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IL PECCATO DI ELI, IL NIPOTE DI ARONNE

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«Come mai onori i tuoi figli più di me?» (1Sam 2:29)

«Io onoro quelli che mi onorano, e quelli che mi disprezzano saranno disprezzati» (1Sam 2:30)

 

* * *

 

 

INTRODUZIONE

Il concetto di peccato esistente oggi presso la massa è del tutto diverso da quello presente nella Sacra Scrittura. Il mondo, con la sua filosofia (più o meno spicciola) e con la sua spesso brutale pratica di vita, incide profondamente nella coscienza dei cristiani, lasciando balenare soluzioni ingiuste a problemi fondamentali. I cristiani sono così avvolti da peccato che sovente non riescono a opporvisi e a debellarlo come si conviene secondo la Parola di Dio.

L’errore del giudice e sommo sacerdote d’Israele Eli (che per taluni versi si rivela uomo di fede) è stato proprio quello di debolezza, di timore verso l’uomo piuttosto che verso Dio. Per non perdere i due figli scellerati, ha abbandonato Dio. Ma invano: in un solo giorno non solo li perde in battaglia, ma perde anche l’Arca dell’Alleanza, catturata dai Filistei vincitori. V’è di più: perde anche la vita, schiantandosi pesantemente al suolo cadendo dalla sedia. A 98 anni, oramai cieco, l’uomo scelto da Dio allo scopo di guidare Israele per quarant’anni, chiude indegnamente la sua esistenza. Tutto si è avverato in giorno: il giorno del giudizio suo e dei suoi figli.

Eli è una delle figure più tragiche della Bibbia. Di lui le fonti non fanno sapere molto, ma certo quanto ci basta per ricevere dallo Spirito Santo il preciso incoraggiamento e avviso a non seguirne le orme. La sorte di Eli, sacerdote di Dio, fu segnata dalla sua scarsissima reazione dinnanzi alle palesi e gravi mancanze di Ofni e Fineas, suoi figli nient’affatto rispettosi del Signore e del suo Regno, due ducetti debosciati e corrotti (fino alle midolla) sotto ogni punto di vista. Occorre pregare Dio perché tenga i cristiani lontani dalla debolezza verso il peccato, incapacità che porta altri a bestemmiare il Santo Nome.

Prima di vedere gli aspetti più significativi dell’esperienza di Eli quale ci viene riportata nell’A.T., conviene fare qualche riflessione circa la potenza di Dio nell’adempimento delle sue promesse. Come si vedrà da ultimo, quest’argomento è pertinente alla nostra indagine.

 

IL PROGETTO DIVINO

È assai pericoloso credere che il Signore non porti a compimento i suoi piani, soprattutto le sue profezie. Dio non computa il tempo e i fatti storici alla stessa stregua degli uomini. Dio vede, sa e (quale sapiente regista, talvolta in modo affatto misterioso per noi) provvede affinché la sua volontà si adempia. La Scrittura ci istruisce facendoci comprendere la “mente” di Dio riguardo a molti aspetti della nostra vita. Dunque, si avvera quanto egli ha detto. In proposito, esaminiamo due casi relativi a Giosuè il figlio di Nun.

 

LE PROFEZIE DI GIOSUÈ

Il primo caso riguarda la terribile maledizione pronunciata dal condottiero contro chi avesse ricostruito Gerico, distrutta dagli invasori israeliti: «Sia maledetto, davanti al Signore, l’uomo che si alzerà a ricostruire questa città di Gerico! Egli ne getterà le fondamenta sul suo primogenito, e ne rizzerà le porte sul più giovane dei suoi figli» (Gs 6:26). Circa quattro secoli più tardi, al tempo dell’infame re Achab (874 – 853 a.C.), un certo «Chiel, di Betel, ricostruì Gerico; ne gettò le fondamenta su Abiram, suo primogenito, e ne rizzò le porte su Segub, il più giovane dei suoi figli, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per bocca di Giosuè, figlio di Nun» (1Re 16:34). Si discute se si tratti di due sacrifici di fondazione al modo pagano per benedire la nuova costruzione, oppure di incidenti accaduti durante i lavori ai figli dello sconosciuto Chiel, che aveva osato ricostruire la città maledetta. Come che sia, per lo Spirito Santo e per noi che leggiamo le sue considerazioni dopo tremila anni, una cosa è certa: la Parola del Signore si è adempiuta. Nel disegno divino, tutto ha importanza, tutto concorre alla realizzazione dei suoi piani. Riflettiamo su questo punto: come si è adempiuta su altri, così la sua Parola si adempirà su noi e per noi.

