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LA MÈTA CELESTE

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«Quanto a me, io sto per essere offerto in libazione, e il tempo della mia partenza è giunto. Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione» (2Tm 4:6-8).

* * *

Che cos’è questa vita? Finisce qui oppure continua altrove, nel cosiddetto “aldilà”? Se sì, come sarà l’esistenza ultraterrena? Chi la conduce, e come e dove e quando? Vedremo nell’aldilà i nostri cari, i nostri amici? Quale lingua parleremo? Insomma: che sarà di noi alla fine di quest’esistenza terrena?

 

IL SOGNO DI NICCOLÒ MACHIAVELLI (1469 – 1527)

A Firenze, poco prima di morire, messer Niccolò Machiavelli riferì al gruppo che lo vegliava di un sogno fatto la notte prima. Aveva visto un manipolo di persone malmesse (poveri e macilenti e disgraziati). Incuriosito, chiese chi fossero. Gli fu risposto che essi erano i poveri del mondo, che sostavano nelle gioie del Paradiso promesso (Lc 6:20). Spariti costoro, apparve una moltitudine di personaggi di nobile aspetto, ben vestiti, tra i quali riconobbe Platone, Plutarco, Tacito ed altri famosissimi uomini dell’antichità – proprio quelli che così tanto lo affascinavano al punto tale che, in esilio, giunto a casa dopo i lavori giornalieri in campagna, indossava abiti curiali per poter dialogare nel suo spirito con loro. Ma chi erano costoro? Gli fu detto: «I dannati dell’inferno, che hanno amato la filosofia di questo mondo avverso a Dio». Sparito anche il secondo e più numeroso gruppo, gli venne chiesto con chi desiderasse stare. Rispose di preferire lo stare con i nobili spiriti (seppure in inferno) a dialogare con loro di cose politiche.

Verità o finzione? Sogno o favola? Forse l’ultima burla del grande “Machia”, il lucido pensatore dal ghigno beffardo, l’insigne novellatore? Come che sia, messer Niccolò, il terribile fustigatore dei preti, morì come, alla fin fine, ogni buon Italiano sa e muore: lasciati gli amici, raccoltosi con i suoi, confessati i peccati al fido frate Matteo, spirò il 21 giugno del 1527. Il giorno seguente fu sepolto in Santa Croce, tra gli immortali di Firenze.

 

COME VORREMO CHE FOSSE L’ALDILÀ

Il sogno di messer Niccolò può essere preso a modello per ogni aspettativa nostra circa l’aldilà. Ci piacerebbe che lassù si potesse vivere come viviamo quaggiù (si ricordi la visione che gli antichi avevano degli dèi, nei quali riversavano loro stessi). In tal modo nulla cambierebbe di quel che già facciamo qui. Sorgono alcuni problemi: stando alle fonti bibliche, la vita nell’aldilà sarà completamente diversa da quella che ci aspettiamo; non potremo manipolare l’aldilà, come facciamo con le cose di questa vita (si pensi alla creazione del purgatorio, prodotto umano del XII secolo); da ultimo, in genere, noi non abbiamo idea delle cose ultime, ultraterrene . L’aldilà è quello che è e non ciò che vorremmo fosse: è bene ricordarlo sempre, ad evitare feroci delusioni in quel giorno.

 

IGNORANZA DELLE COSE ULTIME

LA MORTE

Qui da noi è bene non parlarne mai. Non piace a nessuno e viene continuamente esorcizzata (sembra che il corno sia un adattamento cattolico dell’uso pagano di toccare il pene quale antidoto contro la morte, essendo il pene alla fonte della vita; tale uso è rimasto).

