IL RAZZISMO? LO VINCE IL VANGELO
17 Settembre 2021IL FASCINO DELL’ANTICO TESTAMENTO
19 Settembre 202118 settembre 2021
«È lui [Cristo] che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori» (Ef 4:11).
* * *
Scopo di questo breve studio è esaminare i seguenti termini: apostolo, profeta, evangelista, dottore, pastore, anziano, vescovo, conduttore, preposto, diacono, relativi ai ministri nella Chiesa di Cristo descritta nel N.T. Alla fine dell’analisi di questi dati, proporremo una breve sintesi.
* * *
IL N.T. DAL GRECO ALL’ITALIANO
Il N.T. fu scritto originariamente in greco, che rimase la lingua delle chiese in occidente sino al 200 d.C. circa, quando fu sostituita dal latino. La celeberrima lettera che Paolo scrive ai Romani è in greco. In seguito, con il progredire della cristianizzazione, si avvertì la necessita di tradurre il N.T. in altre lingue. Assai famosa fu la Vulgata (“comune”, “diffusa”), versione in latino approntata da Girolamo su richiesta di papa Damaso a partire dal 384. Le prime traduzioni in volgare italiano risalgono, a quanto si sa, al Duecento circa. Da allora in poi, sono state prodotte molte versioni bibliche nella nostra lingua.
RILIEVI
- Per la precisione, il N.T. fu scritto nella koiné del I sec. d.C., che si distacca dalla lingua classica, essendo più semplice nella struttura e venata di parole straniere. È da tenere presente, inoltre, l’influsso della lingua ebraica sul greco del N.T.
- L’opera di Gerolamo fu complessa. Egli dovette tanto raccogliere e sistemare le antiche versioni latine al suo tempo, quanto tradurre nuove parti. La Vulgata fu alla base del cattolicesimo romano fino al 1979, quando fu sostituita dalla Nova Vulgata. L’8 aprile 1545, nella sessione VIII del Concilio di Trento, la Vulgata assunse lo status di unica versione accettata nella Chiesa Cattolica romana. Tutte le altre versioni furono bandite a partire dal 1559 (Indice dei Libri Proibiti), specie quelle in lingua volgare. Per questo motivo in Italia, per circa due secoli, sino alla versione del Martini (circa 1770), non fu possibile usare ufficialmente una Bibbia in lingua italiana, con gravissime ripercussioni nel nostro paese sull’alfabetizzazione in genere e sulla conoscenza della Sacra Scrittura in particolare. Sull’argomento, vedi il bel libro della professoressa Gigliola Fragnito, La Bibbia al rogo, il Mulino, Bologna 1995
DIFFERENZA TRA TRANSLITTERAZIONE E TRADUZIONE
Attraverso il latino svariati termini del greco neotestamentario sono penetrati in italiano grazie ad un processo linguistico di translitterazione (“riprodurre l’originale lettera per lettera”). Facciamo qualche esempio in proposito, usando parole assai note quali “angelo”, “chiesa”, “diavolo”, “battesimo”.
- “Angelo” non ha di per sé alcun significato, essendo una semplice traslitterazione latina del greco ànghelos, latino angelus, che tradotto vale “messaggero”.
- “Chiesa” (greco ekklesìa, latino ecclesia, italiano antico clèsia) ha il valore di “assemblea”.
- “Diavolo”’ (greco diabolos, latino diabolus) significa “ingannatore, calunniatore, accusatore, separatore” (letteralmente, in greco, “colui che disunisce, separa”).
- “Battesimo” (greco bàptisma, latino baptìsma) indica l’immersione.
Quanto ai vocaboli specificamente dedicati dal N.T. al concetto di servizio o ministero, ci troviamo di fronte ad una situazione mista: “apostolo”, “profeta”, “evangelista”, “diacono” e “vescovo” sono una traslitterazione, mentre “pastore” e “dottore” sono una traduzione. Ne consegue che se capiamo senza indugio quale sia l’opera del “pastore”’, altrettanto non può dirsi di quella del “vescovo”, che consiste essenzialmente nell’ispezione o custodia. Anche il termine “dottore” va precisato, perché nel nostro paese evoca soprattutto la persona del medico e, ma meno diffusamente, il laureato in genere; nel N.T., invece, il “dottore” è l’insegnante, il maestro.
