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IL MESSAGGIO DELLA BIBBIA

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LA BIBBIA È LA PAROLA DI DIO

«La Bibbia è la Parola di Dio». Con queste semplici ma chiare parole si esprime il pensiero più alto sulla Bibbia. Scritta nell’arco di oltre mille anni (pressappoco dal 1200 a.C. al 100 d.C.), essa non è soltanto un’antica e mirabile opera letteraria composta di sessantasei libri che parlano di storia religiosa e di molti altri argomenti, ma è innanzitutto rivelazione divina, il messaggio di Dio alla creatura umana. Certo, è un messaggio incarnato in una storia assai diversa dalla nostra e diffuso in lingue (ebraica, aramaica e greca) che noi Italiani non conosciamo. È comunque un messaggio valido in ogni tempo, perché Dio desidera farci capire, appunto tramite la Bibbia, un’idea molto semplice ed universale: a causa del peccato, che è la violazione della legge di Dio (1Gv 3:4), i peccatori sono perduti spiritualmente, a meno che Dio stesso non faccia qualcosa per salvarli.

Il disegno di Dio per l’uomo è la salvezza in Cristo Gesù, il quale è a sua volta il tema principale della Bibbia, annunciato nell’Antico Patto (A.T.) e presente, incarnato nel Nuovo Patto (N.T.). Pertanto, di là da ogni altro interesse (seppure erudito, come quello degli storici e dei linguisti), dovrebbe prevalere, nel lettore della Bibbia, questa fondamentale priorità intellettuale: io leggo la Parola di Dio perché ho bisogno di sapere come stiano effettivamente le cose riguardo alla mia situazione spirituale e che cosa io debba fare per essere salvato in Cristo Gesù. Ciò detto, è bene aggiungere subito che per capire il messaggio della Bibbia occorre studiarla seriamente e devotamente. Ma v’è di più: occorre studiarla nel modo più appropriato

 

STUDIARE LA BIBBIA E FARLO COME SI CONVIENE

Studiare il messaggio della Bibbia richiede

  • un impegno fuori del comune,
  • un’attività costante e attenta,
  • una riflessione precisa,
  • una pur minima conoscenza delle tecniche adatte allo studio di qualunque libro (e quindi tanto più necessarie per lo studio di un libro così distante da noi, quanto a costumi e circostanze storiche, come appare essere la Bibbia).

In altre parole, bisogna studiare la Bibbia e farlo come si conviene, pena il rischio di non capirne il senso. Come ogni libro, anche la Bibbia è stata scritta facendo uso di canoni letterari vigenti nella lunghissima epoca in cui fu prodotta. Questi modi di scrivere si chiamano “generi letterari”. Nella Bibbia ricorrono molti generi letterari: storie, preghiere, leggi, poesie, profezie, inni, cantici d’amore, discorsi, apocalissi e così via. Tutto ciò, unito alla distanza temporale tra noi e la Bibbia (circa tremila anni dal libro della Genesi), ci complica la vita. Siamo preda dello sgomento allorché esaminiamo i brani apocalittici della Bibbia (su tutti l’Apocalisse di Giovanni). Eppure, le apocalissi costituivano un genere letterario diffuso presso gli Ebrei e i primi cristiani; oggi, però, esse non hanno cittadinanza nella nostra usanza di vedere e, specialmente, di esprimere le cose.

Un esempio non biblico ci aiuterà a capire il nocciolo della questione. A scuola abbiamo tutti studiato Dante (1265 – 1321), il massimo poeta italiano, uno dei geni dell’umanità. Ci è stato insegnato a collocare Dante nel suo tempo, nelle correnti di pensiero storico-religioso che caratterizzano l’epoca medievale nella quale egli nacque e visse. Chi di noi avrebbe potuto intendere un briciolo della poesia di Dante senza una previa comprensione della sua epoca? Il fiorentino Dante è molto diverso, ad esempio, da noi oggi o dagli intellettuali mussulmani suoi contemporanei, i quali non avevano alle spalle un millennio di cattolicesimo come lui, con tutte le conseguenze che ne derivavano. Nella sua Divina Commedia, Dante parla di inferno, purgatorio e paradiso sulla scorta di secoli e secoli di pratiche ed orientamenti teologici propri dell’Occidente medievale dominato dalla Chiesa Cattolica Romana. Al contrario, l’intellettuale mussulmano viveva in un mondo molto diverso da quello di Dante, cioè in un ambito dominato da categorie mentali differenti da quelle proprie dell’Occidente medievale. Ecco quindi che cosa fare in primis per intendere Dante: immergersi nella sua vita distinguendone accuratamente i fatti e le scansioni storiche.

