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IL PURGATORIO

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Il purgatorio è una dottrina del cattolicesimo romano di cui non esiste alcuna traccia nel N.T. Si tratta di una pratica creata nel Medioevo dall’uomo, che in tal modo pretende arrogantemente di avere il controllo anche dell’aldilà. Quest’atteggiamento è del tutto irrispettoso e blasfemo nei confronti di Dio, l’unico datore della vita materiale e spirituale, l’unico giudice – tramite il Signore Gesù Cristo – delle cose di quaggiù e di quelle di lassù. È sempre la solita solfa, la solita storia che si ripete: l’uomo peccatore che pretenziosamente vuole decidere che cosa sia bene e che cosa sia male. L’incubo di Eden (l’uomo che rifiuta Dio e che si avvoltola su stesso) continua … 

 

INTRODUZIONE

Nella teologia della Chiesa Cattolica Romana, il purgatorio costituisce lo «stato ultraterreno, duraturo fino all’ultimo giudizio, in cui le anime di coloro, che sono morti in Grazia, ma con imperfezioni o peccati veniali o pene temporali da scontare per i peccati gravi rimessi, espiano e si purificano prima di salire in paradiso» (Enciclopedia Cattolica, X, col. 330). La parola “purgatorio” deriva dall’aggettivo latino purgatorius, –a, –um: “purgativo, che purifica, che redime”, che spesso accompagna il termine ignis, “fuoco”, sì da avere alcune espressioni consacrate quali ignis purgatorius (“fuoco purgatorio”), poena purgatoria (“pena purgatoria”).

A quanto sembra, il passaggio dall’aggettivo al sostantivo neutro purgatorium avviene solo nella seconda metà del secolo XII (tra il 1170 e il 1180) a designare il “luogo” in cui avviene la purificazione. Parrà strano a molti fedeli cattolici, ma, al pari di altre dottrine della Chiesa Cattolica Romana, anche quella del purgatorio non è tanto antica quanto si pensa. Il purgatorio nasce tra il 1150 e il 1250, vale a dire in quel XII secolo (secolo fondamentale per la società medievale) in cui il cattolicesimo latino esplode (rinnovamento monastico, la scolastica), insieme con il sistema feudale che ha creato una duplice dominazione e gerarchia. Per la sanzione ufficiale, non priva di ambiguità e dissensi a causa della profonda avversione della Chiesa Ortodossa, bisogna arrivare al II concilio di Lione (1274), ai concili di Firenze (1431-43) e di Trento (1545-1563). Da notare la distanza temporale che separa il primo cristianesimo da questi concili: Gesù di Nazareth venne crocifisso intorno al 30 d.C., dodici / quindici secoli prima della conferma ecclesiastica romana della dottrina del purgatorio. Riflettiamo su questi dati e sulle differenze tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa Cattolica Romana, chiedendoci che cosa Gesù mai abbia da spartire con questo modo di procedere scandalosamente umano.

La Chiesa Cattolica Romana giunge a definire questa dottrina molto tardi, sulla scia del secolare pensiero del popolo cattolico sulla vita d’oltretomba. Questo pensiero nasce, si sviluppa e prolifera attraverso il tempo. Prima di Dante, la mentalità collettiva aveva già elaborato, nel corso dei secoli, una sistemazione parecchio oscillante della vita ultraterrena, sistemazione che chiameremo “geografia dell’aldilà”. Ci si chiedeva come fosse la vita post mortem anteriormente al giudizio universale.

Tertulliano, Clemente Alessandrino, Origene, Cipriano, Ambrogio, Gregorio di Nissa, Cesario di Arles e, ovviamente, Agostino d’Ippona, in varie parti dell’Impero e in momenti diversi (dal III al IV secolo), elaborano idee, divulgandole nei loro scritti. Accennano ad una qualche espiazione. Ma, nel frattempo, il popolo, la grande massa che non conosce la Parola di Dio, analfabeta spiritualmente e materialmente, che cosa fa? Va per la sua strada e prega per i propri morti, come attesta l’epigrafia orientale ed occidentale; pratica e sentimento, questo dell’adoperarsi in qualche modo per i defunti, assai diffuso nelle religioni in genere, sentimento tutto umano dettato dall’inconoscibilità e dalla paura dell’aldilà, sentimento manipolato dalle alte gerarchie per costruire nei secoli una dottrina finalizzata ad ottenere il potere e, in particolare, la gestione del post mortem.