Il secondo caso (certo più celebre del primo) trae spunto dalle raccomandazioni dell’ormai anziano Giosuè al popolo eletto: «Vegliate dunque attentamente su voi stessi, per amare il Signore, il vostro Dio. Perché, se voltate le spalle a lui e vi unite a quel che resta di queste nazioni che sono rimaste fra voi e vi imparentate con loro e vi mescolate con loro ed esse con voi, siate ben certi che il Signore, il vostro Dio, non continuerà a scacciare questi popoli davanti a voi, ma essi diventeranno per voi una rete, un’insidia, un flagello ai vostri fianchi, tante spine nei vostri occhi, finché non siate periti e scomparsi da questo buon paese che il Signore, il vostro Dio, vi ha dato. Ora, ecco, io me ne vado oggi per la via di tutti gli abitanti della terra; riconoscete dunque con tutto il vostro cuore e con tutta l’anima vostra che neppure una di tutte le buone parole che il Signore, il vostro Dio, ha pronunciate su di voi è caduta a terra; tutte si sono compiute per voi: neppure una è caduta a terra. Ma come ogni buona parola che il Signore, il vostro Dio, vi aveva detta si è compiuta per voi, così il Signore adempirà a vostro danno tutte le sue parole di minaccia, finché vi abbia sterminati da questo buon paese, che il vostro Dio, il Signore, vi ha dato. Se trasgredite il patto che il Signore, il vostro Dio, vi ha imposto, e andate a servire altri dèi e vi prostrate davanti a loro, l’ira del Signore si accenderà contro di voi, e voi perirete presto, scomparendo dal buon paese che egli vi ha dato» (Gs 23:12-16). Nessuna profezia (buona o cattiva) del Signore cade a vuoto. La storia lo conferma. Diversi secoli dopo quest’avvertimento, gli Ebrei – vittime della propria apostasia – vennero allontanati dalla Terra ricevuta al tempo di Giosuè (con buona pace di coloro che, contrariamente all’insegnamento biblico, affermano che il Signore non ha ancora concesso agli Ebrei la Terra promessa, generando improprie rivendicazioni politiche oppure assai fantasiose dottrine, quale ad esempio quel millenarismo che tiene tuttora banco in gran parte del mondo evangelico-protestante).

 

 LA FINE DEL CASATO DI ELI

Secondo il principio della legge del taglione, prima di morire Davide affida al suo successore Salomone l’esecuzione delle sue vendette personali (1Re 2:1ss). Il nuovo re provvede gradatamente, a tempo debito, ma con assoluta e spietata cura, all’eliminazione dei suoi nemici e di quelli di suo padre. Alla metodica epurazione non sfugge il sommo sacerdote Abiatar, reo di avere appoggiato Adonia, fratello di Salomone, nella corsa al trono (1Re 1:3ss). Tuttavia, esiliandolo ad Anatot, patria di Geremia (Gr 1:1), Salomone gli salva la vita perché Abiatar (unico superstite dei sacerdoti di Nob sterminati da Saul in quanto amici di Davide: cfr. 1Sam 2:20) aveva portato l’Arca del Signore davanti a Davide e perché era stato compagno di Davide stesso nelle dure traversie del regno (1Re 2:26).

Al posto di Abiatar viene collocato Sadoc, la cui discendenza (i Sadducei) durerà sino alla distruzione del Tempio di Gerusalemme operata dai Romani nel 70 d.C. «Così Salomone destituì Abiatar dalle funzioni di sacerdote del Signore, adempiendo in tal modo la parola che il Signore aveva pronunziata contro la casa di Eli a Silo» (1Re 2:27). Abiatar, dunque, discendente di Eli, viene rimosso dal sacerdozio: si avvera così la predizione dello Spirito (1Sam 2:37-38). Secondo il già visto schema profezia-adempimento, torniamo indietro di circa cento anni per ricapitolare la questione che fa capo a Eli.

 

ELI, SAMUELE E IL RE (circa 1050 a.C.)

