LA NOZIONE DI “BARBARO” NEL N.T.
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16 Novembre 20219 novembre 2021
«Paolo e i suoi compagni, imbarcatisi a Pafo, arrivarono a Perga di Panfilia; ma Giovanni [Marco], separatosi da loro, ritornò a Gerusalemme» (At 13:13).
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«Prendi Marco e conducilo con te, poiché mi è molto utile per il servizio di Dio» (2Tm 4:11).
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«Marco era uno di quegli uomini ammirabili che brillano in secondo piano o meglio che rinunciano a brillare per consacrarsi a personalità più alte, assicurandosi il merito della modestia e insieme un’azione più feconda, sebbene meno personale» (M. J. Lagrange).
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Nell’Italia dei santi, madonne e cristi illeciti e inopportuni – essi, senza alcun diritto biblico, dimorano all’interno della struttura religiosa (e non) del pensiero cattolico –, i cristiani sono affascinati da quei primi discepoli del Cristo che santi furono davvero, vivendo all’ombra del Maestro e del suo insegnamento una vita piena d’umiltà e di rispetto: si tratta di personaggi neotestamentari che qualche volta sfuggono persino a una precisa identificazione. Basti pensare ad alcuni degli Apostoli, di cui conosciamo solo il nome, o ai collaboratori di Paolo (At 20:4), o addirittura ad autori ispirati del N.T. (quali Matteo, Luca, Giuda).
Eppure, quel poco che sappiamo su di essi è spesso sufficiente a farci riflettere sull’entità e sulla consistenza della nostra fede assai più di quanto pretenda l’agiografia (letteratura sui santi) fiorita in campo cattolico. Come i cristiani d’ogni tempo e luogo, anche quelli odierni amano Paolo e Pietro, Giovanni e Luca, e via dicendo, perché tutti hanno offerto un modello d’umanità sorprendente, persino nelle loro manchevolezze più gravi.
Tale è il caso di Marco, il quale è uno di questi personaggi giganteschi che noi abbiamo dimenticato ingiustamente. La caratterizzazione datane sopra dal Lagrange ben si attaglia alle poche informazioni su di lui offerteci (quasi per inciso) dagli scrittori del N.T. Infatti, Marco ha gravitato attorno a personalità rilevantissime del primo cristianesimo, Paolo e Pietro, con le quali non fu certo facile convivere. In effetti, è noto come il ministero di Marco non sia stato immune da problemi: anzi, all’opposto, egli, a un certo punto della sua vita, abbandonò improvvisamente Paolo durante il suo primo viaggio missionario (At 13:13). A Paolo tale abbandono non piacque e per diversi anni mantenne un atteggiamento prudente, riservato e persino sospettoso nei riguardi di Marco. Questi, nondimeno, seppe riabilitarsi pienamente di fronte a Paolo apostolo sino alla fine.
Cominceremo con il presentare un profilo generale relativo alle fonti su Marco, per poi proseguire con l’analisi della sua attività all’interno delle Chiese del I secolo d.C., facendo perno su quattro cardini essenziali:
- l’accettazione del Cristo;
- la crisi;
- la disistima di Paolo;
- la riabilitazione.
LE FONTI SU MARCO
Anzitutto, occorre affermare che da parte nostra l’identità tra il Marco di cui parlano gli Atti e quello degli altri libri neotestamentari è da ritenersi assodata (diversamente ritengono altri studiosi, per i quali si tratta di due personaggi ben distinti). Quanto alle fonti, bisogna subito notare che esse sono molto scarse e carenti, sicché solo alcune sezioni della vita di Marco possono essere analizzate.
Le fonti su Marco sono di due tipi: extrabibliche e neotestamentarie.
Secondo le fonti extrabibliche, Marco fu:
- levita dalle dita corte o monche (kolobododàktylos);
- uno dei settantadue discepoli di Lc 10;
- l’interprete (hermeneutès) di Pietro;
- il fondatore della Chiesa d’Alessandria in Egitto;
- martire durante l’epoca traianea (98-117).
A titolo di pura curiosità, riportiamo l’opinione secondo cui Marco era il giovinetto fuggito nudo dal Getsemani mentre il Signore veniva arrestato (Mc 14:51-52).
Le fonti neotestamentarie provengono unicamente dall’ambiente paolino (Luca e Paolo stesso) e da Pietro, come dimostra lo specchietto che segue:
- Luca (At 12:12, 25; 13:5, 13; 15:37-39).
- Paolo (Col:10; Flm 24; 2Tm 4:11).
- Pietro (1Pt 5:13).