IL RITORNO DI CRISTO

Non se ne sente mai parlare perché la gente non ne ha la minima concezione. Per vero, la gente ha già poca conoscenza della prima venuta del Signore, figuriamoci della seconda …

LA FINE DEL MONDO

Se ne è parlato molto alla fine del secondo conflitto mondiale, durante la divisione in due blocchi del mondo, soprattutto per il pericolo nucleare (oggi se ne parla meno, quasi che il pericolo nucleare fosse scomparso … la guerra in Ucraina ha risvegliato il problema ); oppure se ne parla per le ferite inferte alla natura dall’uomo noncurante dei valori ambientali, ma mai circa il ritorno di Cristo. Se non si sa chi è Cristo, che tornerà per mettere fine al presente sistema, come vogliamo che si sappia che ci sarà la fine del mondo?

IL GIUDIZIO

Siccome nella concezione comune non esiste più un peccatore, perché mai dovrebbe esserci un giudizio alla morte? Eppoi chi giudicherebbe? Un dio che non si conosce e che non si ama? Per la gente, nessuno si deve permettere di giudicare nessuno, qui e lassù.

INFERNO, PURGATORIO, PARADISO

L’idea serpeggia grazie al sommo padre della letteratura italiana, Dante Alighieri, alla pubblicità di una nota marca di caffè, al periodo più o meno lungo passato dalla squadra del cuore nelle serie inferiori (“un anno di purgatorio”) … Ma sembra sempre un gioco, un prendersi in giro, concetti sui cui ridere solo per il gusto di ridere. Nessuna riflessione seria e ponderata.

 

IL DISCEPOLO PENSA ALLA VITA ULTRATERRENA

Abbiamo visto che, da un punto di vista meramente umano, ci piacerebbe che la vita ultraterrena fosse solo un prolungamento di quella che già viviamo quaggiù, con le cose e le persone che desideriamo avere, possedere e conservare. Il punto di vista biblico, invece, è diverso: la focalizzazione riguarda unicamente il Regno di Dio, prima durante e dopo la mia conversione, su questa terra e nella realtà affatto nuova che verrà a tempo debito, alla discrezione unica ed assoluta di Dio.

Se sono diventato cristiano secondo il N.T, e dunque discepolo del Signore Gesù Cristo, allora …

  • AMO PENSARE ALLE COSE CELESTI, ALLE COSE DI LASSÙ.

La mia preoccupazione primaria è ora il Regno e la giustizia di Dio («Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più»: Mt 6:33). Quali sono le cose che ci verranno date in più? Quelle di cui il Signore aveva parlato qualche versetto prima, tutte quelle per le quali ci affanniamo inutilmente nel tempo presente (l’ansia per le cose del mondo). Se è vero che noi, in quanto cristiani, cerchiamo il mondo a venire con lo sguardo della fede, e lo gustiamo già qui nella comunione dei santi e del Signore, ciò avviene perché Dio sa prendersi cura di noi, con molto affetto: egli sa di che cosa abbiamo bisogno. Non così i pagani, che avendo ottiche contrarie a quelle dei credenti, fanno diversamente nel mondo e nei loro rapporti con Dio. In Col 3:1-3, l’apostolo Paolo stimola i risuscitati con Cristo a guardare in alto, alla destra di Dio, dove appunto il Cristo siede in posizione di autorità assoluta. Ma perché guardare in alto e non in basso, quaggiù? Perché siamo morti al peccato per innalzarci a novità di vita, la novità della fede nel Figlio di Dio. La nostra vita è ora nascosta in lui, che è la vita nostra. Alla manifestazione del Cristo (parusìa), anche i discepoli suoi saranno manifestati nella gloria. Sulla stessa linea di pensiero è l’autore di Ebrei (12:1ss).

Io amo pensare alle cose celesti perché …

  •  Cristo, il mio Sommo Sacerdote, è in cielo.

