LA LITE TRA PAOLO E BARNABA (Atti 15:36-41)

EQUIVOCO: SAREMO TUTTI SALVATI?
18 Ottobre 2022
I RECABITI E LA LORO FEDELTÀ (Geremia 35)
26 Ottobre 2022
Mostra tutto

LA LITE TRA PAOLO E BARNABA (Atti 15:36-41)

22 ottobre 2022

 

Storia della chiesa? Storia dei problemi nella chiesa.

 

* * *

 

INTRODUZIONE

Negli Atti degli Apostoli Luca racconta l’accesa lite tra Paolo e Barnaba all’alba del loro secondo viaggio missionario. L’oggetto del contendere tra i due amicissimi sodali (compagni) non è di tipo dottrinale ma pratico: portare o no con loro quel Giovanni Marco che all’inizio del primo viaggio li aveva abbandonati? Paolo oppone un netto rifiuto alla risoluta proposta di Barnaba, sicché i due prendono strade diverse.

Se avesse voluto propagandare il cristianesimo neonato unicamente sotto una luce magnifica, benigna e positiva, Luca avrebbe fatto bene a omettere tanto questa storia (At 15:36-41) quanto quella precedente di Anania e Saffira (At 5:11), storie assai poco edificanti che attentano alla piena armonia dell’ambiente ecclesiale delle origini, in continua crescita nel mondo greco-romano (fino alle «estremità della terra», secondo il programma stabilito dal Signore in At 1:8). Luca, serio e onesto storico, ha invece voluto eternarle perché i lettori capissero

  • la pesantezza e pericolosità della natura umana, anche quella redenta da Cristo,
  • l’importanza assoluta del Regno di Dio,
  • il rispetto che esso esige,
  • il timore che genera,
  • le difficoltà dei cristiani a vivervi la nuova esperienza in Cristo,
  • di non fare nel Regno le cose alla leggera, alla carlona.

«Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quand’ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore» (Fil 2:12).

È un Regno per il quale occorre combattere, cascasse il mondo. Non solo: il cristiano deve sempre temere di recare danno alla chiesa di Cristo («allora un gran timore venne su tutta la chiesa e su tutti quelli che udivano queste cose», At 5:11).

Si è già detto che la violenta lite non fu di tipo dottrinale. E forse per questo essa, ritenuta di scarsa importanza nel quadro degli avvenimenti descritti negli Atti degli Apostoli, è solitamente poco studiata e discussa. Al contrario, risulta molto interessante e rivelatrice di atteggiamenti e decisioni importanti, senz’altro utili alla vita nel Regno di Dio e da non dimenticare.

 

* * *

 

Se si vuole capire la caduta di Giovanni Marco e la sua riabilitazione (dopo una ventina di anni), è necessario esaminare nel tempo (in diacronia) i termini della questione. Si noti lo schema seguente.

 

QUADRO RIASSUNTIVO DELL’ATTIVITÀ (45 – 67 d.C.) DI MARCO SECONDO IL N.T.

  • Fonte: Luca (At 12:12,25; 13:5) – PRIMA ATTIVITÀ (circa 45 d.C.).
  • Fonte: Luca (At 13:13) – CRISI (circa 45).
  • Fonte: Luca (At 15:37-39) – DISISTIMA DI PAOLO (circa 49).
  • Fonte: Paolo (Col 4:10; Flm 1: 24) – RIABILITAZIONE (circa 62).
  • Pietro: (1Pt 5:13) – RIABILITAZIONE (dopo il 60).
  • Fonte: Paolo (2Tm 4:11) – RIABILITAZIONE (circa 67).

 

LA NATURA E GLI SCOPI DEL CONTENDERE

Nelle chiese di Cristo i contrasti sono sempre esistiti – il che è fisiologico in ogni associazione di persone. Non è detto che sia un aspetto esclusivamente negativo: dipende dalla natura e dagli scopi.

NATURA

Se lo scontro è di tipo dottrinale, allora sarà la Sacra Scrittura a dire la parola conclusiva, alla quale il cristiano dovrà adeguarsi volente o nolente. Se invece è di altra natura, allora siamo nei guai: si entra nell’ambito del giudizio personale spesso opinabile e le ragioni e soluzioni dell’uno sono uguali a quelle dell’altro. Pertanto, bisognerà trovare possibilmente un punto d’incontro, una sintesi. In caso contrario, sempre fratelli in Cristo ma ognuno per la sua strada.