GIOVANNI MARCO
Il nome di Giovanni Marco ricorre, per la prima volta, nel libro degli Atti, scritto da Luca, in quel dodicesimo capitolo che narra gli sviluppi della persecuzione scatenata da Erode contro la Chiesa di Cristo in Gerusalemme. Dopo aver fatto uccidere Giacomo, il fratello di Giovanni, al re pare bene far imprigionare anche Pietro. Questi, tuttavia, grazie all’aiuto dell’angelo del Signore, riesce a fuggire, trovando ricovero presso la casa di Maria, sempre in Gerusalemme, nella quale convenivano i cristiani del luogo per dedicarsi alla preghiera (At 12:1-12). Ora, Maria era la madre di Marco, a quell’epoca (circa 44 d.C.) certamente giovane. Egli porta, come usava allora, un nome semitico (Giovanni) e uno greco-romano (Markos, Marcus), entrambi usati per definirlo
- Giovanni: At 13:5; 13:13;
- Giovanni soprannominato Marco: At 12:12, 25; 15:37;
- Marco: At 15:39; Col 4:10; Flm 24; 2Tm 4:11; 1Pt 5:13.
L’ACCETTAZIONE DEL CRISTO E PRIMA ATTIVITÀ
Non è noto quando Marco si sia posto al seguito di Gesù. Il fatto che Pietro lo definisca «figlio mio» 1Pt 5:13 ha indotto a pensare a una possibile filiazione spirituale, nel senso che l’apostolo l’avrebbe convertito. È fuor di dubbio che Marco fin dalla sua gioventù conosceva Pietro, avendo gioito con lui per la liberazione dalle mani di Erode (At 12). Ma la parentela con Barnaba, levita cipriota (At 4:36), del quale è cugino (Col 4:10), ha sicuramente l’effetto di inserirlo nel piano di lavoro di Paolo, che in precedenza era stato aiutato da Barnaba stesso dopo la conversione in Damasco: Barnaba aveva perorato la sua causa di fronte ai fratelli (At 9:27) e lo aveva addirittura rintracciato a Tarso in Cilicia (At 11:25).
Da Tarso Barnaba e Paolo arrivano ad Antiochia, dove trascorrono un intero anno lavorando per la chiesa locale e assumendo l’incarico di devolvere la colletta speciale raccolta dai cristiani antiocheni a favore dei fratelli che abitavano in Giudea (At 11:27-30). Giunti a Gerusalemme e compiuta la loro missione, Barnaba e Paolo fanno ritorno ad Antiochia. Ma non sono più soli: Giovanni Marco è con loro, anche nella prima opera di evangelizzazione a largo raggio stabilita dallo Spirito Santo (At 13:1-3). Cominciato verso l’anno 45, il cosiddetto primo viaggio missionario di Paolo tocca dapprima Cipro (patria di Barnaba), dove avviene la conversione del proconsole Sergio Paolo, e poi Perga in Panfilia.
LA CRISI
Intorno al 45 d.C., proprio a Perga, Marco, aiutante (yperètes) di Barnaba e Paolo, si separa da loro e ritorna a Gerusalemme (At 13:13). Luca non specifica la ragione di tale abbandono.
LA DISISTIMA DI PAOLO
Dalla defezione di Marco a Perga sino alla sua nuova apparizione trascorrono circa tre anni, durante i quali diversi fatti accadono, non ultimo il cosiddetto Concilio di Gerusalemme (At 15), che tanta importanza ebbe (o dovette) avere ai fini della definitiva sistemazione del cristianesimo nei confronti del giudaismo. E proprio dopo questa assemblea, Paolo propone a Barnaba di visitare i cristiani convertiti durante il primo viaggio missionario. Barnaba accondiscende alla proposta paolina, ma caldeggia la presenza di Giovanni Marco. La reazione di Paolo è molto decisa: essi non debbono prendere «uno che si era separato da loro già in Panfilia, e non li aveva accompagnati nella loro opera» (At 15:38). L’indisponibilità di Paolo ad accettare Giovanni Marco non è gradita da Barnaba. Tra i due nasce un aspro dissenso, al punto che si separano; Barnaba prende con sé Marco e s’imbarca per Cipro; Paolo, invece, sceglie Sila e parte, raccomandato dai fratelli alla grazia di Dio. Percorre la Siria e la Cilicia, rafforzando le chiese (At 15:39-41). Questo è il resoconto (stringato come il solito) di Luca. Il quale, però, fa trapelare, tra le righe, il senso di profonda disistima che Paolo doveva manifestare nei riguardi di Marco. Si noti che Paolo e Barnaba erano stati fin allora molto uniti nell’opera di evangelizzazione (fatta eccezione per la simulazione di Barnaba descritta dallo stesso Paolo in Gal 2). Certo, Barnaba avrà difeso la causa di Marco presso Paolo forse per la parentela con Marco. Dopo tutto ciò, Barnaba scompare dal racconto della storia della Chiesa presentato da Luca negli Atti.
