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LAZZARO, IL SILENZIOSO TESTIMONE DEI SEGRETI DELLA MORTE

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«Gesù non è venuto ad alterare il ciclo normale della vita fisica, liberando l’uomo dalla morte biologica, ma a dare a questa un nuovo significato» (J. Mateos – J. Barreto).

 

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«Lazzaro fu il silenzioso testimone dei segreti della morte» (A.T. Robertson).

 

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«Poiché dunque i figli hanno in comune sangue e carne, egli [Gesù] pure vi ha similmente partecipato, per distruggere, con la sua morte, colui che aveva il potere sulla morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che dal timore della morte erano tenuti schiavi per tutta la loro vita» (Eb 2:14-15).

 

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LA GRANDEZZA DEL VANGELO DI GIOVANNI

Che il Vangelo secondo Giovanni rappresenti una delle opere più illustri della Bibbia e dell’intera letteratura mondiale, è noto. Basti pensare al carattere, alla materia, allo stile e al messaggio del libro, scritto per generare la fede nel lettore (20:30-31). La persona storica di Gesù si staglia al centro di questa straordinaria opera: egli è il Logos incarnato, la suprema rivelazione divina, Dio che si manifesta all’umanità. Da un lato, il Vangelo di Giovanni è il libro delle autorivelazioni di Cristo (“io sono”); dall’altro, il Vangelo dei segni.

Sette sono le occorrenze dell’egò eimì nominale (“io sono”):

  1. il pane della vita (6:35,51);
  2. la luce del mondo (8:12);
  3. la porta delle pecore (10:7,9);
  4. il buon pastore (10:11,14);
  5. la risurrezione e la vita (11:25);
  6. la via, la verità e la vita (14:6);
  7. la vera vite (15:1-5).

Sette sono i segni (semèia; qualcuno traduce: “miracoli”) compiuti da Gesù:

  1. il cambiamento dell’acqua in vino durante le nozze di Cana (2:1-11);
  2. la guarigione del figlio dell’ufficiale regio (4:43-54);
  3. la guarigione di un paralitico (5:1-18);
  4. la moltiplicazione dei pani (6:1-15);
  5. il cammino sulle acque (6:16-21);
  6. la guarigione del cieco nato (9);
  7. la risurrezione di Lazzaro (11).

Gli studiosi sono concordi nel ritenere che proprio quest’ultimo segno, la risurrezione di Lazzaro, costituisca l’apice dell’attività di Cristo, sì da essere collocato come cerniera tra la prima e la seconda parte del libro. La risurrezione di Lazzaro è importantissima perché

  • adempie l’affermazione di Gesù secondo cui egli avrebbe donato la vita (capitolo 5);
  • è la prefigurazione della morte di Gesù e della sua risurrezione;
  • è la drammatizzazione della tematica Gesù / vita, che segue quella del Gesù / luce (capitolo 9: la guarigione del cieco nato);
  • induce le autorità giudaiche a condannare Gesù.

Il perno di Giovanni 11 non è costituito tanto dalla risurrezione di Lazzaro in sé e per sé (Giovanni non si sofferma sui particolari del miracolo, né tantomeno sulle reazioni di Lazzaro o delle sorelle Maria e Marta o della folla numerosa: il fatto viene riassunto in soli due versi, 43-44), quanto piuttosto dal discorso di Gesù con Marta (vv. 21-27), discorso che esprime in termini inequivocabili la realtà del Cristo come

  • datore di vita eterna,
  • signore sulla morte, 
  • autore della definitiva salvezza del genere umano.

È dunque possibile pensare che Marta (e non Lazzaro) sia la figura centrale di Giovanni 11. Il povero Lazzaro, strumento della gloria di Dio, sembrerebbe poco importante per Giovanni, che non riporta neppure una sola parola da lui proferita. Invece, si potrebbe pensare che Giovanni voglia porre in rilievo il silenzio di Lazzaro, silenzio che è davvero la chiave per capire la personalità dignitosa di un uomo partecipe di un’esperienza eccezionale: la risurrezione. Quell’uomo di Betania fu «il silenzioso testimone dei segreti della morte» (A.T. Robertson).

