frescura; misera grazia, invero, seppure importante, nell’assolato panorama vicino-orientale), ebbene Giona riprende a vivere, tutto contento (Gio 4:6ss), salvo poi a ripiombare nella disperazione più assoluta allorché Dio fa seccare il ricino a causa di un verme.

Ecco, allora, la straordinaria, ultima lezione divina a Giona: «È possibile che, pur non avendo faticato per farla crescere, tu ti sdegni della morte di una pianta, e io non debba compatire e operare la salvezza di centoventimila persone?». Giona è veramente egoista e poco spirituale, tutto proteso a difendere i suoi diritti (doni divini e non fatica sua) e a dimenticare i suoi doveri. Giona possiede un’anima viziata e testarda sino all’inverosimile; non gli piace l’idea di spartire i suoi privilegi con altri. A questo “capoccione” impenitente, il Signore tenta di aprire il cuore, intervenendo con tanta delicatezza e umorismo.

Che la lezione serva anche, troppo ben serrati nel nostro guscio, troppo attenti a salvaguardare le nostre benedizioni materiali e troppo predisposti a dimenticare le necessità e le priorità del Regno di Dio. Apriamoci allo Spirito Santo!

 

Arrigo Corazza

 

LA CONVERSIONE DEI NINIVITI (GIONA 3)

 

  • La conversione (o “ravvedimento”) è un gesto interiore che si materia visibilmente facendo frutti degni del passaggio dalla morte alla vita, dal mondo a Dio (cfr. Mt 3:7; At 26:20).
  • Il ravvedimento dalle opere morte è uno dei capisaldi del cristianesimo (Eb 6:1), forse l’aspetto più importante, perché di giorno in giorno guida il credente alla santificazione e al timore di Dio. Gesù ci chiama al completo e continuo ravvedimento.
  • Nondimeno, il ravvedimento si rivela difficile e faticoso per tutti i cristiani. Vari fattori concorrono a far sì che sia così raro: innanzitutto, l’orgoglio e la falsa idea di dare soddisfazione all’uomo. La debolezza e la presunzione umana fanno il resto … Ma questo modo di fare è assolutamente sbagliato: nessuno si converte a Dio per fare contenti gli uomini, ma solo a Dio per Dio. Se dessimo maggior gloria al Signore, allora avremmo sicuramente più conversioni interne ed esterne alla Chiesa. Non ci si deve vergognare di ravvedersi. II N.T. è pieno di esempi buoni e positivi al riguardo. Preghiamo il Cielo che ci aiuti a ravvederci dopo aver provato la tristezza secondo Dio (2Cor 7:9-10) e riconosciuto la benignità di Dio. In caso contrario, si rischia per sempre di non essere più in grado di tornare a lui (Eb 6:6).

La conversione dei Niniviti offre alcune buone riflessioni. Vediamo il capitolo 3 di Giona. La risposta di quegli Assiri al richiamo divino fu:

completa (v. 6): dal più grande al più piccolo. Per contrasto, si ricordino qui i Sodomiti, anch’essi dediti al male (dagli anziani ai giovani: Gn 19:4).

pubblica (vv. 5-8): a partire dal re sino alle bestie; senza segreti o infingimenti, dando tutti testimonianza a Dio. Si ricordino anche gli operatori dell’occulto che, convertitisi a Efeso, bruciarono i loro preziosissimi libri in presenza di tutti (At 19:18-19).

sincera (vv. 7-8): mediante un digiuno e la vestizione a lutto.

ripiena di preghiera (vv. 7-8): gridando con forza al Signore.

mossa da buoni propositi (v. 8): esortando a vivere diversamente rispetto al passato (vita malvagia e violenta).

piena di umiltà e fede (v. 9): «Forse Dio si ricrederà, si pentirà e spegnerà la sua ira ardente, così che noi non periamo».

Alla predicazione di Dio, i Niniviti risposero in modo massiccio e magnifico. E il mondo, oggi, come risponde? E le Chiese di Cristo, come rispondono, oggi (1Cor 5:1-2; Ap 2:4-5,14-16,21-22; 3:3)?

 

Arrigo Corazza