SCOPI

Se il contrasto (non di tipo dottrinale) promuove la prosperità delle cose di Dio, allora è benvenuto e risolvibile; se invece è per acquisire potere umano (a costo persino di creare frizioni tra fratelli), allora siamo in un campo minato, dal quale il cristiano farebbe bene a fuggire. Meno si discute e meglio è, a evitare penose deflagrazioni tra fratelli. Solo Dio potrà giudicare, alla fine dei tempi. Ma anche in questa vita gli esiti si vedranno prima o poi. Bisogna solo pazientare. Il tempo ha stabilito che Paolo aveva ragione nel conflitto che stiamo cercando di analizzare.

 

LA PRIMA IMPRESSIONE SULLA CONTESA TRA PAOLO E BARNABA

Chi è fautore e vittima del buonismo a ogni costo, così caro alla nostra società, penserà che Paolo stia esagerando: intransigente e iroso (addirittura forse vendicativo verso un fratello in Cristo, Marco, difeso dal cugino, Barnaba?). Dopotutto, Marco ha fatto qualcosa che non sembra “tanto grave”: ha solo abbandonato (non ne aveva più?). Perché prendersela ancora a distanza di anni? Suvvia, Paolo, falla finita!

Ma Paolo non dimentica e, al momento opportuno, dopo anni, vi ritorna sopra in modo inflessibile, creando i presupposti per una rottura definitiva e dolorosa con il suo compagno e amico Barnaba, verso il quale sembra non avere neppure un briciolo di riconoscenza. Infatti, Barnaba è stato assai importante nella sua vita subito dopo la conversione: lo ha introdotto alla conoscenza degli apostoli e della chiesa di Gerusalemme, mettendoci la faccia visto che nessuno si fidava di lui (At 9:26-28). C’è di più: anni dopo lo va a cercare a Tarso, sua città natale, e lo porta al servizio nella chiesa di Antiochia (At 11:25-26).

La pessima figura di Paolo è solo apparente: come vedremo avanti, il tempo rivelerà che Paolo era nel giusto e la sua dura reazione necessaria al benessere spirituale di Marco. L’opinione della maggioranza, della massa (la vulgata comune) non rappresenta la legge e non stabilisce alcun criterio di giudizio corretto. «Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate secondo giustizia» (Gv 7:24). In ogni tipo di giudizio le cose sono complicate e non bisogna mai dare nulla di scontato. Le questioni vanno esaminate e affrontate con decisione, competenza, calma e intelligenza. Esse sono spesso assai diverse da come sembrano di primo acchito o da come l’opinione comune ha deciso che siano o debbano essere. Per il cristiano il metro della giustizia è, ovviamente, un altro: la Parola di Dio, vista nella sua interezza, e non il sentire più diffuso tra la gente.

 

I PERSONAGGI DELLA VICENDA

BARNABA

Si chiamava Giuseppe, levita, cipriota di nascita (At 4:36), «un uomo buono, pieno di Spirito Santo e fede» (At 11:24), cugino di Giovanni Marco (Col 4:10). Appare nella storia della chiesa in occasione della vendita di un suo campo per alleviare le necessità della giovane comunità in Cristo di Gerusalemme. Dagli apostoli fu denominato “figlio di consolazione”, a indicarne forse le virtù conciliative e di simpatia (affinità con l’aramaico bar nebua’ah, “figlio di consolazione” o “figlio di esortazione, predicazione”?). Era profeta e insegnante (didàskalos) nella chiesa di Antiochia. Luca definisce “apostoli” (nel senso di “inviati”) sia Paolo sia Barnaba (At 14:14).

Fedele e tenace collaboratore di Paolo, specie durante il primo viaggio missionario dell’apostolo, Barnaba fu personaggio di rilievo nell’ambiente delle giovani chiese di Cristo dell’epoca. In un certo senso, “scoprì” il Paolo appena convertito, facendogli da mentore e garante sia a Gerusalemme (At 9:27) sia ad Antiochia (At 11:19-26).