Questo stesso viaggio a ritroso deve farsi per ciascuna opera letteraria che non appartenga più ai nostri tempi. Perché, invece, quando si apre per la prima volta la Bibbia si dimenticano tutti i sacrosanti principi del corretto studio di un libro, con il risultato di chiuderla immediatamente in quanto risulterebbe “troppo difficile”? Ma la Divina Commedia è “più facile” della Bibbia? Vi sono stati studiosi italiani, tra cui Umberto Eco, che hanno giustamente fatto notare che è assolutamente sbagliato nelle scuole italiane non insegnare nulla a proposito della Bibbia (si studia Omero, ad esempio, ma non la Bibbia). Eppure la Bibbia è stata definita il grande “codice” dell’Occidente (Northrop Frye): senza la Bibbia, infatti, esisterebbe poco o nulla di ciò che ci circonda da un punto di vista letterario, artistico, architettonico, e via dicendo. Lo stesso Dante non sarebbe diventato quello che è, essendo il suo orizzonte mentale compiutamente tracciato dalla Bibbia.

Crassa, devastante, abissale è l’ignoranza degli studenti italiani (e non solo …) a proposito della Bibbia come insigne opera letteraria, unica nel suo genere in tutte le letterature prodotte dal genere umano. Richiesti in un recente sondaggio di esprimere di primo acchito un pensiero al suono della parola “genesi”, la maggior parte di questi studenti ha detto di pensare al famoso complesso rock britannico Genesis, capeggiato ora da Phil Collins e, in tempi più lontani, da Peter Gabriel. La domanda d’obbligo, giunti a questo punto, è la seguente: ma gl’Italiani non sono per circa il 90% di religione cattolica? Non sono quindi battezzati, cresimati e via dicendo? Non siamo una nazione (o forse “la nazione”) “cristiana” per eccellenza? Come mai si nota, tra di noi, un’ignoranza così diffusa della Bibbia? Di là dalle tre citazioni bibliche più ricorrenti («occhio per occhio, dente per dente», «chi è senza peccato scagli la prima pietra», “non fare agli altri” [sic!], quando l’originale di Mt 7:12 è il contrario: «Tutte le cose che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro» …), gli Italiani sanno veramente poco della Parola di Dio.

 

IL MESSAGGIO DELLA BIBBIA: L’ANTICO PATTO

Il motivo della divisione della Bibbia in Antico e Nuovo Testamento (meglio: Antico e Nuovo Patto) non è casuale, ma dipende da un semplice accadimento: dopo l’apparizione di Gesù, la storia umana non è stata più la medesima e gli uomini stessi hanno avvertito vivo il bisogno di distinguere tra un prima e un dopo di Cristo. E prima di Cristo, in merito ai rapporti tra Dio e il genere umano, risalta nettamente l’eccezionale esperienza storica di un popolo: Israele, con il quale Dio stringe un patto, quello che i cristiani chiamano Antico Patto o Testamento (2Cor 3:14).

Mediante l’Antico Patto Dio stringe un rapporto con Israele, nazione discendente da quell’Abramo scelto dalla grazia di Dio in una città dell’attuale Iraq, l’antichissima Ur. Gli altri popoli, seppure tenuti al rispetto di Dio e soggetti al suo giudizio (vedi per esempio il caso di Sodoma e Gomorra in Gn 19, o di Ninive nel libro del profeta Giona, o delle nazioni pagane in Am 1:3-2:3), non sono vincolati al Signore (come lo è Israele) da un patto scritto (la legge di Mosè) e sancito dalla comunione tra le due parti (cfr. Es 19:1ss). Questo patto, stipulato tra Dio e il popolo d’Israele, fa sì che Israele stesso si impegni a rispettarlo nella maniera dovuta, amando cioè il Signore con fedeltà e dedizione completa alla sua legge.