Eli, uno dei protagonisti dei fatti narrati in 1Sam 1-4, è nipote di Aronne, giudice e sommo sacerdote nel tabernacolo situato a Silo (1Sam 1:3,7,9; Gs 18; Gdc 18:31), sede dell’Arca dell’Alleanza (Silo è uno dei più importanti santuari delle tribù israelitiche prima della centralizzazione del culto preconizzata da Dt 12:13,14,18,26 e attuata da Salomone a Gerusalemme). Combinando assieme i dati di 1Re 2:27 e di 1Cr 24:3, apprendiamo che Eli e i suoi figli Ofni e Fineas discendono da Itamar, il più giovane dei figli del grande Aaronne (questa è la catena: Aaronne, Itamar, Eli, Abiatar, Aimelec). Eli muore a 98 anni, in piena cecità, dopo aver servito Israele per 40 anni (1Sam 4:18). Al suo posto subentrerà Samuele, il giovane che era stato offerto dalla sterile Anna al Signore perché lo servisse nel santuario di Silo.

Tanto Eli quanto Samuele sono accomunati dalla stessa disgrazia: la pessima condotta dei loro figli, fatto che porterà gli Israeliti, insicuri della capacità governativa dei successori di Samuele, a richiedere la presenza di un re. Con l’instaurazione della monarchia la storia d’Israele non sarà più quella di un insieme di tribù legate dalla comune appartenenza al Signore e da lui guidate, ma quella di una nazione sottoposta al regime vessatorio di monarchi quasi sempre corrotti e volubili. Conseguenza di questa scelta sarà l’esilio che spezzerà per sempre l’indipendenza politica del popolo ebraico, causando una serie infinita di dolori.

I consigli e le calde esortazioni di Samuele non recano alcun effetto presso gli Ebrei, i quali desiderano una monarchia che li renda uguali ai Cananei circonvicini. Con tale richiesta, essi rinunciano a Dio, rifiutando la fede nel suo progetto per guardare all’erba di un vicino (il mondo) infestata da piante mortali. Su tutta la questione, vedi 1Sam 8. Anche oggi esiste questo pericolo per i credenti in Cristo.

 

LA PROFEZIA CONTRO ELI (1Sam 2:27ss)

«Un uomo di Dio andò da Eli e gli disse: Così parla il Signore: “Non mi sono forse rivelato alla casa di tuo padre, quando essi erano in Egitto al servizio del faraone? Non lo scelsi dunque fra tutte le tribù d’Israele per diventare mio sacerdote, per salire al mio altare, per bruciare il profumo e indossare l’efod in mia presenza? Non diedi alla casa di tuo padre tutti i sacrifici, consumati dal fuoco, dei figli d’Israele? Allora, perché calpestate i miei sacrifici e le mie oblazioni che ho comandato di offrire nel mio santuario? Come mai onori i tuoi figli più di me e vi ingrassate con il meglio di tutte le oblazioni d’Israele, mio popolo?”. Perciò, così dice il Signore, il Dio d’Israele: “Io avevo dichiarato che la tua casa e la casa di tuo padre sarebbero state al mio servizio per sempre”; ma ora il Signore dice: “Lungi da me tale cosa! Poiché io onoro quelli che mi onorano, e quelli che mi disprezzano saranno disprezzati. Ecco, i giorni vengono, in cui troncherò il tuo braccio e il braccio della casa di tuo padre, in modo che non vi sia in casa tua nessun vecchio. Vedrai lo squallore nella mia dimora, mentre Israele sarà ricolmo di beni, e non vi sarà mai più nessun vecchio nella tua casa. Quello dei tuoi che non toglierò via dal mio altare, rimarrà per consumarti gli occhi e rattristarti il cuore; e tutti i nati e cresciuti in casa tua moriranno nel fiore degli anni. Ti servirà di segno quello che accadrà ai tuoi figli, a Ofni e a Fineas: tutti e due moriranno in uno stesso giorno. Io mi susciterò un sacerdote fedele, che agirà secondo il mio cuore e secondo il mio desiderio; gli darò una casa stabile ed egli sarà al servizio del mio unto per sempre. Chiunque rimarrà della tua casa verrà a prostrarsi davanti a lui per avere una moneta d’argento e un pezzo di pane, e dirà: Ammettimi, ti prego, a fare qualcuno dei servizi del sacerdozio, perché io abbia un boccone di pane da mangiare”».