Dunque, come solitamente accade nel cattolicesimo, v’è una germinazione e poi uno sviluppo secolare della dottrina del purgatorio. Infatti, dagli occasionali accenni degli autori su menzionati, si passa, nel medioevo, ai caratteri specifici del purgatorio, caratteri dominanti nella tradizione successiva, che troveranno ampia rispondenza nella religione (pietà) popolare e nell’elaborazione teologica dei dotti cattolici. La sublimazione della geografia dell’aldilà si realizza in pieno con Dante (1265-1321), che nella sua Commedia, vero monumento della letteratura italiana e mondiale redatto a poco più di cento anni dalla nascita del purgatorio, giunge a rappresentare la triplice partizione di Inferno, Purgatorio (luoghi di pena) e Paradiso (luogo di beatitudine e premio). L’eccezionale fantasia dantesca anima e precisa la geografia dell’aldilà, contribuendo a codificare il pensiero del popolo, ben poco abituato alle sottigliezze teologiche riserbate ad un manipolo di specialisti. In sostanza, la speranza che il peccato non decida tragicamente il destino dell’anima umana spinge a vivificare la fede nel «secondo regno, dove l’umano spirito si purga e di salir al cielo diventa degno» (Purgatorio, I, 4-6). Prima di Dante, sul purgatorio v’è un lungo passato di idee, di immagini, di controversie teologiche, di sensibili sommovimenti sociali. Soprattutto, v’è un lungo passato di fede e di atti contrari alla Parola di Dio. Già, perché del purgatorio nella Scrittura proprio non si parla. E se non ne parla la Bibbia, non dobbiamo parlarne neppure noi.

 

IL PURGATORIO E I CATTOLICI DI OGGI

In passato, forse (chi lo sa?), i nostri padri di religione cattolica hanno creduto, a loro modo, e certo sbagliando sotto l’aspetto biblico, nella geografia dell’aldilà imposta dai sacerdoti, e quindi anche nel purgatorio. Ma oggi qual è la situazione? Nella società moderna e disincantata in cui vive il fedele cattolico il purgatorio non ha cittadinanza, anche perché il cattolico stesso si sta spingendo sempre più verso un ateismo pratico, magari venato qua e là da qualche improvviso rigurgito di passione religiosa. In realtà, il cattolico, oggi, rischia di non credere più neppure al paradiso, visto che dell’inferno e del purgatorio non parla quasi più. Difatti, esiste più un peccatore nella mentalità comune? Sappiamo tutti cosa pensa la gran massa: Dio (se esiste e se è davvero Dio) salverà tutti alla fin fine. Questa è filosofia umana e non Parola di Dio. Al cattolico medio non interessa veramente più niente del purgatorio, che sembra essere un luogo mitico, misterioso, fittizio, residuo di un’età e di concezioni oramai al crepuscolo. Eppure, il purgatorio (annientato, spazzato via, come del resto il limbo – ricordate ancora il limbo? – nell’immaginario collettivo) rimane pur sempre una pietra portante dell’edificio cattolico, essendo una tessera di quell’ampio e variegato mosaico dottrinale strutturatosi attraverso i secoli sino a raggiungere la forma attuale. Occorre infatti ricordare il modo di procedere, in genere, delle dottrine cattoliche:

– il potentissimo edificio cattolico-romano trae origine e forza da un insieme di credenze e dottrine strettamente collegate tra di loro, sicché nessuna parte può esistere di per sé, senza le altre;

– le dottrine si sviluppano nel tempo secondo ritmi non comuni, dettati dall’attenta osservazione da parte della gerarchia della società via via in fase di modellamento e trasformazione. In tal maniera è possibile cogliere gli aspetti salienti della condizione storica della società e farne l’uso che conviene.