Nel corso di oltre mille anni, Israele reca nel mondo pagano la fiaccola della legge di Dio e la testimonianza di essere suo popolo. Non importa qui soffermarci sul fatto che troppo spesso tale testimonianza sia stata inadeguata alle richieste divine. Resta vero che Israele ha vissuto nel nome di Dio la sua esperienza storico-religiosa sino alla nascita di Gesù il Nazareno. L’Antico Testamento (Es 20; 24:7-8; 2Cor 3:14) è dunque il patto della promessa (Ef 2:12), la storia degli interventi di Dio prima della nascita del Salvatore Gesù. Da un punto di vista letterario, l’Antico Patto si compone di 39 libri redatti in ebraico ed aramaico a partire dal 1200 a.c. circa.

 

IL MESSAGGIO DELLA BIBBIA: IL NUOVO PATTO

Con la vita, la morte, la risurrezione e l’ascensione al cielo di Gesù detto il Cristo (Messia), il rapporto tra Dio e Israele cambia allargandosi al punto tale da inglobare tutti gli uomini della terra. Dunque, non v’è più distinzione tra Ebrei e non Ebrei (Gentili), ma piena attuazione del piano di salvezza in questi e in quelli, al fine di formare la Chiesa di Cristo, composta sia di Ebrei sia di non Ebrei. Il Nuovo Patto è instaurato per mezzo di Gesù di Nazareth detto il Cristo, Dio incarnato, la Parola di Dio. A questo punto risulta di fondamentale importanza capire che tale secondo, nuovo Patto (il quale, per i cristiani è ovviamente anche l’ultimo), che raccoglie e completa in sé il primo e antico Patto (cfr. Mt 5:17; Eb 8:13; 2Cor 3:14), è stipulato precisamente nel sangue di Gesù, il Figlio di Dio privo di peccato, che non si è vergognato di morire a favore dei peccatori. È per questo motivo che possiamo ragionevolmente e religiosamente ritenere che la nostra fede sia basata non sul mito o sul disinteresse o sulla lontananza di Dio, ma sulla reale esperienza di dolore che accompagna il nostro fratello maggiore Gesù durante la sua vita (Fil 2:1-11; Eb 2:5ss; 4:14-16).

Questa seconda e finale distinzione biblica, il Nuovo Patto, dalla Pentecoste in avanti (At 2) ci accompagnerà sino alla fine del presente sistema di cose (Mt 28:18ss). Questo periodo indefinito, simbolicamente di mille anni in Ap 20, viene detto “ultimi giorni”, “ultimi tempi”, che sono il tempo della / dello

  • Chiesa,
  • Spirito,
  • salvezza (1Cor 10:11; At 2:7; Eb 1:1; 1Pt 5:20).

In conclusione, il Nuovo Testamento o Patto (Lc 24:44; 1Cor 11:25; Ger 31:31) è 

  • il patto della libertà in Cristo Gesù (Gal 4:21-31);
  • la rivelazione definitiva del Padre (Gd 3; Gal 1:8ss; Gv 14:26; 16:13; Ap 22: 18ss);
  • la verità della libertà e della salvezza (Gv 8:32; Gc 1:21);
  • la parola che ci giudicherà (Gv 12:48; Rm 2:16).

Da un punto di vista letterario, il Nuovo Patto si compone di 27 libri redatti in greco tra il 50 e il 100 d.C.

