IL DISCEPOLO DI CRISTO E LA BIBBIA

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IL DISCEPOLO DI CRISTO E LA BIBBIA

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Un tema che sta molto a cuore ai cristiani concerne il rapporto esistente tra la Parola di Dio (la Bibbia) e il discepolo di Cristo. Diventare discepolo di Cristo significa diventare “cristiano”, ed essere “cristiano” significa altresì entrare in relazione con Dio e con altri credenti nel nome di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Questa relazione esige, nei due ambiti (quello dell’incontro con il Signore – rapporto verticale – e quello dell’incontro con altri credenti nella Chiesa – rapporto orizzontale), un comportamento confacente alla fede abbracciata. In altre parole, bisogna perseverare nella “santità” (cioè nella “separazione” dal mondo peccatore preda di Satana). La santificazione del credente è il prodotto della pratica del Vangelo.

Ora, sebbene in tempi recenti il rapporto tra la Bibbia e il credente sia stato spesso messo in discussione, occorre ribadire che esso ha invece sempre rivestito un ruolo centrale nel cristianesimo. E davvero non poteva essere altrimenti, viste le caratteristiche proprie del cristianesimo stesso, che si presenta come una religione monoteistica, fondata, storica, universalistica, rivelata, soteriologica.

  • Monoteistica, in quanto raccolta nella fede dell’unico Dio (Mt 4:10; Mc 12:32-33; Gv 17:3; Rm 3:30; 1Cor 8:4-6; Ef 4:4; 1Tm 2:5);
  • fondata, essendo opera esclusiva e diretta di Gesù Cristo (Mt 16:18);
  • storica, giacché affonda le sue radici non nel mito, ma nella concretezza di Gesù Cristo collocata nel fluire della storia (Lc 3:1ss; peraltro, il cristianesimo è il compimento della straordinaria esperienza storica d’Israele: cfr. Gal 4:4; Mt 5:17; Gal 6:15-16);
  • rivelata, perché è il prodotto della rivelazione di Dio nella figura e nell’opera di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, la Parola incarnata (Gv 1:1-18);
  • soteriologica, dal momento che è imperniata sulla realtà futura della salvezza eterna in Dio tramite il Cristo (1Pt 1:9; 2Ts 2:13; 2Tm 3:15).

Il cristianesimo ha dunque a che fare con Gesù di Nazareth, detto il Cristo, il Figlio di Dio. È un dato di fatto palese, che non dovrebbe essere soggetto ad alcuna revisione. Di conseguenza, non si dà cristianesimo senza Cristo visto quale Figlio di Dio e Dio incarnato; non si dà cristianesimo senza il Vangelo, che è la Parola di Cristo; non si dà cristianesimo senza Bibbia, che è la Parola di Dio; non si dà il discepolo di Cristo senza la Bibbia che produce la fede (Rm 10:17), profonda e convinta, nel Cristo Salvatore risorto dai morti e asceso alla destra del Padre. Tutto ciò è evidente a chi conosca, ami e pratichi la Bibbia. È impensabile immaginare il cristianesimo distinto da Gesù Cristo e dalla sua Parola. L’ignoranza di Cristo e della sua Parola è il fecondo terreno di coltura di false dottrine e, quindi, di divisioni (“eresie” in greco), partorite dalle tradizioni umane, dalle filosofie umane, che a nulla giovano ai fini della salvezza.

Viceversa, a chi non conosce o non accetta la Bibbia quale Parola di Dio (e si tratta, purtroppo, di una larga fetta di Italiani) potrebbe piacere l’idea che il discepolato si instauri esternamente rispetto alla Parola del Signore, grazie a chissà quale magia o artificio. Ecco, allora, farsi prepotentemente strada nella mentalità collettiva una serie numerosa di considerazioni molto generiche e oramai consunte. Esaminiamone qui solo alcune, le tre più popolari.

  • La prima prevede che per essere bravi figlioli di Dio basti “credere” in Qualcosa (neppure in Qualcuno!);
  • La seconda, già più vaga, sostiene che molto importante è «non fare del male agli altri»;
  • La terza, dopo acutissima riflessione, ci porta alla botta finale: tutto potrebbe ridursi, alla fin fine, «a fare il bene agli altri».Nondimeno, a questo punto s’insinua forte il sospetto che il «non fare del male agli altri» o il «fare del bene agli altri» non sia prerogativa esclusiva ed assoluta di chi “crede”, ma anche dell’ateo.

Di conseguenza, la questione è sicuramente più complessa e profonda, e non può essere liquidata con i soliti detti popolari triti e ritriti, che, appunto perché popolari, si ritiene siano tanto validi quanto la Parola di Dio. Del resto, il vecchio adagio vox populi, vox Dei («la voce del popolo è la voce di Dio») non è nato per caso. Però, la voce popolare non è la voce di Dio. Mentre la voce popolare è il risultato dei fatti e dei condizionamenti storici, la voce di Dio è la sua rivelazione alla creatura umana nei tempi e nei modi stabiliti dalla sua immensa saggezza (Eb 1:1-2). Insomma: la Bibbia è la vox Dei e non la vox populi. Si vorrebbe che la volontà di Dio fosse identificata con la vox populi, ma non è affatto così.

Ai tre punti appena esposti si potrebbe ribattere nel modo che segue.

  • In fin dei conti, la volontà di “credere” in Qualcosa (sic!) o in Qualcuno è una costante delle religioni, e pertanto non risolve il vero dilemma del cristianesimo: credere che Gesù di Nazaret sia il Signore, la Parola incarnata, il Figlio di Dio risorto dai morti, Dio in terra. Chiediamoci onestamente: quante persone, oggi, tra quelle che conosciamo o tra quelle con le quali dividiamo – volenti o nolenti – la nostra esistenza quotidiana, sono veramente disposte a credere che Gesù sia Dio, affidando a lui la loro vita, e non già un “bravo profeta” o una “brava persona” o un “bravo maestro”? È da temere purtroppo che per la massa, oggi, Gesù sia solo e tutto questo (ossia: “un personaggio affascinante”). Non si va oltre.
  • Quanto ai restanti due punti, ribadisco quanto già detto sopra: la volontà di non nuocere o di fare il bene al prossimo potrebbe in effetti non rispondere ad alcun tipo d’intendimento religioso (vi sono nobili esempi di filantropi e benefattori anche tra coloro che non amano affatto il concetto di “Dio”).

Un’ultima considerazione, prima di chiudere questo punto: se è vero che la fede in Cristo passa soltanto attraverso la Parola di Dio, allora occorre diffidare seriamente e severamente di quelle forme di religiosità assai diffuse tra la massa: si tratta, molto spesso, di richiami voluti da strutture che, religiose o no, guardano in primo luogo ai loro affari (al cosiddetto “business”: si pensi, per esempio, ai santuari). Tali strutture posseggono il potere di manipolare le masse tramite i mezzi di comunicazione. E, com’è noto, i mezzi di comunicazione possono fare enormi titoli per questioni minime e, viceversa, appena citare o addirittura disattendere casi fondamentali, alterando ed influenzando così il corso delle cose, soprattutto di quelle d’indole intellettuale; riescono cioè a fare “cultura” a loro modo, a loro uso e consumo. Occorre stare attenti a far sì che il discepolo di Cristo diventi tale solo attraverso la Parola di Dio.

 

Arrigo Corazza