APOSTOLO
Il greco apòstolos ha il significato primario di “inviato” nella sua gamma più ampia (Gv 3:16), il messo in tutte le sue funzioni, da plenipotenziario a messaggero a delegato (2Cor 8:23). Nell’ambito del cristianesimo “apostolo” è, per eccellenza, chi fa parte del gruppo ristretto dei Dodici stabilito da Gesù (con l’aggiunta speciale e posteriore di Paolo di Tarso). In Ef 2:20 gli apostoli, dotati di tutta l’autorità di Cristo e del potere dello Spirito Santo, sono i plenipotenziari che hanno il compito specifico di fondare e stabilire chiese: in questo senso essi ne costituiscono il fondamento.
RILIEVI
- Apòstolos, dal verbo apostèllo, “inviare”, “mandare”, ricorre 80 volte nel N.T.
- In At 14:4,5,14 Paolo e Barnaba sono detti “apostoli”, cioè “inviati” nella missione del vangelo. In Rm 16:17 Andronico e Giunia, parenti e compagni di prigionia di Paolo, si sono segnalati tra gli apostoli. Qui il senso dell’originale ἐν τοῖς ἀποστόλοις (en tois apostòlois) è che essi sono considerati “inviati” in senso lato, oppure che sono apprezzati dagli apostoli in senso stretto, cioè dal nucleo dei Dodici stabilito da Gesù.
- In At 1:21-22 ricorrono i requisiti essenziali per potersi fregiare del nome e della missione di apostolo: essere stati in compagnia «tutto il tempo che il Signore Gesù» visse tra i suoi, «a cominciare dal battesimo di Giovanni fino al giorno che egli», tolto da questo mondo, «è stato elevato in cielo», allo scopo di diventare testimone della sua vita, morte, risurrezione e ascensione. Questi requisiti fanno sì che, dalla morte dell’ultimo dei Dodici fino ad oggi, debba essere considerato un falso profeta chiunque si arroghi il diritto di chiamarsi “apostolo”. Inoltre, è degno di nota il fatto che, dopo la Pentecoste di At 2, gli apostoli non hanno avuto successori (prova ne è che alla morte di Giacomo di Zebedeo, fratello di Giovanni, non viene eletto alcun subentrante: At 12).
PROFETA
Il greco prophètes (144 volte nel N.T.) indica principalmente chi parla al posto di un altro. Nella Bibbia il profeta è il portavoce di Dio. In quanto tale, egli proclama il volere divino così nell’A.T. (Mt 2:23) come nel N.T.: vedi Giovanni il Battista (Mt 14:5), Gesù (Mt 21:11), i credenti dotati del dono dello Spirito di profezia (At 15:32; Ef 4:11), addirittura il profeta pagano citato da Paolo in Tt 1:12.
Nella concezione comune il profeta è chi prevede (cioè vede in anticipo) la storia, ma questo – pure presente – non è l’aspetto dominante della sua attività. Infatti, in greco la preposizione pro– può avere un significato sia geografico (“dinanzi, di fronte, davanti, in modo pubblico”) sia cronologico (“anteriormente, in precedenza”); solo il contesto determinerà quale dei due sensi sia da adottare. In sostanza, il profeta è colui che
– in pubblico proferisce la Parola di Dio,
– anticipatamente palesa i piani divini,
– pubblicamente svela in anticipo quanto è destinato ad accadere nello schema di salvezza voluto da Dio e realizzato appieno in Cristo Gesù.