 

ARMONIA TRA ANTICO E NUOVO PATTO

«L’economia dell’Antico Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cfr. Lc 24:44; Gv 5:39; 1Pt 1:10) e a significare con vari tipi (cfr. 1Cor 10:11) l’avvento di Cristo, redentore universale, e del Regno messianico. I libri poi dell’Antico Testamento, secondo la condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti la conoscenza di Dio e dell’uomo e il modo con cui Iddio, giusto e misericordioso, si comporta con gli uomini. I quali libri, sebbene contengano anche cose imperfette e temporanee, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina. Quindi i fedeli devono ricevere con devozione questi libri, che esprimono un vivo senso di Dio, nei quali sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere, nei quali infine è nascosto il mistero della nostra salvezza. Dio, dunque, ispiratore ed autore dei libri dell’uno e dell’altro Testamento, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nell’Antico e l’Antico diventasse chiaro nel Nuovo. Poiché, quantunque Cristo abbia fondato nel suo sangue la Nuova Alleanza (cfr. Lc 22:20; 1Cor 11:25), nondimeno i libri dell’Antico Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento (cfr. Mt 5:17; Lc 24:27; Rm 16:25s; 2Cor 3:14ss), che essi illuminano e spiegano» (Dei Verbum, c. IV, n. 15 e n. 18).

Dunque, l’Antico e il Nuovo Patto sono cosi uniti che senza l’uno l’altro non sarebbe comprensibile pienamente e viceversa. Ecco alcune caratteristiche dell’Antico Patto rispetto al Nuovo: esso è 

  • l’introduzione che rende comprensibile e accettabile il Nuovo (Gv 5:46);
  • una dottrina religiosa che prelude al cristianesimo;
  • una storia che prepara la venuta di Cristo (1Pt 1:10-12);
  • una pedagogia fino a Cristo (Gal 3:24; 1Cor 10:11; Rm 15:4);
  • una figura (tipo) del Nuovo.

Quanto alla tipologia dell’Antico Patto, essa riguarda:

  • persone: Adamo (1Cor 15:22,45; Rm 5:14); Melchisedek (Eb cap. 7; 5:6,10; 6:20); Giona (Mt 12:39:41; 16:4);
  • cose: serpente di bronzo (Nm 21:9; Gv 3:14);
  • istituzioni: sacrifici (Eb 9:26; 10:12,16);
  • feste (Pasqua: lCor 5:7);
  • eventi: Noè e il diluvio (1Pt 3:18-22);
  • comportamenti: Abramo: fede e sacrificio del proprio figlio (Gn 22; Eb 11:8-19; Gv 8:39; Rm 4; Gal 3:6; Gc 2:21-24).

 

QUATTRO BRANI SU CUI RIFLETTERE

1TIMOTEO 3:14-15.

L’apostolo Paolo dice al giovane Timoteo: «Ti scrivo queste cose sperando di venire presto da te. Se dovessi tardare, saprai come bisogna comportarsi nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità». Qui apprendiamo che le parole ispirate dell’apostolo servono a conoscere quale sistema di vita sia necessario avere nella famiglia di Dio, ossia nella Chiesa, che è colonna e sostegno del vangelo.

GIOVANNI 20:30-32.

Lo Spirito Santo dice che «Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri miracoli che sono scritti in questo, ma queste cose sono state scritte affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome». Il senso del verso è che, per avere fede, occorre ascoltare la Parola di Dio (il N.T.: cfr. Rm 1:16; 10:17), senza cercare altre rivelazioni che nulla possono aggiungere o togliere al Verbo di Dio (Gv 12:48; Ap 22:18-19). L’istruzione della Parola di Dio è vivificante per i lettori, giacché essi vi trovano ciò che occorre per entrare nella comunione con Cristo, il datore della vita (cfr. Gv 3:15; 6:33).

LUCA 16:19-31.

Vi ricorre il racconto del Signore sul ricco e Lazzaro. Tra i molti e fondamentali insegnamenti che si possono trarre da questa perfetta gemma letteraria, v’è senza dubbio quello secondo cui nemmeno la risurrezione di un morto consentirà ai peccatori di ravvedersi se non crederanno dapprima ed unicamente alla Parola e alla comunicazione divina (v. 31: «Se non ascoltano Mosè e i profeti non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita»).

2TIMOTEO 3:16-17.