 

LAZZARO NELLE FONTI NEOTESTAMENTARIE

Pochissimi sono i dati tramandatici nel N.T. circa Lazzaro. Anzitutto, bisogna ricordare che solo Giovanni si è adoperato in tal senso (nei capitoli 11 e 12). Luca parla di Maria e di Marta, sorelle di Lazzaro, ma non di lui (cfr. Lc 10:38-42. È noto infatti il silenzio dei sinottici sulla risurrezione di Lazzaro: il che ha fatto dubitare, da parte di alcuni critici, della storicità del fatto. Ma noi sappiamo, tra le altre cose, che Giovanni riporta una tradizione antica, attendibile e indipendente rispetto ai sinottici, che conservano pochi ricordi del ministero giudaico di Gesù).

Il nome “Lazzaro” era assai diffuso all’epoca di Gesù. Esso (abbreviazione di “Eleazar”) equivale, in ebraico, alla frase: “Dio ha aiutato”. Da Giovanni provengono alcune informazioni taciute da Luca: ad esempio, che egli era il fratello di Maria e di Marta, che tutti e tre potevano vantare un’amicizia con Gesù (Gv 11:5,11,36), il quale si ritirava presso la loro casa di Betania, villaggio a circa 3 km. da Gerusalemme, sulle pendici orientali del Monte degli Ulivi (Mc 11:11; 14:3; Lc 10:38-41).

 

LA RISURREZIONE DI LAZZARO (GIOVANNI 11)

Qualche settimana prima della passione di Cristo, Lazzaro si ammala gravemente (nulla si sa circa la natura della sua malattia). Richiesto di un intervento, Gesù, inaspettatamente, attende per due giorni prima di muovere verso Betania, insieme con il gruppo apostolico (al solito, gli apostoli non avevano compreso la profondità delle parole del Signore: cfr. 1-16). All’arrivo di Gesù a Betania, Marta si porta presso di lui e intesse un discorso estremamente delicato. Gesù le annuncia che Lazzaro, suo fratello, riavrà la vita fisica come segno della vita eterna, per la glorificazione del Padre e del Figlio. Gesù afferma di essere la risurrezione e la vita, stabilendo in modo chiaro la propria divinità e l’esigenza di essere accolto con fede nella vita della creatura umana, che, d’ora in avanti, è segnata dalla presenza del Cristo. Vita dell’uomo con Cristo oppure vita dell’uomo senza Cristo? (vv. 21-27).

Dopo Marta, ecco giungere Maria e il seguito dei parenti intervenuto secondo le pratiche funerarie del tempo. Gli aspetti umani del dramma della morte si ripetono, così allora, come oggi, come sempre finché esisterà il presente secolo: piange Maria, piangono i Giudei, piange Gesù: il quale, in pari tempo, palesa un fremito di sdegno, quasi di collera (interessanti le annotazioni filologiche degli esegeti in merito ai verbi adoperati da Giovanni per esprimere lo stato d’animo del Signore: embrimàomai, taràsso, dakrýo). Contro chi o che cosa Cristo reagisce? Contro la poca fede degli astanti, ovvero contro la morte, potenza oscura? Comunque sia, ordina di rimuovere la pesante pietra che sigilla la tomba. Marta, per un attimo, è disorientata, temendo le sgradevoli conseguenze del caso, visto che Lazzaro vi giaceva già da quattro lunghi giorni: ma, all’incitamento del Signore, che le chiede di credere, si rassegna. La pietra viene rimossa: Gesù può ora richiamare l’amico a vita. Lazzaro emerge dall’oscurità della morte. Immaginiamo lo spettacolo. Giovanni nulla dice di specifico, ma possiamo immaginare la reazione delle sorelle del resuscitato, dei suoi parenti e della folla: il vederlo là dinanzi a tutti, con ancora i piedi e le mani bendati e il sudario (telo) sul volto.

