ARMAGEDDON (Apocalisse 16:16)

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ARMAGEDDON (Apocalisse 16:16)

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INTRODUZIONE

Armaggedon (ebraico: harmaghedòn) è uno dei cavalli di battaglia dei Testimoni di Geova (d’ora innanzi: TdG). Si tratta di un tema intimamente collegato alle loro predizioni e alla loro visione generale della fine, secondo cui avverrà una terrificante battaglia cosmica conclusiva del presente stato di cose, un cataclisma bellico di immani ed universali proporzioni tra le forze di Geova e quelle di Satana e dei suoi accoliti. Dopo tale battaglia cosmica, vi sarà il millenario paradiso terrestre. A noi non interessa qui discutere in dettaglio la dottrina dei TdG su harmaghedòn, ma solo dimostrare l’assurdità di voler spacciare per reale e vero ciò che è invece simbolico ed incerto nei dettagli.

 

IL GENERE LETTERARIO APOCALITTICO

Sebbene la Bibbia sia oggi un libro sconosciuto alla gran massa, harmaghedòn è uno di quei nomi che tirano, che impressionano, che, forse per il “mistero” che emanano, rimangono ben impressi nella memoria collettiva, alimentando speculazioni a non finire (altri esempi possono facilmente addursi: 666, il numero della bestia; i 144.000; l’apocalisse, il millennio, e così via). Nella cosiddetta “cristianità” la Bibbia è il libro sacro oggetto di lettura, di studio e di applicazione. Tuttavia, raramente essa viene studiata ed esaminata con sobrietà e secondo corretti principi interpretativi; piuttosto, la Bibbia viene usata per dimostrare ipotesi umane, che nulla hanno a che spartire con la Bibbia stessa, ma che servono piuttosto a creare e a detenere il potere ideologico e politico.

Se volessimo proporre un esempio, allora potremmo equiparare la Bibbia al cilindro dal quale il prestigiatore può estrarre di tutto. In modo ancora più dettagliato e senza tema di smentita, potremmo ancora far notare come, all’interno della Bibbia, i brani apocalittici costituiscano il terreno più fecondo per l’emissione delle più impressionanti e folli dottrine. Eppure, sono proprio i brani apocalittici quelli da trattare senza dogmatismi e con maggiore delicatezza, considerando il particolarissimo genere letterario a cui appartengono (genere ammantato di simboli d’ogni genere e di situazioni paradossali, comunque fuori della normale visione delle cose). Pertanto, occorre fare molta attenzione prima di creare una dottrina da passi apocalittici. Inoltre, non va dimenticato che per vagliare correttamente un tema dottrinale tutte le fonti bibliche devono essere considerate ed armonizzate. Cosa fanno, invece, taluni? Senza ritegno e sobrietà, attingono a piene mani a brani apocalittici insegnando le più bizzarre dottrine. Tale è sicuramente il caso della battaglia di harmaghedòn, dottrina portante nel sistema teologico dei TdG e dei millenaristi in genere.

 

APOCALISSE 16:13-16

«E vidi uscire dalla bocca del dragone e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta tre spiriti immondi simili a rane: perché sono spiriti di demoni che fanno segni e si recano dai re di tutto il mondo per radunarli per la battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente … Ed essi li radunarono nel luogo che si chiama in ebraico harmaghedòn».

* * *

Harmaghedòn ricorre una volta sola nel N.T., in Ap 16:16, dove si parla dell’effusione delle sette coppe dell’ira di Dio sulla terra e al formarsi della coalizione antidivina, capeggiata da tre malefici condottieri (dragone, bestia e falso profeta), che sprigionano dalle loro bocche tre esseri impuri a forma di rana. Questi spiriti demoniaci radunano i re della terra (v. 14) perché si preparino a battagliare contro le forze di Dio nello scontro finale (Ap 17:14 e 19:17).

Il luogo della raccolta (e non della battaglia!) è indicato con un nome ebraico, har-maghedon. Una peculiarità del misterioso e simbolico stile apocalittico è quella di conservare talora frasi e nomi ebraici trascurandone in parte le traduzioni (si guardi in modo particolare ad Ap 9:11, dove l’angelo dell’abisso è designato col nome ebraico di abaddòn e con quello greco di apollýon: nelle due lingue questi nomi significano rispettivamente “distruzione” e “distruttore”; non vengono tradotto, ma solo conservati nella grafia originale). Ed è proprio a questo punto che cominciano i problemi: har-maghedon è una frase ebraica che, letteralmente, vale “monte di Maghedon”. Orbene, una frase del genere, “monte di Maghedon”, non esiste nell’A.T.