Ebbe problemi comportamentali quando esplose la controversia causata dall’immissione senza circoncisione di non ebrei nella chiesa di Cristo. Dapprincipio, per paura degli esponenti dell’ala intransigente capeggiata da Giacomo (“giudaizzanti”), fu trascinato nella simulazione e nell’ipocrisia insieme con Pietro e altri (Gal 2:1ss). Ma obiettivamente si trattava di questione assai difficile, decisiva, cruciale per le sorti del cristianesimo, di non facile soluzione viste le secolari mentalità coinvolte. L’incontro di Gerusalemme pose fine alla questione, almeno secondo l’ottica apostolica. I giudaizzanti, invece, continuarono la loro opera settaria e pericolosa. Ad ogni modo, Paolo e Barnaba si batterono uniti e con forza contro costoro (At 15:2).

GIOVANNI MARCO (“Giovanni”: nome ebraico; “Marco”: nome romano).

Era figlio di una cristiana di Gerusalemme, Maria, la quale ospitava i fratelli nella sua casa. Fu scelto da Paolo e Barnaba quale loro aiutante in vista del primo viaggio missionario compiuto dai due (At 12:12,25; 13:5). Si ritiene che sia l’autore del secondo vangelo.

Il compito di Marco non era direttivo, ma solo esecutivo, come ben specifica la parola greca yperètes usata da Luca. Yperètes ὑπηρέτης significa “aiutante”, “assistente”, “servitore”, “servo” e ricorre venti volte nel N.T. È un termine interessante fin dal suo etimo: composto da ypò, “sotto” ed erètes (“rematore”) significa “sotto-rematore”. Indica qualcuno che agisce non di propria autorità ma seguendo gli ordini di un altro (At 13:5), l’assistente che sta a disposizione di un superiore:

  • l’usciere / sbirro del giudice in tribunale (Mt 5:25),
  • l’inserviente nella sinagoga (Lc 4:20),
  • il servo nel Sinedrio (Mt 26:58; Gv 18:12),
  • il garzone che schiaffeggia il Signore (Gv 18:22),
  • in 1Cor 4:1 Paolo dice: «ognuno ci consideri servitori di Cristo e amministratori dei misteri di Dio»;
  • in Lc 1:2 i testimoni oculari della vita del Signore «divennero ministri della Parola» (cfr. anche At 26:16).

 

Su Giovanni Marco, vedi in questo sito (clicca qui sotto):

https://www.chiesadicristoinpisa.it/giovanni-marco/

 

L’ABBANDONO DI GIOVANNI MARCO (circa 45 d.C.)

A un certo punto del primo viaggio missionario, a Perga di Panfilia, «Giovanni, separatosi da loro [Paolo e Barnaba], ritornò a Gerusalemme» (At 13:13). Sconosciute rimarranno le ragioni dell’iniziativa di Marco perché non specificate dalle fonti. Ad aggravare la cosa, qualcuno ipotizza che non avesse neppure informato Paolo e Barnaba del suo proposito, il che spiegherebbe il forte risentimento paolino. Non suffragata è la teoria secondo cui Giovanni Marco avrebbe abbandonato in quanto “giovane”. Non sappiamo quale età avesse; era certo più giovane di Paolo, il quale doveva avere già una quarantina d’anni. Del resto, i “giovani” di allora non sono i “giovani” di oggi e non bisogna studiarli con le nostre categorie di pensiero. Augusto aveva circa diciannove anni quando Cesare, suo padre adottivo, morì (15 marzo 44 a.C.); da allora cominciò la sua straordinaria ascesa al potere. Nerone (54 -68 d.C.) era diciassettenne quando iniziò a governare l’Impero romano, facendo molto bene nel primo quinquennio (il famoso quinquennium Neronis tanto caro agli storici).

 

LA POLEMICA TRA PAOLO E BARNABA CIRCA MARCO (circa 49 d.C.)

«Paolo e Barnaba rimasero ad Antiochia, insegnando e portando, insieme a molti altri, il lieto messaggio della Parola del Signore. Dopo diversi giorni, Paolo disse a Barnaba: “Ritorniamo ora a visitare i fratelli di tutte le città in cui abbiamo annunziato la Parola del Signore, per vedere come stanno”. Barnaba voleva prendere con loro anche Giovanni detto Marco. Ma Paolo riteneva che non dovessero prendere uno che si era separato da loro già in Panfilia, e non li aveva accompagnati nella loro opera» (At 15:35-38).