* * *

Il lungo oracolo ci fa capire alcune possibili realtà (importanti anche per noi oggi). Si rischia di:

– calpestare i sacrifici del Signore;

– avere maggiore riguardo per i figli (l’uomo) che per Dio (cfr. anche Gv 12:42-43);

– ricevere da Dio onore o disprezzo.

Alle spaventose parole pronunciate dall’innominato “uomo di Dio” (che appare e scompare), Eli non offre alcuna replica, diversamente da quanto accadrà in seguito quando il giovanissimo Samuele (chiamato nottetempo dal Signore) sarà costretto a ricordare al vecchio sacerdote la catastrofe veniente. Eli, questa volta, risponde così: «Egli è il Signore: faccia quello che gli parrà bene» (cfr. 1Sam 3:1-18). Certo, questa risposta piena di fede e rassegnazione è degna del massimo rispetto (ci ricorda quella di Giobbe in Gb 1:21-22), ma non cambia le cose presso Dio se non è seguita dal ravvedimento e da opere confacenti al Regno. Difatti, la sorte di Eli è ormai segnata, in quanto la sua debolezza è stata più forte della sua fede.

Esistono molti pericoli sulla via che porta alla salvezza. Essere convinti di avere la fede e di fare la volontà di Dio solo parzialmente non è affatto garanzia sufficiente per l’ottenimento della vita eterna. Tutto il consiglio di Dio deve essere predicato e praticato dal cristiano (At 20:27), ch’è fornito in Cristo di quella libertà dal peccato (cfr. Gv 8:32) e di quella franchezza (parrhesìa, in greco: cfr. At 4:13,29; 9:27; 26:26; 2Cor 3:12; Ef 3:12, 6:19; Fil 1:20; 1Tm 3:13; Eb 3:6; 10:35, ecc.) indispensabili per risultare veramente suoi discepoli, degni figli di Dio per adozione e per accrescere a dismisura i confini del Regno invitando tutti i peccatori a farne parte.

 

IL PECCATO DEI FIGLI DI ELI

Eli patisce perché non sa opporsi al peccato dei figli Ofni e Fineas: palese sacrilegio (1Sam 2:17) e cruda immoralità (1Sam 2:22). Disprezzando Dio, i due non si preoccupano affatto di rispettare la sacralità del luogo e dei riti a essi affidati. In sostanza. In 1Sam 2:12 si dice che essi non conoscevano Dio, nel senso che non lo rispettavano, rinnegandolo con le proprie azioni. Ofni e Fineas, anch’essi sacerdoti come il padre, sono deputati a rappresentare il Signore presso il popolo. Ma danno un pessimo esempio. La responsabilità di rappresentare Dio è pesante, ma anche assai stimolante per il credente. Anche oggi, quante persone ritengono di “conoscere Gesù” ma di non doverne praticare la Parola che le giudicherà nell’ultimo giorno (Gv 12:48)? “Conoscere Gesù” implica assai più che il sapere che un certo Gesù di Nazareth è realmente esistito e che c’è una religione a lui rimontante. I cristiani devono essere sempre sicuri di conoscere Gesù e il suo Regno, praticando i dettami divini.

Com’è possibile per Ofni e Fineas rappresentare il Signore praticando nello stesso tempo l’immoralità, a dispetto di tutte le (debolissime) riprensioni paterne? I due non avevano, evidentemente, alcuna vergogna o timore né di Dio né degli uomini. Erano gonfi, orgogliosi, pieni di sé, proprio come i Corinzi pesantemente redarguiti da Paolo per la propria leggerezza e debolezza rispetto al peccato presente al loro interno (1Cor 5).

Com’è possibile rappresentare il Signore quando si agisce con violenza (1Sam 2:16) in nome suo, facendo mercimonio della religione? Quante volte la storia del cristianesimo ha dimostrato che proprio questo è accaduto, senza alcun ritegno, anzi scandalizzando i credenti, traviando il popolo di Dio (1Sam 2:24) che parla di tali indegnità pur non avendo (o non volendo avere) la forza di combatterle (1Sam 2:24)? Il popolo chiederà un re, visti i loro comportamenti. È forse un caso che gli Ebrei del tempo di Gesù si sentissero a disagio dinnanzi alle abominazioni dei Farisei e che oggi molti Italiani abbiano perduto o stiano perdendo la fede proprio perché non vedono un esempio aderente alla professione di fede fatta da chi li governa spiritualmente? Quante volte sentiamo dire che si crede in Dio ma non ai preti o alla chiesa, perché ci sono tanti scandali? Eppure, quando arriva il momento di far battezzare, cresimare, sposare e seppellire i propri figli o cari, ci si disinteressa dei cattivi esempi storici della chiesa e si preferisce seguire la tradizione – la lenta, placida ma ficcante tradizione. Quella per la quale non si vuole entrare in conflitto con nessuno, tanto – si dice – tutto questo poi non conta molto … Conta, invece, eccome! Conta ora e conterà soprattutto nel giorno del giudizio finale.