Vi troviamo le frasi più importanti circa l’ispirazione e l’utilità della Bibbia: «Ogni Scrittura è ispirata da Dio ed utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, ad educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia compiuto e ben preparato per ogni opera buona». Ecco il messaggio della Bibbia in generale e del N.T in particolare: grazie alla Bibbia, che è la Parola di Dio ispirata dallo Spirito Santo si può (si deve) diventare maturi, completi e preparati in Cristo Gesù allo scopo di vincere il peccato e di affrontare la vita di tutti i giorni nella gioia e nel riposo tipici del nuovo mondo spirituale voluto dal Signore, e cioè la Chiesa di Cristo, ch’è il Regno di Dio preparato sin d’ora in vista della salvezza finale nel «nuovo cielo e nella nuova terra» (Ap 21:1).

 

LA BIBBIA: IL CODICE DEI CREDENTI IN CRISTO

Nel celebre dialogo riportato in Gv 18:28-38, Ponzio Pilato, il prefetto romano della Giudea, chiese a Gesù il Nazareno, comparso al suo cospetto per essere giudicato, che cosa fosse “verità” (senza articolo nell’originale greco). La domanda scaturiva dalla precedente affermazione di Gesù di essere stato inviato nel mondo a dare testimonianza precisa della verità. Il quesito non è solo di Pilato: infatti, la ricerca della verità è uno dei desideri umani più comuni. Quanto al discorso religioso, il problema centrale di chi si avvicina a Dio è sapere che cosa sia la verità e, soprattutto, dove sia. Innumerevoli sono (state) le risposte degli uomini a questi due fondamentali quesiti. Ma qual è la risposta della Sacra Scrittura?

Gesù, la Parola incarnata (Gv 1:1-18), ha portato e insegnato la verità divina, santificando i credenti per mezzo della verità stessa (Gv 17:17). La Parola di Cristo costituisce sì il codice della grazia di Dio, ma anche il codice del giudizio finale (Gv 12:48), quando il presente stato di cose (il “secolo” o “età” di Mt 28:20), troverà la sua scritturale conclusione nel Figlio di Dio sommo giudice, per il quale era stato dapprincipio creato (Col 1:16; Ef 1:10; Gv 1:3; 1Cor 8:6; Rm 11:36). Il presente stato di cose (diciamo: il “sistema” in cui siamo immersi) rappresenta l’espressione e il risultato più evidente della storia umana. Ciononostante, non possiamo certo ritenerci soddisfatti della tradizione creata dall’uomo nel corso dei secoli. «Dio ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, ai quali un tempo vi abbandonaste seguendo l’andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell’aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli» (Ef 2:1-2)

Per chi crede in Dio e nell’atteggiamento morale ed etico che necessariamente deve conseguire, è chiaro che, dal tempo dell’Eden ad oggi, il genere umano si è lasciato andare ad ogni sorta di peccato. Il tragico e fosco quadro che Paolo dipinge dell’umanità a lui coeva (Rm 1:18-32), sembra poca cosa rispetto a quel che si vede oggi oppure rispetto a quel che, solo per citare un esempio, il Novecento ci ha riserbato: due guerre mondiali, l’esperienza atomica, conflitti e violenze inimmaginabili sulle persone e cose, assoluta mancanza di rispetto per Dio, per tutto e tutti.

L’uomo, privo della guida divina, l’uomo non rigenerato, dà purtroppo i suoi frutti. Ed è perfettamente inutile lamentarsi oggi di quel che non va (dal razzismo alla violenza alla corruzione) senza proporsi l’arduo compito di riformare l’uomo. Le parole lasciano il tempo che trovano e vengono soppiantate dai fatti nudi e crudi. La crisi del nostro secolo dimostra che il progresso straordinario della tecnica e della scienza non equivale necessariamente al progresso sociale e civile. Infatti, dov’è oggi il rispetto per il consimile? Possiamo ben conquistare la Luna o Marte (tanto per usare un’iperbole), ma che cosa conta tutto ciò senza il rispetto per Dio, noi stessi e gli altri? Tuttavia, non tutto è perduto. Domani è un altro giorno. Ogni giorno, è vero, porta il proprio affanno (ed è già difficile sopportare “questo giorno”: cfr. Mt 6:34), ma è altrettanto vero che radicato nella natura umana appare il desiderio di sperare che il domani sia in qualche misura diverso e migliore rispetto all’oggi. Il cristiano stima, né pazzamente né in modo improprio, che la riforma dell’uomo possa e debba iniziare oggi e non domani. Ma essa deve passare, per necessità, attraverso la Parola di Dio.

