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Presento una serie di riflessioni sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi scritte nel 1995, ma mai pubblicate finora. Questa è la quinta e ultima parte.

 

* * *

 

FARE TUTTO ALLA GLORIA DI DIO (1Corinzi 10:31)

 «Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio» (1Cor 10:31).

 «Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla chiesa di Dio; così come anch’io compiaccio a tutti in ogni cosa, cercando non l’utile mio ma quello dei molti, perché siano salvati» (1Cor 10:32-33).

 «Nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma ciascuno cerchi quello degli altri» (1Cor 10:24).

 

Nel Regno non si cerchi l’utile proprio, ma quello altrui (1Cor 10:24; cfr. inoltre 1Cor 10:33, 12:7; Fil 2:19 circa Timoteo). Paolo spiega così questo concetto: «ogni cosa mi è lecita, ma non ogni cosa è utile; ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa edifica» (1Cor 10:23).

Quei credenti che vogliono la chiesa alle prese con istituzioni umane ai fini dell’evangelizzazione, hanno compreso a fondo 1Cor 10:24? Se sì, allora perché non lo hanno applicato? Dov’è la loro carità? Vogliono fare del bene a tutti (Gal 6:10), ma non vogliono bene a tutti – certamente non a quei fedeli in disaccordo con loro a proposito di istituzioni umane accostate alla chiesa di Cristo.

Nella chiesa conta predicare il Vangelo (la Chiesa di Cristo esiste per questo preciso scopo) nella sua purezza, senza mischiarlo ad altre realtà. I credenti di tendenze liberali hanno creato divisioni – in ogni tempo e luogo – facendo leva sia sull’ignoranza delle Sacre Scritture sia sulla totale mancanza d’amore. Prima di causare guai alla fratellanza si sarebbe dovuto investigare a fondo la Parola di Dio e, una volta avuto il consenso della Parola, cercare quello della fratellanza (la carità verso la fratellanza), nella quale non tutti sono disposti o in grado di capire e/o accettare iniziative varie. Bisognava procedere avendo rispetto non solo per Dio e la sua Parola, ma anche per la comunità. Ma così non è stato, disgraziatamente. Fare perno su un’edificazione allettante ma fittizia, in quanto non basata né sulla Parola (Giuda 1:20, qui “fede” vale “dottrina”) né sul consenso dei fratelli, è sempre un gioco estremamente pericoloso, che alla fine non paga. È stato un grave errore, che ha fatto il gioco di Satana e impoverito l’evangelizzazione – quella basata solo sulla Bibbia, l’unica che valga davvero nel lungo periodo. È vero che nel tempo breve le cose paiono migliori, ma alla lunga senza radici scritturali non si va da nessuna parte. Ad esempio, se io divento cristiano per i pacchi-dono, che cosa succederà quando i pacchi-dono non ci saranno più? E i pacchi-dono sono soltanto uno dei molti esempi negativi che si potrebbero citare circa forme ibride di predicazione presenti nella storia del cristianesimo. Il Vangelo è bellissimo, ma esige sacrifici e fedeltà; ma non tutti sono disposti a durare fatica per onorarlo. C’è chi non ne ha più e abbandona – quasi sempre accusando poi la fratellanza di poca cura, disaffezione e via dicendo (questo è un “classico” nelle chiese). C’è chi vuole risultati grandiosi e immediati, senza tenere conto dei tempi strutturali di accettazione e crescita del Vangelo. La conversione a Cristo è spesso lentissima nel nostro Paese, sicché la crescita numerica nelle chiese va di pari passo. Bisogna armarsi di Vangelo e di tanta pazienza per conseguire certi risultati. E talvolta non basta una sola generazione per gustarli spiritualmente. Il Vangelo in Italia è quasi immobile (per capire perché basta guardare alla storia religiosa nel nostro Paese).

Senza la Parola di Dio le iniziative dell’uomo, pur lodevoli che possano sembrare all’inizio, sono inefficaci. È inutile girarci attorno. Poi, se non si vuole essere più Chiesa di Cristo ma l’ennesima “chiesa” nel “cristianesimo” [pare che si sia arrivati alla cifra stratosferica di trentamila gruppi – dati del 2020], allora va bene tutto e parliamo d’altro, lasciando però in pace la Chiesa di Cristo, quella di Mt 16:18ss., che ha vita e forze proprie. Cristo è morto per la Chiesa (Ef 5:23) e non per i disgustosi giochetti di potere dei cristiani nelle chiese.

 

A CIASCUNO IL DONO PER IL BENE COMUNE (1Corinzi 12:7)

Uno dei principi cardine dell’ideologia del Regno è che lo Spirito regola la vita della chiesa distribuendo i doni secondo i suoi intendimenti (cfr. 1Cor 12), allo scopo di magnificare il bene divino e l’utilità comune. Nella chiesa non si deve mai fare nulla per partito preso o per soddisfare concupiscenze carnali (specie l’acquisizione di potere): al contrario, ogni cosa va fatta ai fini dell’edificazione comune. Nondimeno, non può esservi crescita senza comunione d’intenti, sopportazione reciproca, slancio verso la vetta suprema che è Dio in Cristo Gesù.