La Scrittura afferma che molti Giudei credono in Gesù dopo aver visto il miracolo; altri, però, appartenenti al mondo ostile al Signore, si recano dai Farisei e li informano del fatto (vv. 45-46). Convocato il Sinedrio, i dirigenti del giudaismo, privi di qualunque sensibilità di fronte a fatti talmente clamorosi e per converso spinti da crudo realismo politico, deliberano di ucciderlo (Gv 11:53). Ma, così facendo, non si accorgono di rendere il migliore beneficio alla causa di Dio. Il racconto della risurrezione di Lazzaro è veramente scritto con molta perizia, con finezza psicologica, con l’intendimento di annunciare importantissime verità spirituali. Giovanni non finisce mai di sorprenderci: egli è davvero un genio!

 

LAZZARO: DOPO LA RISURREZIONE (GIOVANNI 12:1-11)

Il risuscitato appare nuovamente sei giorni prima della Pasqua (durante la settimana pasquale si consumerà la tragedia del Nazareno). L’occasione è classica: una cena, offerta al Maestro da Simone il Lebbroso, un Fariseo (Mt 26:6-13: Mc 14:3-9; Lc 7:56-50). Anche Lazzaro partecipa: egli è diventato un personaggio famoso: la folla, sempre numerosa, che attornia Gesù, questa volta è attirata da lui, che rappresenta visibilmente la potenza dell’uomo di Nazareth. Ma i capi dei sacerdoti, assai preoccupati, deliberano l’uccisione di Lazzaro, perché «a causa sua, molti Giudei andavano e credevano in Gesù» (Gv 12:11).

Sulla fine di Lazzaro non esistono notizie certe; quelle poche autorevoli e degne di fede si chiudono con Giovanni. Al solito, anche la figura di Lazzaro è stata assorbita dalla tradizione cattolica, sicché si parla di una sua opera d’evangelizzazione in Provenza (Francia) e di una sua partecipazione all’episcopato a Marsiglia. Questa leggenda è tuttavia molto tarda, risalendo al XI-XII sec. d.C. Le fonti orientali attestano l’esistenza delle sue reliquie nell’isola di Cipro. Felice è la sorte di Lazzaro nell’arte: un miracolo così significativo non poteva sfuggire a una precisa caratterizzazione artistica, volta a dimostrare la fede nell’onnipotenza di Cristo e nella sicurezza della risurrezione.

 

I SEGRETI DELL’ALDILÀ

Lazzaro merita di essere considerato come uno dei personaggi più ragguardevoli d’ogni tempo. Per intendere questa frase, è ora necessario inserire alcuni pensieri sulla morte e sui segreti di essa e dell’aldilà.

Ogni generalizzazione arbitraria è da condannare. Eppure, si può dire che, fin dall’origine del genere umano, il tema della morte ha rappresentato il problema principale della vita di ciascuna creatura umana, che si chiude con la morte. La morte fisica, fatta eccezione per il caso di Gesù, si è estesa ad ogni creatura. Che cos’è la morte? Perché si muore? Esiste una vita dopo la morte? Se sì, allora di quale tipo di vita si tratta? e così via: queste sono soltanto alcune delle domande che l’uomo, si pone, da sempre, intorno alla morte. L’universo è pieno di testimonianze del genere, sin dall’epoca preistorica (per la quale, in mancanza della scrittura, parlano i resti archeologici attestanti un insieme di credenze nella vita ultraterrena).