* * *

Dopo aver insegnato ed evangelizzato per un po’ ad Antiochia, Paolo decide di mettersi nuovamente in moto proponendo a Barnaba di visitare i fratelli convertiti durante il primo viaggio missionario «per vedere come stanno». A ben guardare, dunque, è il “cristiano” Paolo, ormai maturo, ma anche “l’apostolo” Paolo, e non “il cristiano” Barnaba, a prendere l’iniziativa per promuovere un’intensa opera di evangelizzazione fuori di Palestina che tanto bene farà alla glorificazione di Cristo tra i pagani.

È subito chiaro che Giovanni Marco non rientra nel progetto, contrariamente alla posizione di Barnaba, che deve aver parecchio insistito in proposito, al limite della forzatura (come parrebbe dall’imperfetto del greco boùlomai, “volere”, “disporre”, “insistere su”, “imporre”).

Paolo ha una sua visione delle cose; Barnaba altrettanto. Guardano alle questioni in modo diverso. Capita, tra cristiani. Arriva il momento in cui non si pensa più allo stesso modo, nonostante anni di militanza comune in Cristo e amicizia. Come detto, qui non si tratta di una realtà dottrinale (altrimenti non ci sarebbe stata alcuna polemica), ma di comportamento, di prospettiva delle cose del Regno, di maggiore o minore interesse e tensione per il bene delle cose del Regno, di inquietante inclinazione e acquiescenza verso logiche umane distanti dal Regno.

Talvolta i cristiani che hanno sempre riverito la Parola di Dio e operato insieme per la gloria di Cristo, discutono a causa dell’uomo e delle sue iniziative nella chiesa, e non certo a causa della Bibbia. Noi non siamo sempre gli stessi; ciò che ci ripugnava prima, ora può sembrarci non solo gradito ma anche sfizioso e appagante. Spesso la memoria è corta e i soprusi mai chiariti subiti nel passato vengono dimenticati e diventiamo perfino alleati dei nostri nemici di un tempo, che sono rimasti tali e quali.

Chiediamoci se siamo mutati al punto tale da ricercare la considerazione e il potere dell’uomo. Pur sapendo in fondo che ci siamo introdotti in qualcosa che non produrrà alla lunga niente di positivo (solo il Vangelo può, e non certo le iniziative umane seguite nelle chiese), lo facciamo non solo perché ci piace, ora, ma perché ci sembra presuntuoso e irritante che altri possa predire l’insuccesso delle cose umane nelle quali ci siamo impelagati senza ritorno. «Come fai tu a sapere che quest’iniziativa (umana) non produrrà quello che si prospetta? È una cosa buona!». Lo sappiamo semplicemente perché in quest’iniziativa non ci sono basi né scritturali né di altro tipo e perché è già stata proposta molteplici volte nel passato non producendo un fico secco. Nessuno è mago o indovino nel Regno di Dio. Anzi, non serve esserlo: basta osservare e individuare le cose nella loro struttura e nel loro divenire storico per capire quello che succederà. Non è difficile, a condizione di saperlo fare.

Storia vera: un illustre medico universitario di Roma cominciò a non sentirsi bene e fece ogni sorta di esame in ospedale, anche le lastre ai polmoni. Sospettando e temendo di avere qualche tumore, vista una certa presenza in famiglia, portò gli esami e le lastre nei maggiori centri italiani, ma invano. Si decise, allora, di andare al Centro Tumori a Parigi. Il collega francese a cui si era rivolto gli disse papale papale: «Caro mio, mi dispiace dirti che hai un tumore al polmone». «Ma com’è possibile? In tanti abbiamo esaminato le lastre, non riscontrando nulla». «È vero: avete visto in tanti ma non come si sarebbe dovuto. Non avete individuato il tumore. Guarda ora con me dov’è». Affranto, chiese: «Quanto mi rimane da vivere, secondo te?». «In base alla tipologia del tumore e alla mia esperienza, direi non più di quattro mesi». E così fu.