Il profeta inviato da Dio enuncia la Parola di Dio, parla in sua vece. I suoi interventi riguardano la storia passata, presente e futura, di modo che essa diventa storia sacra. Il profeta è dunque un interprete della storia, e questa sua interpretazione può assumere i contorni più vari (esortazione, riprensione, condanna, salvezza, speranza e via dicendo). È importante sottolineare l’origine divina della profezia, giacché la Bibbia parla anche di falsi profeti, inviati non da Dio bensì dall’uomo. Vedi, nell’A.T., numerosi casi di falsi profeti, i più famosi dei quali concernono gli avversari di Elia e Geremia. Lo scontro tra il vero (cioè divino) e il falso (cioè umano) è presente in tutta la Sacra Scrittura e in tutta la storia della chiesa, nella quale si sono alternati veri e falsi profeti, cristiani, fratelli …
EVANGELISTA
Euangelistès (solo tre volte nel N.T.: At 21:8; Ef 4:11; 2Tm 4:5) è direttamente imparentato a “evangelo”. Qui ci troviamo di fronte ad un caso di traslitterazione, che va quindi tradotto in italiano: “evangelista” è chi annuncia la Buona Notizia della salvezza in Cristo Gesù (At 4:12). Non va scambiato con “evangelico”, che è solitamente chi segue i principi della Riforma protestante, oppure chi si rifà ai principi del Vangelo.
Il predicatore (greco kéryx) è l’araldo, il pubblico annunciatore o proclamatore del vangelo. Il verbo kerýsso indica l’atto del predicare o annunciare, come nel caso di
– Giovanni il Battista (Mt 3:1),
– Gesù (Mt 4:17),
– i Dodici (Mc 3:15; 6:12; 16:15: At 10:42),
– Filippo (At 8:5),
– Paolo (At 9:20; 28:31),
– Timoteo (2Tm 4:2).
DOTTORE (INSEGNANTE, MAESTRO)
L’originale greco è didàskalos”, che ha generato anche in italiano un’ampia gamma di vocaboli (quali didattica e via dicendo). Didàskalos è l’insegnante, il maestro (Mt 10:24), assai spesso equivalente al rabbì.
RILIEVI
- Rabbì è presente 15 volte nel N.T. Si tratta di un termine aramaico che vale, letteralmente “il mio grande”, quindi “maestro” (Gv 1:38). Era termine onorifico per indicare lo scriba o chiunque fosse riconosciuto come insegnante di rilievo della legge mosaica (cfr. Mt 23:7). Rabbì ha generato l’italiano “rabbino”.
- Il latino magìster viene da magis, “più, che vale di più”, e indica il superiore in vari contesti, in opposizione a minìster, “servitore” (cfr. “ministro”). Minìster deriva da minus, “minore”, con un suffisso -ter che indica la comparazione fra due.
- Doctor viene da docére, “insegnare” (cfr. l’italiano “docente”, “docenza”).
- I Latini tradussero didàskalos con due termini: magìster e doctor, dai quali discendono i nostri “maestro” e “dottore”. In italiano didàskalos può essere reso con “insegnante”, “maestro”, “dottore”. I primi due si lasciano sicuramente preferire, essendo “dottore” molto meno diffuso per indicare chi insegna (come già detto, nella visione comune designa in primis il medico).
Nella Chiesa di Cristo, Dio ha dunque disposto insegnanti / maestri / dottori per la conoscenza e approfondimento della Sacra Scrittura.
PASTORE
Nel N.T. poimén indica il pastore vero e proprio (Lc 2:8) o, sotto l’aspetto metaforico, chi è rivestito dell’autorità specifica di proteggere e pasturare un gruppo di credenti: in questo senso Cristo è il pastore per eccellenza, il capo della chiesa, il grande pastore delle pecore (Eb 13:20; cfr. 1Pt 2:25), mentre i pastori sono cristiani che servono avendo cura del gregge (Ef 4:11). “Pastore” sottolinea l’impegno proprio di chi custodisce, una per una, le pecore affidategli: le conosce e protegge a costo della propria vita, come splendidamente fa notare il Signore Gesù in Gv 10. Occorre ricordare che la figura del “pastore” era assai nota in ambito vicino-orientale e non solo presso gli Ebrei, per i quali Dio è il pastore unico e onnipotente. In tutto l’Oriente il popolo è detto “gregge” e il re “pastore”.
- Dio è il pastore di Giacobbe (Gn 48:15; 49:24), di ogni credente (Sal 23:1; 80:1; Is 40:11);
- Saul, in quanto re, è il pastore d’Israele (2Sam 22);
- Ciro, il re di Persia, è l’inconsapevole pastore e unto del Signore (Is 44:28; 45:1ss);
- Geremia, agli ordini di Dio, è il pastore d’Israele (Ger 17:16);
- le guide d’Israele sono pastori che hanno abbandonato il gregge perché preoccupate solo di pascere se stesse (Ez 34:8);
- il messia, proveniente dal seme di Davide (cfr. 2Sam 7), sarà l’unico pastore che pascolerà Israele (Ez 34:23; 37:24).