Il cristiano ritiene che la Parola di Dio, materiata nella Bibbia, sia oggi (come sempre, del resto) indispensabile per porre ordine nel nostro mondo trasandato, per mettere l’uomo non rigenerato spiritualmente dinnanzi alle sue responsabilità, indirizzandolo ai fini del bene e della salvezza eterna dell’anima. Volutamente si è usato il verbo “materiare”, che esprime assai bene la partecipazione divina alla soluzione dei nostri problemi. È importante capire che Dio non ha lasciato l’uomo solo ad affrontare il suo destino, ma viceversa lo ha accompagnato nella storia con accadimenti reali e non certo con le favole o i miti religiosi. Difatti,

ISRAELE NON È UN MITO

È l’espressione storica della volontà divina riguardo alla scelta e alla formazione di un popolo che fosse latore a tutti le genti di un messaggio santificante di preparazione e di speranza in vista del Messia Gesù.

GESÙ NON È UN MITO

Di Gesù si è detto tutto e il contrario di tutto. Addirittura, taluni studiosi sono convinti che Gesù di Nazareth non è mai esistito. Abbandonate queste evidenti follie, si è detto altresì che Gesù è soltanto una brava persona, un semplice e fedele profeta o uomo di Dio. Secondo la Bibbia, non è affatto così: egli è il Figlio di Dio, la Parola Dio incarnata, che insegna, consola e promette, che muore sulla croce per lasciare un esempio e per gettare il seme della rigenerazione spirituale di tutti i credenti, riuniti nella sua Chiesa (“assemblea”), il nuovo popolo di Dio senza confini geografici, senza distinzioni di sesso, razza, cultura e posizione sociale.

LA BIBBIA NON È UN MITO

È piuttosto la Parola di Dio che guida e accompagna il popolo di Dio (dapprima Israele e poi la Chiesa). Per i credenti la Bibbia è il risultato dell’azione congiunta dello Spirito Santo e dell’uomo, è dunque opera insieme verticale ed orizzontale, divina ed umana (verticale: da Dio all’uomo; orizzontale: dall’uomo all’uomo). Vi sono stati credenti che, in tempi e luoghi diversi, hanno scritto sia perché mossi dallo Spirito (2Pt 1:19-21), sia perché sinceramente interessati alla causa divina e alla conversione dei peccatori.

 

CONCLUSIONI

La Bibbia non appartiene a questa o a quella Chiesa (di ieri, di oggi e di domani): viceversa, è il patrimonio dell’umanità tutta, di quella già rigenerata e di quella da rigenerare. Gli uomini – grandi e piccoli, buoni e cattivi – passano ma la Parola permane in eterno (1Pt 1:25). In tale contesto il contributo dei cristiani è quello di parlare della Parola di Dio, di proporla a chi sia veramente interessato alla propria condizione spirituale. E tutto ciò al fine di glorificare Dio in Cristo, di appartenere, con la medesima mente e lo stesso spirito, alla Chiesa fondata da Gesù. La Bibbia, infatti e per l’appunto, è fonte di unità e non certo di divisione. Se amiamo Dio, allora dobbiamo anche e soprattutto amare la sua Parola, ch’è la verità capace di santificarci (Gv 17:17) in vista ed in attesa del ritorno glorioso del Signore Gesù. Amando la Parola di Dio e traendo conforto da essa, sapremo affrontare i momenti difficili della nostra vita che, comunque, volge al termine. Come per ogni libro, così per la Bibbia è lecito chiedersi ed aspettarsi molte domande. Dare risposta a tali domande è quanto i cristiani si propongono di fare nella loro vita di credenti (1Pt 3:16).

 

Arrigo Corazza (2008)