Paolo sapeva benissimo che non sussistevano le condizioni adatte per selezionare nuovamente Giovanni Marco; anche Barnaba capiva, conoscendo Paolo, che cosa sarebbe accaduto ma ha tentato di forzare la mano. Luca non specifica per quale motivo Barnaba volesse di nuovo cooptare Giovanni Marco: forse per

  • la parentela (“cugino” secondo Col 4:10), che può aver giocato un ruolo nell’insistenza di Barnaba?
  • un atteggiamento troppo “buonista”?
  • una rilassatezza morale sui principi del vangelo?

Paolo «riteneva che non dovessero prendere uno che si era separato da loro già in Panfilia, e non li aveva accompagnati nella loro opera». Quali le ragioni, taciute da Luca, alla base del puntiglioso rifiuto paolino? Vediamone alcune possibili.

  • Timore che l’abbandono si potesse ripetere, nuocendo in tal modo alla predicazione del Vangelo (Paolo era ben cosciente di avere poco tempo a disposizione rispetto all’opera gigantesca che lo aspettava e che perciò gli errori di programmazione potevano costare assai cari);
  • irritazione nell’aver visto poca / leggera / superficiale considerazione da parte di Barnaba e di Giovanni Marco su ciò che era accaduto a Perga, qualche anno prima (circa cinque);
  • ancora irritazione per l’insistenza di Barnaba, che sembrava non capire più quanto importante fosse la missione che li aspettava, insistenza forse motivata da un buonismo (spiegabile con la parentela?) o da un certo allentamento della tensione per il Regno che deve sempre accompagnare i ministri di Dio?

Dunque, abbiamo a che fare con un Barnaba “strano”, “diverso”, che non riusciva PIÙ a vedere e a capire che Giovanni Marco era esattamente quello di cinque anni prima (altrimenti Paolo non avrebbe avuto una reazione di quel tipo), un Barnaba dimentico che, alla fin fine, Paolo era pur sempre un apostolo scelto in maniera diretta da Cristo e che pertanto poteva vantare un’autorità apostolica vera e propria che egli stesso non aveva?

 

L’ASPRA DISCUSSIONE E LA CONSEGUENTE SEPARAZIONE (circa 49 d.C.)

«Nacque un aspro dissenso, al punto che si separarono; Barnaba prese con sé Marco e s’imbarcò per Cipro. Paolo, invece, scelse Sila e partì, raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore. E percorse la Siria e la Cilicia, rafforzando le chiese» (At 15:39-41).

* * *

Il testo greco è chiaro: “aspro dissenso” è la traduzione di paroxysmòs παροξυσμὸς, donde il nostro “parossismo”. Significa “incitamento”, “esasperazione”, “lite violenta”. Nel N.T. paroxysmòs ricorre solo due volte:

  • At 15:39, in senso negativo («nacque un aspro dissenso, al punto che si separarono»);
  • Eb 10:24, in senso buono («facciamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci / incoraggiarci / spronarci all’amore e alle buone opere»).

Da considerare anche il verbo paroxýno παροξύνω, che ricorre solo due volte nel N.T., sempre in forma passiva:

  • At 17:16 – lo spirito di Paolo era incollerito, preso da sdegno («mentre Paolo li aspettava ad Atene, lo spirito gli s’inacerbiva dentro nel vedere la città piena di idoli»).
  • 1Cor 13:4 – l’amore (agàpe) non si lascia eccitare, prendere dall’ira («non s’inasprisce»).

In At 15:39 Luca rende l’idea dell’emotività e irritazione presenti nel contrasto. Paolo e Barnaba discutono a fondo e seriamente, dando vita a uno scontro aspro e duro sì, ma diretto. Nessuna delle due parti vuole cedere. La frattura non può essere più ricomposta. Con probabile dolore di entrambi, le strade si dividono. Barnaba e suo cugino Marco s’imbarcano per Cipro, patria di Barnaba, dopodiché Barnaba scompare dagli Atti degli Apostoli e, praticamente, dalla vita della chiesa quale descritta nel N.T. (sebbene attivo, è raramente citato: Gal 2:1,2,13; 1Cor 9:6; Col 4:10). E i suoi rapporti seguenti con Paolo? Impossibile a dirsi.

 

IL RUOLO DELLA CHIESA DI ANTIOCHIA

«Paolo, invece, scelse Sila e partì, raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore. E percorse la Siria e la Cilicia, rafforzando le chiese» (At 15:40-41).

