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IL TERMINE “CRISTIANO”

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IL CRISTIANO È UN CRETINO?

La sorte del vocabolo “cristiano” è simile a quella di molti altri: l’uso che se ne fa oggi (o che se ne è fatto nel corso dei secoli) non rispecchia appieno il significato originario. Si pensi, ad esempio, a “battesimo”, che nell’originale greco significa “immersione” e non “spruzzamento” o “infusione”, oppure a “chiesa”, che significa “assemblea”, e “non edificio di culto”. In sostanza, mentre “cristiano” equivale a “messianico” (cioè “seguace dell’unto”, con probabile somma sorpresa dei più), nell’accezione comune “cristiano” è diventato sinonimo di “persona”, “essere umano” e via dicendo.

Ancora: apostrofando taluno con lo sgradevole epiteto di “cretino”, non sappiamo certo di chiamarlo “cristiano”: difatti, il nostro “cretino” viene da ambito francese dove “cristiano” si diceva crétin, passato poi (pare dalla metà del Settecento) ad indicare dapprima (con senso di commiserazione) il misero, il poveraccio, il “povero cristiano”, e poi (con valore spregiativo) il sempliciotto, l’ignorante. Ma è evidente che non ogni persona è un “cristiano”, né ogni “cristiano” è un “cretino” (in realtà, da un punto di vista religioso, ciascuno è o diventa quel che vuole essere).

A fronte dell’uso sconsiderato che si fa da parte della massa del termine “cristiano”, va detto che esso ricorre soltanto tre volte nel N.T. Pertanto, per comprendere bene che cosa significhi, è necessario riportarlo alle sue matrici originarie, che sono unicamente bibliche (ebraiche e greche). A tale scopo, la nostra breve ricerca si soffermerà su tre punti:

  • il concetto di “nome” nella Bibbia;
  • il termine “Cristo”;
  • il termine “cristiano”.

 

IL CONCETTO DI “NOME” NELLA BIBBIA

Presso quasi tutte le società, il “nome” ha sempre costituito un caposaldo: è la parola che indica persone, animali o cose sia come categoria, sia come singolo individuo. Per estensione passa a significare autorità (delega e rappresentanza: «in nome di Sua Maestà», «in nome del popolo italiano»), prestigio, fama, reputazione. È interessante notare come, storicamente, l’imposizione del nome (tesa a prospettare la personalità futura dell’individuo) si accompagni a riti appropriati, in modo da collocare il neonato o il ricevente nel gruppo sociale di appartenenza e/o nel mondo del passato o del sacro. Inoltre, l’intima relazione tra il nome e la persona genera la credenza che, sapendo pronunciare esattamente il nome, si possa disporre a proprio piacimento della persona che lo porta: nascono, allora, casi di occultamento e di proibizione di pronuncia.

L’uso dei nomi teofori (che derivano cioè da quelli di una divinità) nasce dalla convinzione che il mondo divino possa influire beneficamente su chi se ne fregia (presso i popoli semitici questo tipo di onomastica è assai diffuso). Un altro importante aspetto da considerare è che la mutazione del nome serve a mettere in risalto il passaggio ad una nuova condizione. Il che, ad esempio, accadeva per il principe egiziano consacrato Faraone, oppure per il sacerdote di divinità pagane e, ancora, per gli appartenenti ad alcuni ordini religiosi (si pensi al cambiamento del nome del Pontefice, diventato norma – pare – a partire da Silvestro II, il celebre erudito francese Gerberto di Aurillac, il papa dell’anno Mille. Secondo i cattolici questa prassi troverebbe spunto nell’episodio in cui Gesù impone a Simone il nome di Pietro: cfr. Gv 1:42).

IL NOME NELL’A.T.

Anche tra gli Ebrei, come in altri popoli del Vicino Oriente, si credeva che il nome definisse l’essenza del suo portatore, il nome essendo la dimensione viva dell’individuo. Tuttavia, gli Israeliti non hanno mai dato un valore magico alla conoscenza del nome, a differenza di quanto accadeva presso altri popoli vicini; per gli Ebrei il nome è, semplicemente, l’espressione della conoscenza che si ha delle persone e delle cose (vedi Adamo in Gn 2:19-20). Essere senza nome non è affatto auspicabile (Gb 30:8): equivale quasi a non esistere (Eccl 6:10). Il nome definisce l’essenza della persona: per questo il marito di Abigail si chiama giustamente Nabal (“stolto”: cfr. 1Sam 25:25); per questo Esaù asserisce che il nome di suo fratello Giacobbe (“soppiantatore”) è assai appropriato (cfr. Gn 27:36).

