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IL PROFETA AGGEO (520 a.C.)

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LA PERSONA DI AGGEO

Le fonti relative alla persona di Aggeo si ritrovano unicamente nel libretto omonimo e in Esd 5:1-2; 6:14-16. Tranne il nome e due qualifiche (“profeta e messaggero”), non sappiamo nulla di lui (provenienza, famiglia e via dicendo). Comunque sia, Aggeo (ebr.: haggày) è un nome proprio che esprime l’idea della festa (= “festivo”, “mia festa”). Egli è “profeta” (ebr.: hannabì, 1:1, 12; 2:1, 10) e “messaggero” (ebr.: malàk) del Signore (Yhwh) (1:13).

 

IL MESTIERE, LA VOCAZIONE E LA CULTURA

Non è possibile affermare alcunché sul mestiere svolto da Aggeo prima della chiamata divina, che, del pari, permane nell’ombra. Quanto al livello culturale del profeta – percepibile soltanto dall’esame dell’originale ebraico –, egli diverge di molto dai suoi predecessori giacché nel mettere in iscritto il messaggio del Signore impiega uno stile piuttosto dimesso e disadorno, privo di poesia e di immaginazione e riccamente discorsivo; il che è un tratto comune alla maggioranza dei profeti post-esilici. Aggeo predilige talune frasi che illustrano la natura divina del suo sermone: «così parla il Signore degli eserciti; dice il Signore; la parola del Signore, la voce del Signore» (“Signore” traduce qui il tetragramma ebraico Yhwh).

 

IL LIBRO

DATA DI REDAZIONE (520 a.C.)

Il libretto consta di due soli capitoli per complessivi 38 versi, risultando perciò subito dopo quello di Abdia (21 versetti), il più breve del gruppo di scritti profetici raccolti nella locuzione: “Profeti Minori” o “Dodici Profeti”. Grazie ad alcuni riferimenti interno, il libro può essere datato con certezza e questa caratteristica non ha precedenti nell’A.T., salvo l’opera di Zaccaria.

La resa scritta della predicazione di Aggeo consiste in quattro stringati discorsi redatti in terza persona singolare dall’agosto-settembre al novembre-dicembre del 520 a.C., durante il regno di Dario I Istaspe.

SCHEMA DEI QUATTRO MESSAGGI

  1. La negligenza verso il Tempio è causa dell’attuale depressione economica (1:1-15).
  2. Anche se il secondo Tempio ha minori pretese, sarà più glorioso del primo (2:1-9).
  3. La mancanza di santità vizia il sacrificio e l’autosufficienza conduce alla mancanza del raccolto (2:10-19).
  4. Alla fine Dio trionferà (2:20-23).

[Lo schema è tratto da G. L. Archer, La Parola del Signore, 1: Introduzione all’Antico Testamento, Edizioni Voce della Bibbia, Modena, 1972, pp. 505-506].

 

IL MESSAGGIO

Aggeo si propone due obiettivi: da un lato, imporre agli Ebrei la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme; dall’altro, rassodare – attraverso Zorobabele – il prestigio della speranza messianica e impedire che essa venga messa da parte in tale grave momento di crisi. Questa crisi, che attanaglia la ricostituita comunità (1:6, 10, 11; 2:15-19), trae origine, a parer suo, dall’indifferenza che Israele dimostra rispetto al programma di ricostruzione del santuario di Gerusalemme, le cui fondamenta giacciono ormai abbandonate da anni (1:1-10).

Aggeo, ispirato da Dio (cfr. 2Pt 1:19-21), comprende che la gloria di questi ultima casa sarà più grande della precedente e vi regnerà la pace (cfr. 2:9). Non possiamo certo intendere in senso stretto le parole del profeta (infatti, limitandoci al solo aspetto architettonico e al materiale impiegato nell’erezione, il secondo Tempio dovette essere sicuramente meno maestoso del primo); dovremo piuttosto considerarle come rivestite di un alone spirituale, e perciò capaci di esprimere una realtà collocabile all’interno dello schema salvifico messo in opera da Dio per mezzo di Cristo.

Ciò spiega l’essenza del vaticinio di Aggeo rivolto a Zorobabele (2:21-23), governatore di Giudea ed erede di Davide. Come il suo avo Conia (= Jeconia = Joiakin), questi è il sigillo del Signore Yhwh (cfr. Ger 22:24), ossia servo fedele e membro autorevole del lungo albero genealogico di Gesù (Mt 1:12; Lc 3:27). Appunto a Zorobabele spetta l’onore e l’onere di custodire nella propria persona la promessa messianica fatta a Davide (2Sam 7:12-14) e realizzatasi in Cristo (Mt 1:1; Rm 1:4).

 

Circa l’aspetto del nuovo Tempio, non ci è giunta alcuna descrizione o immagine. Alcuni studiosi, dopo aver analizzato Esd 3:12-13 e Ag 2:3, hanno concluso che il secondo Tempio era per certo inferiore al primo quanto a sontuosità e ricchezza di arredamento. Occorre tuttavia esercitare la massima cautela in proposito sia perché la documentazione pertinente è troppo esigua per generare giudizi definitivi, sia perché i due testi citati si riferiscono a quando il Tempio non era ancora completo. Per di più, Tattenai, satrapo di Abar Nahara, nella sua relazione a Dario parla di un edificio che viene costruito con ottima fattura (Esd 5:8).

 

La promessa messianica non riguarda il potere secolare, come certuni desidererebbero (millenaristi): Gesù non poteva, non può e non potrà sedere su un trono politico giacché questo non è l’ufficio che gli compete. Infatti, Cristo discende da Conia, ultimo re legittimo di Giuda deportato a Babilonia nel 597, riguardo alla cui prole il Signore aveva stabilito: «Nessuno della sua progenie giungerà a sedersi sul trono di Davide e a regnare ancora su Giuda» (Ger 22:30). Ne consegue che il Signore domina su un regno del tutto diverso da quello umano; egli è il capo della Chiesa che reca il suo nome (Col 1:13,18; Rm 16:16). Che poi la Chiesa sia diventata attraverso i secoli (e l’apostasia) uno strumento di dominio terreno è evidentemente altra questione: infatti, non si tratta più della Chiesa di Cristo (Mt 16:18; Rm 16:16) ma di creazione umana.

Insieme con Zaccaria, anche Aggeo ebbe un’importanza notevole nella storia d’Israele in quanto corroborò i Giudei durante un periodo di estremo travaglio, infondendo loro coraggio ed entusiasmo perché ricostruissero il Tempio, elemento indispensabile per l’attuarsi dell’èra messianica. Certo, dalla prospettiva del cristiano (per il quale non esiste più un unico santuario centrale) si può porre in dubbio se la ricostruzione del Tempio fosse tanto vitale, quanto Zaccaria e Aggeo affermano; ma si dovrebbe ricordare che molte norme mosaiche presupponevano il funzionamento cultuale nel santuario, e la mancanza di un tempio doveva necessariamente ad una paralisi della vita religiosa nella comunità stessa. Si deve pure ricordare che il secondo Tempio doveva avere un ruolo di primo piano nella storia della redenzione, perché in questo Tempio (sia pure rimodernato e reso più bello da Erode il Grande) Gesù avrebbe svolto il suo ministero a Gerusalemme. Era ciò che Aggeo prometteva: la gloria di questa seconda (e ultima) casa sarebbe stata più grande di quella di prima (2:9).

 

Arrigo Corazza