* * *

Consumata la rottura con Barnaba, Paolo non si perde d’animo e si avvia – come progettato – a irrobustire le chiese fondate nel primo viaggio missionario. A tale scopo sceglie Sila (detto anche Silvano: 2Cor 1:19; 1Ts 1:1; 2Ts 1:1; 1Pt 5:12), cristiano di rilievo nella storia della chiesa del N.T. Rispetto a Giovanni Marco e a Barnaba (che sono ebrei come lui e che quindi possono accedere liberamente alla sinagoga durante gli spostamenti paolini), Sila ha anche il pregio di essere cittadino romano, fattore che si rivelerà importante a Filippi e altrove (cfr. At 16:37).

Abbiamo già detto che la violenta polemica tra Paolo e Barnaba non è dottrinale, ma di atteggiamento e conseguente condotta nel Regno di Dio. La chiesa di Antiochia non prende posizione al riguardo, anche se Luca fa discretamente trapelare stima per Paolo: i fratelli raccomandano lui e Sila alla grazia del Signore, il che non si dice di Barnaba e di Giovanni Marco.

 

LE FONTI SU GIOVANNI MARCO DOPO LA SEPARAZIONE DA PAOLO (circa 60 – 67)

Per una precisa comprensione dello snodarsi degli avvenimenti relativi a Giovanni Marco dopo la separazione da Paolo, occorre citare nell’ordine i dati che lo riguardano. Essi sono pochissimi e tutti di provenienza paolina, tranne la citazione nella 1Pietro. Colossesi e Filemone furono scritte durante una prigionia (intorno al 62 d.C.), mentre la 2Timoteo alla fine della vita di Paolo (intorno al 67 d.C.). Anche la 1Pietro fu probabilmente scritta dopo il 60.

COLOSSESI 4:19

«Vi salutano Aristarco, mio compagno di prigionia, Marco, il cugino di Barnaba. A proposito di Marco avete ricevuto istruzioni; se viene da voi, accoglietelo».

In questo brano i Colossesi sono stati già informati da Paolo di un’eventuale visita di Marco, che merita attenzione e ricevimento fraterno. Vedi anche 2Cor 7:5; 11:16; Gal 4:14.

* * *

FILEMONE 1:23-24

«Epafra, mio compagno di prigionia in Cristo Gesù, ti saluta. Così pure Marco, Aristarco, Dema, Luca, miei collaboratori».

Insieme con altri cristiani, tra cui Luca e Epafra, anche Marco invia i saluti a Filemone. Paolo lo definisce “collaboratore” (greco: synergòs, συνεργός) al pari degli altri. Per Paolo, Marco non è più l’assistente (yperètes) di una quindicina di anni prima, ma il collaboratore nel Regno.

* * *

2TIMOTEO 4:11

«Solo Luca è con me. Prendi Marco e conducilo con te; poiché mi è molto utile per il ministero».

Nell’ultima delle sue lettere (secondo la visione tradizionale del corpus paolino), l’apostolo considera Marco «molto utile per il ministero». Colpisce la forza morale di Paolo, la sua fedele predisposizione verso il Signore, la sua indefessa volontà di continuare a promuovere il Regno nella maniera più ampia. È vecchio (presbýtes, Flm 1:19) secondo la norma di quei tempi (avrà avuto una sessantina d’anni), probabilmente isolato, a corto di collaboratori («solo Luca è con me»), forse impedito a muoversi come vorrebbe. Sente la fine vicina ma è sicuro di aver tagliato il traguardo dopo aver fatto tutto il possibile (2Tm 4:7-8). Colpisce che da ultimo ricordi l’utilità di Marco nel suo servizio (diakonìa). Gli antichi screzi sono seppelliti definitivamente e ritrova Marco, finalmente riabilitato ai suoi occhi perché – sicuramente – Marco ha fatto quello che doveva fare, né più né meno, come sono tenuti a fare tutti i cristiani degni di questo nome. Il “vecchio” Marco che aveva abbandonato Paolo e Barnaba a Perga di Panfilia molti anni prima, è morto per sempre.

* * *

1PIETRO 5:13

«Anche Marco, mio figlio, vi saluta».

Pietro condivide il sentimento di Paolo circa Marco, definendolo «figlio».