Un esempio eclatante di questo modo di procedere? La devozione a Maria: per elevarla al ruolo odierno, gli abili dirigenti del cattolicesimo hanno saputo creare – grazie al lento, quasi immobile trascorrere dei secoli – una fitta trama di credenze per cui essa non è più la benedetta ma semplice donna madre di Gesù Cristo, ma addirittura la Madre di Dio, sempre vergine, mediatrice, priva di peccato, concepita in modo immacolato e, infine, assunta in cielo. Lo stesso discorso vale per la dottrina del purgatorio, così intimamente connessa ai concetti cattolici di peccato (veniale e mortale), di espiazione, di purificazione e di indulgenza. Se una persona veramente interessata alla Parola di Dio capisse, Scrittura alla mano, che non v’è differenza biblica tra peccato veniale e mortale, per lui / lei il purgatorio non avrebbe più ragione di esistere e questa dottrina crollerebbe come un castello di sabbia. Come detto, l’idea del purgatorio si sviluppa per secoli e trova la sua codificazione in un momento storico ben preciso, all’interno di una società pronta ad assimilarlo. Oggigiorno il purgatorio non interessa più a nessuno in quanto la comunità, nel suo insieme e nelle sue condizioni, è assai cambiata rispetto a quella di allora. Non solo: ma l’ateismo pratico dilaga …

 

L’ESISTENZA DEL PURGATORIO SECONDO I TEOLOGI ROMANI

Il cristiano non può andare d’accordo biblicamente con i teologi cattolici. Per una volta, però, concordiamo con essi quando affermano che «la Bibbia non parla esplicitamente del purgatorio» (Enciclopedia Cattolica, X, col. 330). Il che vuole dire, in parole ancora più semplici, che nella Bibbia non appare mai uno stato ultraterreno intermedio di purificazione. Non solo non esiste tale stato, ma non ne esiste neppure l’idea. Ma gli studiosi cattolici non mollano la presa affermando che proprio la Bibbia «contiene testi che ne suggeriscono l’idea» (Enciclopedia Cattolica, X, col. 330). Questi testi sarebbero 2Maccabei 12:39-45; Matteo 5:25-26; 12:31-32; 1 Corinzi 3:10-17. In realtà, come riconoscono gli spiriti più illuminati dello stesso cattolicesimo, tali fondamenti scritturali recati a sostegno della dottrina del purgatorio sono debolissimi, per non dire di più. Ci soffermeremo ora solamente sui due più indicativi: 2Maccabei 12: 39-45 e 1 Corinzi 3:10-17.

 

2MACCABEI 12:39-45 (versione CEI 2008)

«Giuda poi radunò l’esercito e venne alla città di Odollàm; poiché stava per iniziare il settimo giorno, si purificarono secondo l’uso e vi passarono il sabato. Il giorno dopo, quando ormai la cosa era diventata necessaria, gli uomini di Giuda andarono a raccogliere i cadaveri dei caduti per deporli con i loro parenti nei sepolcri dei loro padri. Ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iàmnia, che la legge proibisce ai Giudei. Così fu a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti. Perciò tutti, benedicendo Dio, giusto giudice che rende palesi le cose occulte, si misero a pregare, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato. Il nobile Giuda esortò tutti a conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi quanto era avvenuto a causa del peccato di quelli che erano caduti. Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dracme d’argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio per il peccato, compiendo così un’azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione. Perché, se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato».

* * *

Questo testo esige alcune concise annotazioni preliminari. 2Maccabei è un’opera che né gli Ebrei né gli acattolici (non cattolici) considerano ispirata da Dio. La Chiesa Cattolica, invece, ha inserito questo libro, insieme con altri sei (Tobia, Giuditta, 1Maccabei, Sapienza, Ecclesiastico, Baruc) nel canone biblico. Ma questi libri, tutti scritti in greco, non furono mai considerati ispirati dagli Ebrei, originari riceventi, e dai primi cristiani e cattolici (lo stesso Gerolamo, morto nel 419, che redasse la Vulgata, lo rigettò insieme con gli altri menzionati). I sette apocrifi trovarono spazio nel canone dell’Antico Testamento solo nel Concilio di Trento (8 aprile 1546). Sappiamo peraltro come libri apocrifi siano stati usati per creare le varie tradizioni che accompagnano, ad esempio, il Natale (il nome dei Re magi: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre) o la vita di Maria (figlia di Gioacchino e Anna ecc.).

