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IL TERMINE “CRISTIANO”

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Spiace constatare che, in questo mondo, ci si sente cristiani solo per alcuni giorni all’anno, in occasioni di determinate feste religiose, in cui si ritorna a parlare di Gesù e della fede con rinnovato ma transitorio vigore. Poi, tutto ritorna come prima, nel conformismo e nel ritualismo più comune.

 

* * *

 

Oggigiorno la parola “cristiano” ha perso molto del suo valore originario, giungendo addirittura ad essere impiegata come sinonimo di “persona”.

È interessante sapere che il nostro “cretino” proverrebbe dal franco-provenzale crétin, “cristiano”, nel senso di “pover’uomo”, “povero cristo”, “poveraccio” (vedi l’approfondimento dell’Accademia della Crusca: https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/la-complessa-storia-del-termine-cretino/705).

In realtà, molto diverso è il senso che questo bel termine ha nella Parola di Dio. Per di più, è sorprendente notare che, nonostante l’uso fattone nel mondo contemporaneo, nell’intero N.T. “cristiano” viene usato soltanto in tre circostanze. Vediamole.

 

ATTI 11:26

«E fu in Antiochia che per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani». Così recita il celebre testo lucano, che inaugura la breve serie che stiamo prendendo in considerazione. Siamo intorno al 40-44 d.C., dunque ad una decina di anni dalla morte del Maestro. È probabile che il termine venisse coniato per differenziare i credenti in Cristo dai Giudei, che preferivano definirli «setta dei Nazareni» (At 24:5,14; 28:22) con lo scopo di inserire il neonato movimento religioso nelle varie divisioni (o, secondo l’originale greco, “eresie”, da àiresis, “scelta, opzione”) del giudaismo di allora.

È importante capire sotto l’aspetto storico che la nuova terminologia usata dagli esterni alla chiesa dimostra che il cristianesimo viene distinto pubblicamente dal giudaismo.

 

ATTI 26:28

«E Agrippa disse a Paolo: “Per poco non mi persuadi a diventare cristiano”». Questa è la naturale esclamazione del re giudeo dopo aver ascoltato il discorso di Paolo, in procinto di essere tradotto a Roma per comparire dinnanzi al tribunale di Cesare (At 25:11-12). In questo contesto il termine indica chiaramente il “discepolo” di Cristo, che diventa tale dopo attento esame e dopo aver accettato Gesù per quello che egli è: il Messia venuto a chiudere gli interventi di Dio nella storia della salvezza (si noti al riguardo il richiamo di Paolo al re circa la testimonianza profetica).

 

1PIETRO 4:16

«Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida, o ladro, o malfattore, o perché si immischia negli affari altrui; ma se uno soffre come cristiano, non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome». Qui viene semplicemente espressa la necessità di sopportare degnamente le sofferenze patite per il suo nome (del resto, lo stesso Signore aveva profetizzato questo futuro stato di tensione del cristiano: Mt 5:11; Gv 15:20; 2Tm 3:12).

 

ALCUNE CONSIDERAZIONI

Sorprende che il termine “cristiano” ricorra solo tre volte nel N.T., quasi che fosse vocabolo appartato o addirittura privo d’importanza. Occorre invece rimanere assai più sorpresi per l’abuso che dello stesso termine si fa oggi nel mondo religioso. Pertanto, forse mai come oggi, si avverte la necessità di puntualizzare l’effettivo valore dell’essere “cristiano”, in quanto la sconsiderata proliferazione di sette religiose non aiuta chi non conosce la Bibbia ad acquistare la visione giusta per la propria salvezza.

Ma perché oggi e non ieri o domani? Perché la nostra vita è il presente (che segna il battito dell’esistenza in corso) e non il passato (nel quale si pongono i nostri ricordi) o il futuro (verso cui si proiettano le nostre speranze). La vita finisce per tutti, all’improvviso: oggi o domani o chissà quando. Perciò, importante è essere ben preparati ad affrontare un simile fatto, e, sopra ogni cosa, essere convinti di avere operato nella propria vita secondo il volere di Dio, il quale ha provveduto in maniera egregia affinché l’uomo peccatore acquisti coscienza del proprio stato nei suoi confronti.

 

Arrigo Corazza