Si è pensato di accostare Maghedon a Meghiddo, famoso luogo della storia ebraica (ma sussistono problemi di grafia, giacché Meghiddo, in greco, è solitamente reso con Magedò, Mageddò o Magdò). Meghiddo era città posta in pianura e il monte più vicino, il Carmelo, ne distava una decina di chilometri (infatti, riguardo a Meghiddo, nell’A.T. ricorrono solo le espressioni «pianura di Meghiddo» e «acque di Meghiddo»: cfr. Zc 12:11; 2Cr 35:22; Gdc 5:19). Se Harmaghedon significasse davvero “il monte di Meghiddo”, non si riuscirebbe dunque a capire che cosa abbia voluto esprimere Giovanni parlando del “monte” di Meghiddo. Finora nessuna spiegazione soddisfacente è stata data in proposito (ma vedi la terza ipotesi riportata qui sotto). V’è di più: Meghiddo non risulta essere città legata in alcun modo a tradizioni apocalittiche (come lo erano, ad esempio, Gerusalemme, Sion, Babilonia) e, al tempo di Giovanni, era sconosciuta in quanto sepolta.

 

TRE IPOTESI

Molte teorie sono state ovviamente avanzate per trovare una soluzione all’enigma costituito dalla parola harmaghedòn. Qui di seguito elenchiamo brevemente le tre principali teorie, con tutte le riserve che si devono conservare a loro riguardo:

1) harmaghedòn non sarebbe il nome originale, perdutosi per errori di trascrizione nella trasmissione del testo dell’Apocalisse. Altri nomi sono stati proposti (per un elenco, vedi P. Prigent, L’ Apocalisse di S. Giovanni, Borla, Roma 1985, pp. 494-495). Ma la tradizione testuale di Ap 16:16 è sicura e non si vede perché la si debba rifiutare. Correggere il testo biblico ogniqualvolta non lo si riesce a comprendere non è pratica da seguire, in quanto si sostituisce ciò che è certo con ciò che è incerto;

2) allo scopo di presentare il luogo simbolico della battaglia finale, Giovanni ha voluto riferirsi all’A.T. (l’Apocalisse è fortemente impregnato di allusioni veterotestamentarie). In tal caso egli ricorrerebbe alla città di Meghiddo, giacché questa fu teatro di episodi bellici fondamentali nella storia del popolo ebraico. Come afferma Homer Hailey, «Meghiddo costituiva un punto nevralgico nella difesa di Giuda e di Israele, proteggendo il confine settentrionale. Fu proprio in questa zona che vennero combattute battaglie decisive: la più famosa delle quali fu quella tra Deborah e Barak, di parte israelita, contro Iabin e Sisera, di parte cananea; Dio fece arridere la vittoria agli Israeliti (Gdc 4 e 5). Fu in quella vallata, verso la collina di Moreh, che i trecento guidati da Gedeone sbaragliarono e misero in fuga i Madianiti, altra vittoria procurata da Dio (Gdc 7:1). Fu la stessa vallata nella quale trovarono la morte Saul e Gionathan (1Sam 31:1-6); e ancora a Meghiddo morì, trafitto per ordine di Jehu, il re di Giuda Achazia, alleato di Joram d’Israele (2Re 9:27). Anche Giosia combatté contro il Faraone Neco nella valle di Meghiddo, dove ebbe la peggio e rimase ucciso (2Re 23:29ss; 2Cr 25:22). Proprio questa si rivelò una battaglia decisiva della storia, quando Giosia fece perdere tempo prezioso al Faraone Neco che s’era messo in marcia per recare aiuto all’Assiria ch’era stata attaccata da Babilonia. Fu proprio quel ritardo che consentì a Babilonia di sconfiggere l’esercito assiro, diventando così la potenza guida di tutto l’oriente. Proprio per queste battaglie di notevole valenza storica pensiamo che Giovanni abbia simbolicamente usato il nome di quella località per descrivere una grande battaglia spirituale tra l’esercito di Satana e le forze di Dio, battaglia dalla quale sarebbero dipesi i destini di entrambe. La battaglia sarà combattuta e vinta dal Signore (Ap 19:11-21) con la completa disfatta dell’impero romano e del paganesimo, sul quale Roma aveva costruito il suo potere totale» (Homer Hailey, Revelation. An Introduction and Commentary, Baker, Grand Rapids 1979, Michigan, pp. 336-337, traduzione di Alessandro Corazza).