Ciò premesso, va subito notato, e con un certo sospetto, che 2Maccabei 12:35-46, redatto da un tale Giasone e da un tardo raccoglitore (forse intorno al 124 a.C.), presenta credenze e pratiche atipiche rispetto a quelle dell’ebraismo canonico. Come che sia, in questi versetti compaiono due fondamentali elementi del futuro purgatorio cattolico:

– la possibilità di pregare per i defunti affinché siano liberati dai loro peccati;

– l’efficacia delle preghiere dei viventi a favore delle anime dei redimibili. Il dogma stabilisce che le anime, nel purgatorio, non possono aiutarsi da sole, bensì mediante l’ausilio delle preghiere e dei suffragi dei vivi, e che soltanto le anime di coloro morti senza macchia di peccato mortale espiano e vi si purificano prima di ascendere al paradiso.

Se veramente 2Maccabei attestasse l’esistenza del purgatorio, allora c’è qualcosa che non quadra nella sistemazione teologica data dagli studiosi cattolici, i quali non si accorgono di essere caduti in palese contraddizione. Dall’analisi del brano si nota come Giuda Maccabeo dia ordine che si preghi per i combattenti ebrei deceduti in battaglia, macchiatisi tuttavia di una colpa gravissima, e a tutti nota: idolatria. Si trattava dunque di Ebrei idolatri, còlti sul fatto, avendo le immagini ancora riposte sotto le tuniche. Orbene, la Chiesa Cattolica afferma che l’idolatria «è sempre considerata peccato mortale» (Enciclopedia Cattolica, VI, col. 1580). Se così fosse, allora quegli Ebrei, secondo l’insegnamento cattolico sul purgatorio, non avevano alcun diritto all’espiazione, ma solo all’inferno. I teologi di Roma si trovano quindi ad un bivio: abbandonare 2Maccabei per sostenere l’esistenza del purgatorio, oppure negare che l’idolatria costituisca peccato mortale punibile con la dannazione eterna.

 

1CORINZI 3:10-17

«Io, secondo la grazia di Dio che mi è stata affidata, come savio architetto, ho posto il fondamento; altri vi edifica sopra. Ma badi ciascuno com’egli vi edifica sopra; poiché nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Cristo Gesù. Ora, se uno edifica su questo fondamento oro, argento, pietre di valore, legno, paglia, fieno, l’opera di ognuno sarà manifestata, perché il giorno la paleserà; poiché quel giorno ha da apparire qual fuoco; e il fuoco farà la prova di quel che sia l’opera di ciascuno. Se l’opera che uno ha edificata sul fondamento sussiste, egli ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà danno; ma egli stesso sarà salvo, però come attraverso il fuoco».

* * *

Questo brano ha avuto importanza fondamentale per la genesi del purgatorio nel Medioevo, in specie per la citazione del fuoco, considerata letteralmente. Il testo, però, dice: «come attraverso il fuoco» (v. 15). Quindi, il senso è metaforico e non reale. Il purgatorio, prima di essere ritenuto un “luogo” o uno “stato”, fu concepito alla stregua di un “fuoco”. Tornando alle frasi di Paolo, dalle quali i teologi di Roma desumono che l’anima sarebbe purificata nel purgatorio, occorre chiedersi tuttavia se e dove compaiano i termini “purgare” o “purificare”. Piuttosto, Paolo usa la forma verbale greca dokimàsei (“proverà”), futuro di dokimàzo (“esamino, provo, saggio”). Ancora: Paolo afferma che l’opera e non già l’anima sarà provata. Per di più, l’apostolo asserisce che «il fuoco farà la prova di quel che sia l’opera di ciascuno» (v. 13). Se i cattolici continuano a basare l’esistenza del purgatorio da 1Corinzi 3:10-17, allora ci troviamo di fronte ad un’altra contraddizione giacché i preti dicono che non ogni persona passa attraverso il purgatorio: ad esempio, Maria e gli Apostoli costituiscono nobili eccezioni. Siccome, però, Paolo sostiene che l’opera di ciascuno sarà provata, anche Maria e gli Apostoli sarebbero passati per il purgatorio! La realtà è ben diversa: non v’è alcun accenno al purgatorio nelle parole di Paolo, il quale parla di esame, di prova, mai di purificazione, così come intende il dogma per il quale il purgatorio rappresenta uno stato di purificazione e non di prova.