LA RIABILITAZIONE
Per circa tredici anni le fonti a nostra disposizione tacciono su Marco (lo abbiamo lasciato con Barnaba a Cipro, intorno al 49). Durante questo lungo intervallo, egli dovette maturare e senza dubbio acquisire stima agli occhi della fratellanza, dal momento che Paolo, scrivendo probabilmente da Roma (verso il 62) ai cristiani in Colosse e al singolo Filemone, non solo lo cita presso di lui ma lo raccomanda ai fratelli di, mostrandocelo così inserito di nuovo e pienamente nel ministero (Col 4:10; Flm 24). Dunque, Paolo e Marco collaborano di nuovo, alla gloria di Dio. La disistima di Paolo (che non era né odio, né rancore, bensì semplicemente scarsa fiducia) non ha più ragione di esistere, poiché Marco ha saputo vincerla mediante un’attività tutta rivolta a Cristo e per Cristo, che merita lode e incoraggiamento.
Marco è cresciuto, spiritualmente parlando, al punto tale di stringere amicizia con due tra i maggiori personaggi della storia della Chiesa: Paolo e Pietro. Quest’ultimo, scrivendo ad una vasta cerchia di fedeli (nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia: cfr. 1Pt 1:1), invia loro i saluti di Marco (5:13). La datazione della lettera, nient’affatto sicura, sarà da collocare dopo il 60, quando Marco è insieme con Pietro, a Babilonia. Marco continua la propria opera all’interno delle Chiese locali. La sua defezione è solo un pallido ricordo dei tempi trascorsi: quel che più conta ora è che Paolo dice di lui a Timoteo, prima di morire: «solo Luca è con me. Prendi Marco e conducilo con te; poiché mi è molto utile per il ministero» (2Tim. 4:11).
QUADRO RIASSUNTIVO DELL’ATTIVITÀ DI MARCO
- Luca (At 12:12, 25; circa 44 d.C.; At 13:5; circa. 45): accettazione del Cristo e prima attività.
- Luca (At 13; circa 45): la crisi.
- Luca (At 15:37-39; circa 49): la disistima di Paolo.
- Paolo (Col 4:10; Flm 24; circa 62): la riabilitazione.
- Pietro (1Pt 5:13, dopo il 60): la riabilitazione.
- Paolo (2Tm 4:11; circa 67): la riabilitazione.
ANNOTAZIONI CONCLUSIVE
Marco non è stato né un Paolo, né un Pietro, né un Giovanni, né un Giacomo, giganti che hanno inciso in modo profondo sullo sviluppo della Chiesa di Cristo proprio nei momenti più decisivi. Marco è stato piuttosto un discepolo umile, modesto, che, dopo un periodo di smarrimento, ha potuto dispiegare un’attività nascosta, poco efficace a tutta prima, ma foriera di ottimi risultati se considerata nel lungo periodo. Ma come Marco, anche tanti altri cristiani, di cui non abbiamo notizia, hanno fornito il loro contributo alla diffusione del Regno di Dio, la Chiesa e alla costruzione di una società migliore basata sull’aderenza e sulla pratica della Parola di Dio.
La vita di Marco costituisce un modello ottimo per dedicare la vita al servizio del Signore. Al pari di Marco, i cristiani hanno senz’altro conosciuta l’alternanza di forza e debolezza, di santità e peccato, di resa ottimale e di disaffezione, Marco visse attorno a personalità ingombranti, con cui non doveva essere sempre agevole dialogare.
Marco ci piace e gli mostriamo la nostra solidarietà, giacché ha saputo indicarci che, per noi, sino alla fine, ricorre il tempo della salvezza, che se pecchiamo è possibile pentirsi e risollevarsi, quali che siano stati i peccati commessi per l’addietro. Ma sollevarsi dal peccato significa comprenderlo e rifiutarlo, affiggerlo alla croce di Cristo. L’importante è capire che perseverare sino alla fine convincendo gli uomini (2Cor 5:11) dei loro peccati e della salvezza portata da Cristo significa, in sostanza, vivere normalmente la vita in Cristo senza slanci fantastici ed esperienze estatiche.
Arrigo Corazza