In conclusione, il nome di Meghiddo, il più celebre campo di battaglia palestinese, rappresenterebbe il simbolo di lotte decisive ed evocherebbe pertanto sconfitte e stragi: harmaghedòn sarebbe per eccellenza il luogo dove i re periscono (simile all’uso che facciamo noi di due parole per indicare una sconfitta tragica, drammatica, se non finale: “Caporetto”, ove gli Italiani crollarono durante la Grande Guerra, 24 ottobre 1917; “Waterloo”, in Belgio, ove Napoleone fu debellato definitivamente il 18 giugno 1815);

3) il Prigent, nell’opera già ricordata sopra (p. 495), espone così la terza ipotesi: «Se si ammette la spiegazione meno insoddisfacente, e cioè che il nome di Meghiddo può evocare il posto di una grande battaglia escatologica, si può forse giustificare la sorprendente menzione della montagna di Meghiddo: l’adunata degli eserciti nemici farebbe allusione qui, e soprattutto in Ap 19, alle profezie di Ez 38 e 39, dove si afferma che un grande esercito marcerà per attaccare in un assalto escatologico le montagne di Israele» (Ez 38:8; 39:2,4,17).

 

CONCLUSIONE

A tutt’oggi harmaghedòn rimane un mistero insoluto, a cominciare dal nome stesso. Il terreno è minato. Eppure, strano a dirsi, da un versetto così enigmatico, e per di più posto in un contesto pieno di simbolismi (sono forse reali le tre rane che fuoriescono dalle letterali bocche di vere creature per combattere una vera battaglia?), i TdG e i millenaristi in genere hanno ravvisato gli elementi per affermare che, realmente, la battaglia finale avverrà (i TdG dicono che harmaghedòn è solo un simbolo e che pertanto solo la battaglia è reale: essa sarà combattuta in tutte le parti del globo; i millenaristi, al contrario, affermano che avverrà nella piana di Meghiddo, peraltro incapace di contenere le forze disposte allo scontro finale – centinaia di milioni di soldati, secondo la tesi dei millenaristi). «Pensare ad una battaglia militare tra veri eserciti da combattersi nella Palestina settentrionale in qualche tempo del futuro è del tutto privo di qualunque supporto scritturale, oltre che estraneo allo spirito e alle finalità dell’Apocalisse» (H. Hailey).

Meghiddo, il più celebre campo di battaglia palestinese, sarebbe simbolo di lotte decisive ed evocherebbe pertanto sconfitte e stragi. Possiamo solo avanzare l’ipotesi che Giovanni, introducendo harmaghedòn, abbia voluto in qualche modo – tuttora oscuro per noi – simboleggiare la lotta finale e la sconfitta delle forze del male contro le forze di Dio.

Spesso nella Bibbia nomi geografici vengono usati per indicare verità spirituali: uno degli esempi certo più celebri è la gehenna, ossia (dall’ebraico ge-hinnom) la “Valle di Hinnom”, sita a sudovest di Gerusalemme. Questa zona fu usata dai re Achaz e Manasse per i sacrifici idolatrici, che consistevano nel far passare per il fuoco i loro figli e figlie in onore del dio fenicio Molok (2Re 16:3; 21:6). In seguito il luogo divenne ricettacolo d’ogni genere di immondizia. Nella Valle di Hinnom ardeva sempre il fuoco. Ecco perché Gesù parla della gehenna come del luogo di castigo e della perdizione finali. Ma ne parlò in modo simbolico: certamente non dobbiamo aspettarci che, dopo il giudizio, gli empi saranno letteralmente stipati nella Valle di Hinnom, a sud di Gerusalemme.

Del pari, nell’Apocalisse ricorrono nomi di luogo a significare realtà spirituali: sul versante del bene, Sion e Gerusalemme sono il tipo della città di Dio, la Chiesa (14:1; 21:1), mentre – quanto al male – Babilonia, l’Egitto e Sodoma, l’Eufrate rappresentano rispettivamente l’apostasia e l’opposizione a Dio (14:8), la violenza e l’empietà (11:8) e il punto d’origine dei nemici dell’Israele spirituale. È per l’appunto in una cornice letteraria del genere che occorre collocare la citazione di harmaghedòn. I TdG posseggono la capacità sorprendente di rendere a proprio piacimento le cose o letterali o simboliche: sicché harmaghedòn è figurativo, ma la battaglia sarà reale (vedi anche il loro modo di porre la questione dei 144.000, che per Giovanni sono solo uomini ebrei vergini: cfr. Ap 7 e 14, mentre i TdG, al contrario, ritengono simbolico il tutto tranne il numero).

Giovanni parla sicuramente di un conflitto tra le forze malefiche e le forze divine. Tutto il libro dell’Apocalisse è un messaggio di vittoria dei cristiani, ma la guerra dei discepoli di Gesù non è di ordine materiale, come fece chiaramente intendere Gesù dinnanzi a Pilato (Gv 18:35-38) e come ribadì l’apostolo Paolo in Ef 6:17 e in 2Cor 10:3-5.

 

Arrigo Corazza (2008)