Pare legittimo porsi queste domande, poiché se si vuole morire occorre anche saper vivere nella maniera giusta. Ma vivere con l’angoscia della morte significa essere già morti. Il cristiano, che ha accolto la rivelazione scritta di Dio, cioè la Bibbia, conosce molto bene ciò che egli volle renderci noto in modo definitivo, autoritario e chiaro circa la morte. Il cristiano non teme più la morte (Eb 2:14-15). Tuttavia, bisogna ammetterlo, ciò che il Signore ci ha rivelato non è tanto quanto basta a soddisfare la curiosità umana, che è inesauribile. Certo, lo Spirito Santo non ci ha detto come si vivrà nella vita futura ma ci ha rivelato i tratti essenziali dell’oltretomba: studiare i quattro Vangeli significa anche rendersi conto di quanto il Signore Gesù abbia detto in proposito.

Di per sé l’uomo non può giungere alla conoscenza dei segreti dell’aldilà (cfr. Gb 38:17): per farlo dovrebbe morire e poi tornare a questa vita per spiegarli. Forse, non è ciò che il ricco, oppresso nei tormenti dell’Ades, voleva che Lazzaro (solo omonimo del Nostro) facesse per avvertire i propri familiari di evitare la sua orribile sorte (Lc 16:19-31)? Questo brano è fondamentale per capire certe realtà della vita e della morte. La risposta di Abramo è significativa: i suoi familiari hanno la rivelazione di Dio (Mosè e i profeti); li ascoltino e vivano conseguentemente. Al che il tormentato (ben conscio dell’indole dei suoi) replica: «No, padre Abramo; ma se uno va a loro dai morti, si ravvedranno». Abramo a lui: «Se non ascoltano Mosé e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse». Quindi, è perfettamente inutile richiamare alla vita i morti e subissarli di domande, quasi che dopo si sia disposti a cambiare vita … Per cambiare vita non occorrono le rivelazioni né dei risuscitati né dei negromanti, bensì la conoscenza e l’applicazione della volontà di Dio, rivelata all’uomo da Cristo nel N.T. Conoscere i segreti della vita e della morte equivale a vivere come Cristo comanda.

 

LAZZARO: IL SILENZIOSO TESTIMONE DEI SEGRETI DELLA MORTE

Il silenzio: questa è appunto la chiave per comprendere la personalità di Lazzaro, del quale, come abbiamo detto, nessuna parola ci è giunta tramite gli autori sacri o tramite la tradizione collaterale o posteriore. Lazzaro era diventato famoso; e, pertanto, avrebbe potuto speculare sulla propria situazione. Eppure, a quanto pare, non lo fece, né lo fecero gli autori del N.T., che pure dovettero conoscere la sua storia. Certo è che un silenzio così pieno dimostra l’intelligenza, la disposizione e il rispetto di quest’uomo verso le cose di Dio. Lazzaro si sarà affaticato per difendersi dalla morbosa curiosità degli astanti, degli scansafatiche, accorsi per vederlo, toccarlo, per vivere l’eccitazione di un momento, che subito lascia il posto alla consuetudine e al peccato di sempre. Egli capì tutto del Cristo, del suo amico, giacché volle che soltanto Gesù parlasse dei segreti della vita e della morte. Lazzaro, a ben guardare, ebbe la benedizione di vivere un’esperienza del genere nel suo tempo: se essa fosse accaduta oggi sarebbe divenuto il dio dei mezzi d’informazione, l’idolo di miliardi di persone non interessate a Dio. Qualcuno avrebbe erroneamente potuto elevarlo al rango di “divinità”, grado che non gli spetta, in quanto la risurrezione di Lazzaro fu momentanea e in vista della gloria di Dio e di Gesù: non si trattò di una risurrezione uguale a quella del Signore. Anche Lazzaro, come ogni altro essere vivente, alla fine morì, portando definitivamente con sé la diretta conoscenza dei segreti dell’aldilà. Perciò, egli rappresenta uno dei più illustri personaggi d’ogni tempo: perché non ha voluto che la sua verità fosse diffusa, ma quella di Cristo.

 

Arrigo Corazza