 

TRADIZIONE E MAGISTERO

Priva di agganci biblici, la Chiesa Cattolica ricorre, come al solito, alla Tradizione e al Magistero. La Tradizione è la voce di uomini privi d’ispirazione divina che vissero dalla morte degli apostoli in avanti (cfr. per il dettaglio Enciclopedia Cattolica, X, coll. 333-336). Il Magistero è l’insegnamento autorevole del quale si è autonomamente investita la Chiesa nel corso dei secoli per il quale, in pratica, può definire qualunque dottrina. Quanto al purgatorio, il Concilio di Trento, in data 3-4 dicembre 1563, emise il Decreto sul purgatorio (Decretum de purgatorio): chiusa dunque la questione a livello ufficiale-dogmatico, ma senza uno straccio di prova scritturale.

 

CONCLUSIONE

Nella Bibbia non esiste alcuno stato intermedio di purificazione dell’anime. Questa credenza si basa, da un lato, su una tradizione apocrifa (2Maccabei) e, dall’altro, su insegnamenti esclusivamente umani. Nella Parola di Dio non ricorre mai la distinzione tra peccato mortale e peccato veniale, essendo piuttosto il peccato «la violazione della legge» di Dio (1Gv 3:5); «ogni peccato è iniquità» (1Gv 5:17). Prima di chiudere, occorre chiedersi le ragioni dell’esistenza del purgatorio. Molte possono essere le risposte, ma due ci sembrano le più attendibili:

– esso fu creato per sovvenire al triste pensiero che le anime dei cari morti potessero rimanere prive di aiuto nell’aldilà (di qui nacquero le preghiere per i morti e i suffragi);

– il purgatorio porta con sé un assai notevole guadagno spirituale e materiale per la Chiesa, che detiene in tal modo la gestione dell’aldilà. Ora, siccome la Chiesa stessa non conosce il tempo di espiazione e di purificazione (e come potrebbe, del resto?) necessario a ciascuna anima prima di salire in paradiso, è verosimile che i credenti cattolici continuino a spender denaro per i loro defunti (messe, indulgenze e così via: il giro d’affari è enorme, a pensarci bene) affinché l’anima giunga alla fatidica soglia del paradiso. Ma quando ciò sarà? Nessuno lo sa!

Pertanto alla Chiesa Cattolica, la grande Madre, viene affidato, dalla massa, il potere delle anime, l’amministrazione della salvezza. Purtroppo queste sono le realtà, crude sicuramente, ma esistenti e persistenti grazie all’ignoranza della Bibbia. E, per l’appunto, è molto triste il dover notare quanto gli Italiani siano ignoranti della Parola di Dio, la Bibbia, l’unica fonte di autorità per l’uomo peccatore. Basta una lettura anche superficiale della Bibbia stessa per accorgersi dell’apporto umano che sorregge l’edificio cattolico (e anche quello protestante). Come mille altre dottrine, anche il purgatorio rappresenta in modo visibile lo spettro dell’indifferenza, della disaffezione, del rifiuto o della stortura rispetto alla mirabile dottrina di Cristo, destinata a tutti (al saggio e all’ignorante) dal momento che Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2:4), di quella verità, cioè, preludio della libertà e della salvezza in Cristo Gesù, nostro Signore, che così insegna: «Se perseverate nella mia Parola, siete veramente miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8:31-32).

 

Arrigo Corazza