Conoscere e pronunciare il nome di una persona o di una cosa mette in relazione con essa (Es 3:13-14); ecco perché si andava molto cauti in presenza del nome di Dio (Es 20:7). Come oggi, anche allora parlare o agire in nome di qualcuno significava rappresentarlo, avendo partecipazione della sua autorità (vedi il caso di Davide contro Golia in 1Sam 17:45 oppure quello degli ambasciatori dello stesso Davide a Nabal: 1Sam 25:5,9).

IL NOME NEL N.T.

Con Gesù di Nazareth, che manifesta il nome di Dio agli uomini (Gv 17:6), una nuova autorità – quella del Figlio di Dio, quella del Messia – si presenta al mondo ebraico: sarà lui a salvare il popolo d’Israele dai peccati (Mt 1:21: Gesù significa “Yhwh [il Signore] è salvezza”), essendo l’Emanuele (Mt 1:23, cioè “Dio con noi”); i suoi discepoli saranno odiati a causa sua (Mt 10:22); Gesù sarà in mezzo a coloro (anche due o tre) che si raduneranno nel suo nome e predicheranno il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti, e non solo ad Israele (Lc 24:47).

Questa nuova autorità di Gesù fa sì che si chieda a Dio nel suo nome (Gv 14:13; 16:26), sicuri che Dio stesso concederà (Gv 14:14; 15:16; 16:23). Gesù è stato sovranamente innalzato da Dio e detiene un nome (“autorità”) che è al di sopra di ogni altra autorità (Fil 2:9,10; cfr. anche At 4:12: «in nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati»).

Dopo la morte, la risurrezione e l’ascensione al cielo di Gesù di Nazareth, detto il “Cristo” dai suoi discepoli (vedi oltre), intorno all’anno 30 d.C., nel giorno di Pentecoste descritto da At 2, nasce la sua Chiesa (Mt 16:18), la Chiesa di Cristo (Rm 16:16), la Chiesa di Dio in Cristo Gesù (1Ts 2:14). Secondo l’originale greco ekklesìa, la Chiesa è l’assemblea di chi crede in lui (e non un edificio materiale, come comunemente si crede). Dunque, la Chiesa di Cristo è l’assemblea dei cristiani riuniti nel nome (autorità) di Gesù.

  • Il battesimo, che incorpora alla Chiesa e che serve ad ottenere la remissione dei peccati e il dono dello Spirito Santo, è nel suo nome (At 2:38; 10:48; 1Cor 6:10-11);
  • la preghiera a Dio è rivolta nel nome del Signore Gesù Cristo (Ef 5:20);
  • i miracoli compiuti dai primi cristiani sono nel nome di Gesù Cristo (At 3:6; Mc 16:17);
  • la disciplina nella Chiesa viene esercitata nel nome del Signore Gesù (1Cor 5:4; 2Ts 3:6).

Insomma: la vita del cristiano e della Chiesa si riassume nelle seguenti parole dell’apostolo Paolo: «qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di lui» (Col 3:17).

Nella Chiesa di cui parla il N.T. l’unica autorità assoluta è Dio tramite Gesù di Nazareth, che è il “Cristo”. Dal giorno di Pentecoste di At 2 e sino al momento sconosciuto del ritorno di Gesù (Mt 24:36), quando il Signore rimetterà il Regno (che è la Chiesa) nelle mani di Dio (1Cor 15:24), ogni Chiesa deve essere e rimanere di Cristo. È una vera disgrazia spirituale che questo spesso non è stato e/o non sia.

 

CRISTO ( = MESSIA = UNTO)

“Cristo” e “messia” significano entrambi “unto”. “cristo” è dal greco christòs, “unto” (aggettivo verbale del verbo chrìo, “ungere”) e traduce l’ebraico maschìach (da mashàch, “ungere”) da cui deriva “messia” (Gv 4:25. Qui e in Gv 1:41 compare anche la forma greca messìas, che è solo una traslitterazione di maschìach).

La cerimonia dell’unzione, conformemente agli usi orientali, ratificava su chi ne era oggetto la scelta di Dio a svolgere un compito speciale: è così che venivano unti

  • i re d’Israele (1Sam 10:1; 16:12-13; 2Re 9:6),
  • i sacerdoti (Es 40:12-15),
  • i profeti (1Re 19:16; Is 61;1).

Addirittura un sovrano idolatra (il persiano Ciro: Is 45:1) è chiamato “unto” («così parla Yhwh [il Signore] al suo unto, a Ciro, che io ho preso per la destra per atterrare davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui le porte, in modo che nessuna gli resti chiusa»: Is 45:1). Ciro favorirà la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù babilonese. Pur senza rendersene conto, egli è l’unto, lo strumento del Signore.