La vera forza del cattolicesimo risiede sia nelle tradizioni secolari, ben radicate nella mentalità collettiva, sia nella debolezza dei credenti cattolici che non solo non controllano nelle Sacre Scritture (ma chi le conosce? At 17:11) la dottrina di Cristo e l’operato di chi li dirige, ma addirittura chiudono non uno ma tutti e due gli occhi pur di non vedere, sapere, parlare, impegnarsi, inimicarsi questo o quello. Tanto – si dice – tutto sommato Dio non si vede e, se esiste, salverà tutti, perché è buono. Ne siamo sicuri?

 

IL PECCATO DI ELI

Tutto sommato, Eli il vegliardo ci fa tenerezza e quasi lo scusiamo, credendolo vittima di persone ed eventi più grandi e forti di lui. Eli ci piace perché esprime alcuni concetti positivi quali quelli di 1Sam 2:22-25: «Eli era molto vecchio e udì tutto quello che i suoi figli facevano a tutto Israele e come si univano alle donne che erano di servizio all’ingresso della tenda di convegno. Disse loro: “Perché fate queste cose? Poiché odo tutto il popolo parlare delle vostre azioni malvagie. Non fate così, figli miei, poiché quel che odo di voi non è buono; voi traviate il popolo di Dio. Se un uomo pecca contro un altro uomo, Dio lo giudica; ma se pecca contro il Signore, chi intercederà per lui”? Quelli però non diedero ascolto alla voce del loro padre, perché il Signore li voleva far morire».

Ammonisce i figli in quanto egli ha presente il male che stanno commettendo e tutte le nefaste conseguenze che questo produce tra i figli d’Israele. Il peccato contro il Signore è senza mediatori. Parole bellissime, sagge ma anche terribili allo stesso tempo: sagge, perché richiamano i possibili tempi e i modi della riparazione e dell’intermediazione; terribili, perché non consentono ulteriori rimandi e scuse e possibilità quando di fronte si ha l’Onnipotente.

Insomma: Eli non è uno stupido, ha qualcosa dentro da comunicare, ha fede, ama il Signore ma non tanto quanto sarebbe necessario. In realtà, Eli ama più i figli che il Signore e si avvia ad incontrare il disprezzo divino, quello stesso che ha dimostrato con il suo comportamento debole ed incosciente. Una volta di fronte al Padre Eterno, quale sacco porteremo? Chi intercederà per noi se avremo peccato contro Dio senza ravvederci? Neppure Gesù potrà aiutarci in quel frangente se avremo bestemmiato, rifiutato lo Spirito Santo (Mt 10:32; 12:31-37). Quanti di noi vivono allo stesso modo di Eli e dei suoi figli? Essere deboli verso il peccato è come se si stesse peccando con chi lo compie (Rm 1:18-32).

La responsabilità verso Dio e il prossimo, la necessità di testimoniare della verità e bontà divina in ordine a questa vita e a quella a venire, esigono che si abbandoni decisamente la debolezza e che si dica e si faccia quello che occorre fare e dire, temendo il Signore più che gli uomini. Oggi i credenti in Cristo rischiano di trovarsi nelle medesime condizioni dei protagonisti del dramma fin qui delineato. Con la sua filosofia e prassi spesso brutale il mondo è assai forte e talora spinge i credenti a comportarsi allo stesso modo. Ma un miliardo di sì dell’uomo non valgono un solo no di Dio.

Siamo partiti dal progetto divino, dalle sue promesse, dalle sue punizioni. Passerà un solo giorno o mille anni, ma il Signore porterà a compimento i suoi piani per tutti. Occorre chiedersi: i cristiani vivono per fede o per debolezza?

 

Arrigo Corazza