Amo pensare alle cose di lassù, perché lassù è il mio Signore e Padrone. In effetti, ciascuno ha il proprio padrone. Ma chi è il mio padrone? Mentre l’uomo è quaggiù, il Cristo è collocato alla destra di Dio (cioè in posizione d’autorità) grazie al suo ruolo sacerdotale verso tutti i peccatori (Eb 1:1-3; 8:12). Troppo spesso noi siamo schiavi delle creature fatte da Dio e non del Creatore stesso. Tutti i miti che ci affascinano durante la nostra vita su questa terra, non hanno alcun valore: essi sono destinati a perire. Non così deve dirsi del Cristo. Solo il Figlio di Dio è morto per i peccatori, e nessun sacrificio degli uomini, per quanto grande, può porsi allo stesso livello.

  • Cristo è la mia vita.

Lo abbiamo già detto: non che cos’è la mia vita, ma chi è la mia vita. E Cristo è la mia vita perché è il Risorto che ha vinto per sempre la morte, e con essa quella paura della morte che rende schiavi gli uomini (Eb 2:14-16). Cristo è vita, non morte. La nostra vita è la vita di Cristo: noi siamo stati crocifissi con Cristo (Gal 2:20-21).

  • non devo desiderare le cose terrene.

Su questa terra non solo la fede non è di tutti (cfr. 2Ts 3:2), ma molti si pregiamo di essere nemici della croce di Cristo (Fil 3:19). La fine di costoro è sicura, dal momento che il loro dio è il ventre, e la loro gloria (per quanto grande sia dal punto di vista umano) è vergogna dinnanzi al Signore, è inversamente proporzionale a ciò che desidera raggiungere. Questa gente, che non vuole conoscere Dio, che non lo ama, anzi che all’occorrenza lo perseguita duramente, ha l’animo alle cose della terra, dove tutto nasce e perisce, nulla si conserva nella bellezza e nell’immortalità (Fil 3:19). Senza l’ausilio e il conforto della fede nel Risorto, la parabola dell’uomo è drammatica, perché priva di sbocco. Nulla che si pensi, si faccia e si dica può vivere al di là del contingente e della memoria. Guai ad amare la ricchezza di questo mondo: «non abbiamo portato nulla nel mondo, e neppure possiamo portarne via nulla; ma avendo di che nutrirci e di che coprirci, saremo di questo contenti. Invece quelli che vogliono arricchire cadono vittime di tentazioni, di inganni e di molti desideri insensati e funesti, che affondano gli uomini nella rovina e nella perdizione. Infatti l’amore del denaro è radice di ogni specie di mali; e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori» (1Tm  6:7-10).

Non devo aspirare alle cose di questo mondo perché…

  • la mia cittadinanza è nei cieli.

Paolo ha scritto Fil 3:20- 21, che è un capolavoro assoluto, una perla preziosa, un sostentamento potente per lo spirito di chi crede. Vi si parla di cittadinanza celeste (greco: polìteuma, solo qui nel N.T., da pòlis, “città”), ma non di cittadinanza umana (sebbene Paolo potesse vantare quella romana, molto ambita e rara ai suoi tempi; si calcola che soltanto il 5-10% degli abitanti dell’Impero, che contava intorno ai 60 milioni, la possedessero, con prerogative particolari che gli altri non avevano, quali evitare la fustigazione e la crocifissione: cfr. quanto Paolo stesso dice in At 16:22ss e in 22:25). I cristiani sono dunque cittadini di un Regno che non è di questo mondo (Gv 18:36). E in questo Regno occorre comportarsi come si deve e si conviene (Fil 1:27). Nel Regno non è possibile disgiungere la fede dalle opere e dalla carità: quel che davvero vale è la fede operante per mezzo della carità (Gal 5:6) Per Paolo, anche nel caso della cittadinanza romana, tutte le cose nobili e forti secondo i canoni del mondo sono nulla rispetto a quelle del Regno di Dio. Inoltre, l’apostolo ribadisce qui la ferma convinzione del ritorno del Signore, convinzione che non dovrebbe mai mancare a chi afferma di credere in Cristo. La vita del credente punta sempre a Gesù.

  •  ho un tesoro nei cieli.