Quindi “l’unto” del Signore è l’inviato scelto da Dio e atteso per recare al popolo di Dio aiuto e liberazione. Gli Ebrei attendevano il Cristo dalla tribù di Giuda e dalla famiglia di Davide (Gv 7:42; Lc 20:41; Lc 2:11), ma rifiutarono la sua identificazione con Gesù, che pure discendeva da essa (Mt 1:1-17). In At 24:5, a causa di questo rigetto, l’apostolo Paolo è definito dagli Ebrei «il capo della setta dei Nazorei» (Paolo non è mai stato né il capo dei cristiani, né di alcuno, ma solo il servo di Cristo).

 

CRISTIANO RICORRE SOLO TRE VOLTE NEL N.T.

“Cristiani” sono coloro che credono (At 2:44) che Gesù sia il Cristo promesso nell’A.T. (Patto) per conferire salvezza eterna a tutti i credenti in lui (Gv 3:16). “Cristiani” sono perciò i discepoli di Gesù Cristo (At 11:26) che praticano la sua volontà (Ebr 13:21), i santi (1Cor 1:2), gli eletti (1Pt 1:1; cfr. Ef 1:4), i fratelli (Rm 8:29; 1Cor 16:20) che seguono la sua Via (At 9:2; 22:4). Il vocabolo “cristiano” è assai raro nel N.T., ricorrendo solo tre volte: At 11:26; 26:28; 1Pt 4:16. Vediamole nell’ordine.

ATTI 11:26

Intorno al 40-44 d.C., ad una decina di anni dalla morte di Gesù, in Siria, esattamente «ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani». Si discute sul verbo «furono chiamati» (greco: chrematìzo, “portare un nome o titolo”, “chiamarsi”, “essere chiamato”): secondo taluni l’attribuzione sarebbe esterna alla Chiesa di Antiochia (sulla stregua di casi simili: Erodiani, Cesariani, Pompeiani, attestati presso autori pagani); altri, invece, ritengono che l’origine sia interna, e proprio da Dio, visto che originariamente chrematìzo significa “impartire istruzioni divine, predire, profetizzare, comandare”.

ATTI 26:28

Il re Agrippa disse all’apostolo Paolo: «Ancora un poco e mi persuadi a diventare cristiano» (altra possibile versione: «con così poco vorresti persuadermi a diventare cristiano?»).

1PIETRO 4:16

Soffrire perché si è “cristiani” non è causa di vergogna, ma occasione per glorificare Dio grazie alla testimonianza che proprio il nome di “cristiano” genera. Dal II sec. d.C. in poi l’uso del termine “cristiano” diventa la norma per designare i seguaci di Cristo. Il greco christianòs divenne christianus in latino, donde è penetrato in italiano in forma aggettivale e in forma di sostantivo. Abbiamo già visto all’inizio che, come sostantivo, oltre ad indicare chi professa la religione di Cristo e la pratica con convinzione, “cristiano” è giunto a valere “essere umano”, “persona”, contrapposto a “bestia” (questo concetto è di derivazione medievale, ritenendosi in quel periodo che il fondamento della dignità umana e del vivere fosse solo quello derivante dal cristianesimo).

 

CONCLUSIONI

In base alle tre sole occorrenze di christianòs nel N.T., si può affermare con sicurezza che dalla Pentecoste di At 2 – giorno di fondazione della Chiesa di Cristo – alla fine del I sec. d.C., quando tutti gli scritti del N.T. furono redatti, l’unico termine che indicava i seguaci di Cristo era “cristiano” (e questo uso era sia interno, sia esterno alla Chiesa). Dunque, per i primi credenti nel Cristo era consuetudine chiamarsi solo “cristiani”. E così deve essere oggi. A questo punto la domanda è: come potrebbe essere diversamente, visto che l’unica autorità nel Nuovo Patto è Cristo Gesù? Purtroppo, però, la storia insegna il contrario: dalla fine del I sec. d.C. ad oggi, al termine “cristiano” sono stati aggiunti molti altri nomi, taluni addirittura rimontanti a uomini. La qual cosa significa che il cristianesimo insegnato da Cristo nelle Sacre Scritture viene vissuto secondo un’ottica stabilita da quegli uomini. Il che è indice di divisione e di confusione, giacché l’unità della fede (che è sempre possibile e che va sempre praticata) si deve basare non sugli uomini, ma sulla Parola di Dio.

Nessuna teologia umana potrà mai cambiare la Parola di Dio, secondo cui chi nasce di nuovo, d’acqua e spirito (Gv 3:1ss), non potrà che essere solo ed unicamente “cristiano”. Al Signore Gesù, l’unico autore di salvezza eterna (Eb 5:9), l’unica guida (Mt 23:10), l’unico che crea la fede e la rende perfetta (Eb 12:22), a Gesù che è lo stesso ieri, oggi ed in eterno (Eb 13:8), che «ha fatto di noi un regno e sacerdoti del Dio e Padre suo, a lui sia la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen» (Ap 1:6).

 

Arrigo Corazza (2008)