Nel N.T. il verbo poimàino (“pascere”, “guidare” e “aiutare’”, “governare”), ricorre solo 11 volte nel N T (Mt 2:6; Lc 17:7; Gv 21:16; At 20:28; 1Cor 9:7: 1Pt 5:2; Gd 1:12; Ap 2:27; 7:17; 12:5; 19:15). Gesù lo usa nei confronti di Pietro (Gv 21:16) e Paolo per i pastori / anziani / vescovi della chiesa di Efeso riuniti con lui a Mileto (At 20:28).
Il “pastore” in senso evangelico / protestante non compare nel N.T.: si tratta di una figura creata dopo la Riforma protestante del XVI secolo. Secondo i dati neotestamentari, il pastore guida la chiesa insieme con altri pastori, e mai da solo.
Nella Chiesa di Cristo, Dio ha dunque disposto anziani / vescovi / pastori per la cura della fratellanza.
ANZIANO
Presbýteros (cfr. “presbitero”) è il comparativo di presbýs, “vecchio”, l’anziano nei suoi aspetti più nobili, persona veneranda da additare quale esempio, l’ambasciatore.
Nel N.T. presbýteros riveste i seguenti significati:
- una persona che è più anziana d’età (Lc 15:25);
- i vecchi, “gli antichi” (Eb 11:2; Gv 8:9; At 2:17);
- gli ufficiali delle sinagoghe ebraiche (Lc 7:3; Mc 11:27); dei concili cittadini (Lc 7:3); del Sinedrio, con scribi e sacerdoti (Mt 16:21);
- i conduttori della chiesa locale (At 14:23; 15:2);
- i ventiquattro membri del concilio celeste descritto in Ap 4:4.
Nel N.T. viene nominato anche il “presbiterio” (greco: presbytèrion), cioè il collegio o gruppo dei presbiteri (o anziani) della chiesa: cfr. 1Tm 4:14. Si ricordi che il nostro “prete” viene da “presbitero”, ma la funzione che esprime nel cattolicesimo è del tutto diversa da quella che avevano gli anziani della chiesa neotestamentaria.
VESCOVO (ISPETTORE, SORVEGLIANTE, SOVRINTENDENTE, CUSTODE)
“Vescovo” è da epìskopos (rispetto all’originale greco, in italiano la e– cade, la p– si tramuta in v-, k– corrisponde a c-). Epìskopos vale esattamente “sorvegliante, soprintendente, ispettore, custode” da epì (“sopra”) e skopèo (“osservare”). Per una voce similare, ricordiamo il periscopio, lo strumento per guardare intorno (perì, “intorno”). Nella tradizione greca classica l’episcopo era un funzionario incaricato di sorvegliare le città assoggettate.
Nella Chiesa di Cristo, Dio ha dunque disposto ispettori / sorveglianti / sovrintendenti.
CONDUTTORE
L’autore di Ebrei parla (in 13:7,17,24) dei “conduttori”, hegoùmenoi, da hegèomai, che ha due significati fondamentali:
– “essere dell’opinione”, “considerare”, “stimare” (Gc 1:2; Fil 2:3,25), “ritenere”;
– “andare avanti”, “guidare”, “condurre” (At 15:22: «uomini autorevoli»). In At 14:12 Paolo è identificato dai pagani con Hermes (il dio della retorica; Mercurio per i latini) «perché era lui che teneva [conduceva, primeggiava, hegoùmenos) ne] il discorso» (ἐπειδὴ αὐτὸς ἦν ὁ ἡγούμενος τοῦ λόγου).
Quindi, da un punto di vista linguistico è lecito parlare di “conduttori”, “capi”, “guide” delle chiese. Secoli più tardi, nel Settecento, si dissero egùmeni i superiori nei monasteri greco-ortodossi (corrispondenti agli abati della tradizione latina).