Nei cieli il cristiano ha riposti molti beni: una casa eterna fatta da Dio (2Cor 5:1), un’eredità conservata (1Pt 1:4), tesori per i quali operare (Mt 6:20), un premio per il quale soffrire (Mt 5:11-12), il proprio nome scritto nel libro della vita (Lc 10:20; Eb 12:23; Fil 4:3; Ap 3:5; 17:8; 20:12,15; 21:27; per il concetto vedi Es 32:33). È una vera e propria disgrazia che spesso il cristiano dimentichi quanti beni siano già pronti per lui nei cieli grazie all’opera salvifica del Signore Gesù Cristo. In proposito occorre avere molta più fede di quanta solitamente si abbia.

 

CONCLUSIONI SULLE COSE CELESTI

Tutti i discepoli di Cristo, d’ogni tempo e luogo, aspettano insieme nuovi cieli e nuova terra nei quali abiti la giustizia di Dio (2Pt 3:13; Ap 21:1). Se siamo discepoli di Cristo secondo il N.T., allora sappiamo che ci attendono nuove realtà, del tutto diverse da quelle che ora facciamo nostre grazie soltanto ai nostri sensi umani. Checché ne dicano i più risentiti avversari di Dio, questo mondo un giorno finirà, con tutte le sue gioie (poche) e i suoi dolori (tanti). E ne nascerà un altro, nel quale rifulgerà appieno la gloria di Dio e la sua giustizia, di cui fruiranno in eterno i credenti nel Signore Gesù, il Figlio di Dio.

 

UN BREVE APPUNTO SUL MILLENARISMO

Chi conosce la Parola di Dio e la interpreta secondo la Parola di Dio (l’unico corretto metodo di esegesi che si possa applicare), rifugge da costruzioni fantasiose ed antibibliche quali quelle che prevedono l’instaurarsi del Regno materiale di Cristo su questa terra (destinata invece a perire: cfr. 2Pt 3:12): si tratta del “millenarismo” o “chiliasmo” (dal greco chìlioi, “mille”), una pia (non proprio tanto, talvolta) credenza che ha spesso attraversato pericolosamente la vita e la storia della Chiesa.

Decaduta in Occidente dopo Agostino d’Ippona (V sec. d.C.), essa ha infiammato taluni animi soprattutto in occasione di rivolte di tipo sociale, per diventare infine patrimonio comune nel mondo evangelico/protestante erede della Riforma. L’errore di fondo è ritenere che il Regno debba ancora essere instaurato, quando così non è (cfr. Col 1:13): noi siamo già nel Regno dell’amato Figlio di Dio: la Chiesa è il Regno di Dio, proprio quel Regno che Cristo, alla fine, consegnerà al Padre (1Cor 15:24).

Si dice che la credenza si basi su Ap 20. In realtà, da parte degli studiosi più attenti ed accorti, soprattutto Italiani, è stato fatto notare che Ap 20 intende non già favorire l’ipotesi di un regno terreno, così cara al mondo giudaico, ma piuttosto demolirla. La credenza del millenarismo è in realtà un immenso mosaico di brani biblici, tessuti insieme in modo mirabile ma assolutamente arbitrario. A ben guardare, alla fine Ap 20 ha tutto sommato un ruolo marginale nel millenarismo materialista (invano si cercherebbero in Ap 20 il ritorno di Cristo, la resurrezione dei corpi, il trono di David, la conversione dei Giudei, l’edificazione del regno o la menzione di Gerusalemme).

Al solito, ci troviamo davanti all’antichissimo tentativo, già di Satana (Gn 3:1ss), di far dire a Dio cose che Dio non ha affatto detto, e di far fare all’uomo cose che Dio non vuole che faccia. Occorre vigilare per non farsi togliere dall’uomo l’unico bene rimasto in questo mondo: la Parola di Dio e la sua potenza.

 

Arrigo Corazza (2008)