Nel brano paolino dedicato ai doni dello Spirito nella comunità si insiste sulla cooperazione di tutti alla missione della chiesa. A tale scopo Paolo si serve del classico esempio delle membra del corpo, nel cui armonioso complesso è vano perseguire una qualche superiorità. Al contrario, nel corpo vige il legame e la perfetta unione tra le varie parti. In uno dei più celebri ed ispirati capitoli della letteratura mondiale (1Cor 13), Paolo parla dell’amore, della carità (greco: agàpe), la forma più alta di sentimento per il cristiano (quella di 1Cor 13 è sempre una lettura salutare e attuale per il cristiano).

Stabilito il primato dell’agàpe (vero motore e sostegno dell’esistenza del credente) all’interno del particolareggiato insieme dei beni messianici, bisogna cercare i doni per l’edificazione della comunità (1Cor 14:12), dando la preferenza ai carismi della profezia (1Cor 14:22), che sono oggi costituiti dagli scritti neotestamentari (capiti e vissuti). L’amore e il N.T. debbono andare di pari passo recando i frutti che il Signore richiede. Infatti, come senza la carità non si può proseguire nel rapporto con Dio e il prossimo (cfr. Mc 12:30-31), così senza la Parola di Dio, opera dello Spirito Santo, è impossibile procedere fedelmente e veracemente nella pratica della carità («seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo», Ef 4:15). Poi tutti i cristiani puntano alla gloria di Dio («a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, a lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen», Ef 3:20-21).

In pratica, nella chiesa la spettacolarità senza il Vangelo di Cristo non serve a niente e va rigettata fermamente: basta la realtà della fede dottrinale mossa dall’amore verso il Regno e l’edificazione mutua nel nome del Signore. Paolo è molto accurato nel sottolineare la necessità della costruzione nel complesso e difficile mondo dei carismi. Soprattutto, i cristiani hanno assoluta necessità d’imparare e di essere esortati («tutti potete profetizzare a uno a uno, perché tutti imparino e tutti siano esortati», 1Cor 14:32). Paolo non dice una parte sì e una no; dice tutti.

 

LAVORARE DOVE OCCORRE (1Corinzi 16:8-9)

 «Rimarrò a Efeso fino alla Pentecoste, perché qui una larga porta mi si è aperta a un lavoro efficace, e vi sono molti avversari. Ora se viene Timoteo, guardate che stia fra voi senza timore, perché lavora nell’opera del Signore come faccio anch’io. Nessuno dunque lo disprezzi; ma fatelo proseguire in pace, perché venga da me; poiché io l’aspetto con i fratelli» (1Cor. 16:8-11).

«Per questa ragione appunto sono stato tante volte impedito di venire da voi; ma ora, non avendo più campo d’azione in queste regioni, e avendo già da molti anni un gran desiderio di venire da voi, quando andrò in Spagna, spero, passando, di vedervi e di essere aiutato da voi a raggiungere quella regione, dopo aver goduto almeno un po’ della vostra compagnia» (Rm 15:22-24).

 

Nel Regno, i cristiani debbono essere guidati dal principio supremo di fruire di ogni situazione lecita ed edificante allo scopo di proclamare il Vangelo della salvezza. In 1Cor 16:9 Paolo precisa quanto importante sia giovarsi delle condizioni favorevoli alla predicazione: il che equivale a favorire scelte ben precise in vista dell’annuncio del Vangelo. Occorre, dunque, fare i sacrifici necessari piegando ogni circostanza alle esigenze del Regno. Dappertutto i fratelli debbono avere cura dell’evangelizzazione.

È emozionate sapere come agli inizi vi fosse una partecipazione comune delle chiese e dei singoli cristiani allo spargimento del seme del Regno. Vediamo alcuni esempi.

– Paolo spera che i cristiani in Roma lo aiutino alla volta della Spagna (Rm 15:24);

– Paolo esorta Tito a provvedere ai bisogni di alcuni fratelli («provvedi con cura al viaggio di Zena, il giurista, e di Apollo, perché non manchi loro niente. Imparino anche i nostri a dedicarsi a opere buone per provvedere alle necessità, affinché non stiano senza portar frutto», Tt 3:13-14);

– l’anziano (Giovanni) spera sull’aiuto di un tale Gaio, di cui tesse le lodi: «carissimo, tu agisci fedelmente in tutto ciò che fai in favore dei fratelli, per di più stranieri. Questi hanno reso testimonianza del tuo amore, davanti alla chiesa; e farai bene a provvedere al loro viaggio in modo degno di Dio; perché sono partiti per amore del nome di Cristo, senza prender niente dai pagani. Noi dobbiamo perciò accogliere tali persone, per collaborare in favore della verità» (3Gv 1:5-8).

 

Arrigo Corazza