 

LA VITTORIA FINALE DI PAOLO E DI GIOVANNI MARCO

Il rapporto tra Paolo e Giovanni Marco si snoda nel tempo (una ventina d’anni). Da tempestoso, esso diventa dolce. Come abbiamo visto, dopo due decadi, al termine della sua vita Paolo afferma che Marco gli è molto utile nel ministero. Ciò significa che, alla fine, si è riabilitato agli occhi di Paolo, ha fatto il suo e può essere ritenuto un punto fermo per le chiese di Cristo dell’epoca. L’aver redatto, poi, il suo celebre omonimo secondo vangelo, non rientra nella nostra analisi, ma rimane a testimonianza perenne della bontà della sua fatica nel Regno. Evidentemente, un po’ alla volta, con dedizione e pazienza, Marco ha dimostrato capacità e maturità nella gestione delle questioni del Regno, conquistando nuovamente la fiducia dei fratelli, in particolare di Paolo e Pietro.

La riabilitazione di Marco è anche la riabilitazione di Paolo, che non agì nei suoi confronti in modo APPARENTEMENTE spietato come si potrebbe pensare a tutta prima. Ci piace credere che sia stato grazie alla severità di Paolo se egli ha riacquistato ciò che aveva perduto. Il tempo ha lavorato a suo vantaggio. Avrà ringraziato Dio di averglielo concesso. Non è sempre così, nella vita.

Certo, non esiste la controprova che il comportamento bonario di Barnaba verso il cugino fosse negativo o non potesse condurre ai medesimi positivi risultati. Ma non abbiamo gli elementi per dimostrarlo, vista l’assenza di dati al riguardo. Le fonti di questa storia sono poche e dobbiamo farcele bastare, interrogandole a dovere, cercando di scoprire tra i suoi intrecci i risvolti delicati della polemica. Molto spesso le fonti bibliche su taluni argomenti sono quelle che sono e non quelle che noi vorremmo fossero. Non bisogna mai dimenticare questa realtà, forzando la mano soprattutto al silenzio dello Spirito Santo che ci ha dato la Bibbia (argumentum ex silentio, cioè conclusioni basate sul silenzio delle fonti).

 

CONCLUSIONI

La lite tra Paolo e Barnaba è ricca d’insegnamenti per il cristiano di oggi. Anche se non è di natura dottrinale ci fa capire che bisogna lottare sino alla fine, senza compromessi, affinché i giudizi e i comportamenti siano comunque e costantemente aderenti allo spirito del Regno senza costituire pietra d’inciampo tra fratelli. Nella fede in Cristo ciò che può sembrare solo punitivo a tutta prima, e causa di sofferenza e tristezza, in realtà nel tempo trova la sua comprensione e giustificazione. Tutto quel che si fa nella chiesa deve essere a fin di bene scritturale. Questa lite non produce una divisione dottrinale, un’eresia (secondo il pensiero paolino: 1Cor 11:19) in grado a far emergere gli approvati o no da Dio; è soltanto uno scontro tra due modi di pensare e agire nel Regno di Dio. È cruciale non mischiare la dottrina di Cristo con idee umane (ibridi del genere sono stati numerosi nella storia delle chiese), pena il rischio di mettere in pericolo la fede neotestamentaria.

Fatta salva la dottrina di Cristo, che non può mai essere oggetto di lotta tra cristiani, è bene che in situazioni del genere ognuno se ne stia in proprio, in attesa di tempo migliori. Ciò eviterà dolorosissime discussioni fini a sé stesse. È vero che la visione di un cristiano vale tanto quanto quella di un altro, ma è altrettanto vero che se io esco dalla logica del Regno la mia sacrosanta libertà di giudizio e azione può risultare pericolosa per altri cristiani.

Rimaniamo nella Sacra Scrittura, che è prassi assai migliore del seguire le imprese umane. Del resto, ciascuno, spiritualmente parlando, è schiavo del proprio signore: Cristo o l’uomo (al cui fischio si accorre ubbidienti come il cane scodinzolante). Troppo spesso dimentichiamo che l’uomo è un padrone durissimo, che ci farà passare le pene dell’inferno quaggiù in attesa di quelle di lassù. Ma prima o poi lo ricorderemo, perché l’uomo stesso sarà puntuale a chiederci il conto.

 

Arrigo Corazza