PREPOSTO, CHI PRESIEDE (DIRIGENTE)
In 1Ts 5:12-13, Paolo esorta: «Fratelli, vi preghiamo di aver riguardo per coloro che faticano in mezzo a voi, che vi sono preposti nel Signore e vi istruiscono, e di tenerli in grande stima e di amarli a motivo della loro opera».
– “Preposti” è traduzione del greco prohìstemi, letteralmente “stare in fronte a” (quindi, “guidare, dirigere, governare, presiedere, tenere la presidenza”). L’apostolo menziona i “preposti nel Signore”, che meritano stima, rispetto e amore da parte dei fratelli e delle sorelle perché faticano in mezzo a loro, ammonendoli o istruendoli.
– 1Tm 5:17: «Gli anziani che tengono bene la presidenza, siano reputati degni di doppio onore, specialmente quelli che si affaticano nella predicazione e nell’insegnamento; infatti la Scrittura dice: “Non mettere la museruola al bue che trebbia”; e: “l’operaio è degno del suo salario”»; i preposti meritano l’onore (e anche l’onorario, se sono impegnati nella predicazione e nell’insegnamento).
– Nella Chiesa di Cristo i preposti ai fratelli sono gli anziani / pastori / vescovi.
DIACONO
Il significato fondamentale della radice diakon – è “servizio”, “ministero”. Dalla translitterazione passiamo alla traduzione: nel N.T. diàkonos è
- il ministro, il servitore, l’aiutante (Mt 26:20);
- l’attendente di un ufficiale (Mt 22:13);
- l’autorità umana deputata al mantenimento dell’ordine (Rm 13:4);
- il servitore / ufficiale della chiesa locale (Fil 1:1), tanto uomo (1Tm 3:8) quanto donna (Rm 16:1).
RILIEVI
- Nel N.T. la radice diakon – ricorre in diakonèo (“servire”: 37 volte), diàkonos (“servitore”: 29 volte), diakonìa (“servizio”: 33 volte).
- In Rm 16:1 Paolo cita Febe, diaconessa della chiesa di Cencrea (uno dei due porti di Corinto). Questa è l’unica occorrenza neotestamentaria di “diaconessa” (peraltro, qui Paolo usa il maschile diàkonos applicato a Febe). Si discute se in Rm 16:1 diàkonos abbia il senso generale di “servitore” oppure quello specifico di “diacono” come in Fil 1:1 e 1Tm 3:8-13.
SINTESI FINALE
I dati fin qui raccolti ci consentono d’individuare chiaramente almeno tre caratteristiche fondamentali dell’ufficio dei servitori di Dio. Tale ufficio è:
– MINISTERIALE. Gli incarichi e i relativi ufficiali nella chiesa sono tutti rivolti al servizio e alla cura altrui, alla crescita del corpo di Cristo. Questo è il motivo principale per cui Cristo ha donato i ministri alla sua chiesa.
– COLLETTIVO MASCHILE. La chiesa è guidata o condotta o custodita da una pluralità (sempre una pluralità) di credenti maschi (sempre maschi) che spiccano per maturità (anziani) nel loro compito di sorveglianza o ispezione (vescovi) del gregge loro affidato (pastori).
– SCRITTURALE. Nella chiesa ogni servizio si attua unicamente sulla base della Parola di Dio e dell’insegnamento divino impartito dagli apostoli e dai profeti, che costituiscono il fondamento della chiesa (Ef 4:11; 2:20; 1Tm 3:1ss; Tt 1:5; Eb 13:7,17,24).
Sotto l’aspetto linguistico le fonti bibliche analizzate non offrono in alcun modo la benché minima idea che i dirigenti della chiesa signoreggino il gregge di Dio; al contrario, essi lo servono nella mutua carità basata sulla Sacra Scrittura. Peraltro occorre notare come, in prosieguo di tempo, all’interno del gruppo di anziani / vescovi / pastori prevalesse un epìskopos (“vescovo”) sui presbiteri (o anziani, poi “preti”), formando così la gerarchia alta del cattolicesimo romano. Ciò palesa ancor di più le deviazioni rispetto al modello originario della chiesa neotestamentaria, una chiesa dedita alla glorificazione di Dio in Cristo Gesù e al servizio comune dei fratelli.
Arrigo Corazza