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L’INCONTRO TRA GESÙ E ZACCHEO

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«Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Un uomo, di nome Zaccheo, il quale era capo dei pubblicani ed era ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non poteva a motivo della folla, perché era piccolo di statura. Allora per vederlo, corse avanti, e salì sopra un sicomoro, perché egli doveva passare per quella via. Quando Gesù giunse in quel luogo, alzati gli occhi, gli disse: “Zaccheo, scendi, presto, perché oggi debbo fermarmi a casa tua”. Egli si affrettò a scendere e lo accolse con gioia. Veduto questo, tutti mormoravano, dicendo: “È andato ad alloggiare in casa di un peccatore!”. Ma Zaccheo si fece avanti e disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo”. Gesù gli disse: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anche questo è figlio d’Abraamo, perché il Figlio dell’uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto”» (Lc 19:1-10)

 

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Scrivo sempre con piacere, ma in questo caso provo una soddisfazione maggiore del solito. Infatti, l’episodio di Lc 19:1-10, dal quale prendo spunto per presentare le mie riflessioni, mi è particolarmente caro, poiché fu per me assai significativo quando mi avvicinai per la prima volta alla Parola di Dio (ne lessi dapprincipio il Vangelo di Luca). Scrissi per la prima volta un breve articolo prendendo spunto da Zaccheo, nel lontano 1984, quando avevo 24 anni e mi ero da poco convertito a Cristo … Ebbene, oggi sono grato a nostro Signore che mi concede di meditare ancora su questo bellissimo brano, per cercare di renderlo proficuo per me e, spero, per altri.

 

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GESÙ PERCORRE LE STRADE DEL MONDO

Se un tempo Gesù attraversava le strade d’Israele fisicamente (Lc 19:1), ora percorre quelle di tutto il mondo tramite l’annuncio del Vangelo, che è compito dei discepoli annunciare (cfr. Mt 28:18-20). E la Bibbia, nonostante tutto il male in cui è immerso questo nostro pianeta, è nondimeno e sempre il libro più diffuso. Pur in mezzo alle più orgogliose e sballate vie umane, a tante false religioni e confessioni pseudocristiane (foriere di una tragica e disorientante confusione), all’immoralità, al neopaganesimo, al materialismo sempre più dilaganti, la Parola di Dio – come scrisse l’Apostolo Pietro – è «incorruttibile», è «vivente», «dura in eterno» (1Pt 1:23). «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno», ha garantito Gesù (Mt 24:35). Il mondo, che lo voglia o meno, è tuttora solcato dal Verbo divino.

 

SE SI VUOLE DAVVERO INCONTRARE GESÙ, SI SA COME FARE

Zaccheo sa per dove deve passare Gesù (Lc 19:4), e ancora oggi, se qualcuno vuole sul serio incontrare il Signore (incontrare lui, non le imitazioni e i camuffamenti del mondo), sa – o è facilmente in grado di capire – dove deve appostarsi per vederlo: davanti alle Sacre Scritture, affidandosi alla Parola scritta che Dio ha voluto lasciarci, quale patrimonio inalterabile di fede, una volta per tutte (cfr. Gd 3). Il primo annuncio è umano (qualcuno esorta altri a considerare il Vangelo, ovviamente nel contesto di tutta la Bibbia), ma la persona che veramente è destinata a credere secondo verità è solo quella che trova il contatto diretto, personale, sentito e profondo con la voce del Signore. Ricordo quando alcuni Samaritani, avvicinati alla fede in Cristo da una donna (che aveva prima di loro incontrato Gesù), dopo aver attinto direttamente alle parole del Maestro, avendo colloquiato con lui, dissero alla loro compaesana: «Non è più a motivo delle tue parole che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che costui è veramente il Cristo, il Salvatore del mondo» (Gv 4:42).

 

ZACCHEO DESIDERA CONOSCERE GESÙ

Non basta sapere che cosa fare: bisogna anche avere la ferma volontà di agire. Zaccheo s’è messo in testa di vedere chi veramente fosse il Signore (Lc 19:3), e questo racconto, al pari di altre parti della Scrittura, conferma il detto di Gesù: «Cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto» (Lc 11:9). «Io ho cercato l’Eterno, ed egli mi ha risposto», recita il Sal 34:4. Lo scopo della nostra vita è la ricerca di Dio (At 17:27), e non intraprendere questa ricerca è un grave peccato, che ci tiene drammaticamente lontani dalla vita eterna (cfr. 2Ts 1:7-10). Se non cerchiamo affatto il Signore, o se diciamo di cercarlo ma non lo facciamo nel luogo in cui lo si può trovare o non lo facciamo con lo spirito giusto, non lamentiamoci se non lo troviamo.

 

ZACCHEO È PICCOLO E PECCATORE

Zaccheo è piccolino e, nella sua bassa statura, mi piace vedere, sotto l’aspetto metaforico, la picco- lezza di ciascuno di noi: quanto siamo tutti meschini, fragili, ignoranti di Dio, e quanto siamo tutto sommato insignificanti finché non l’abbiamo trovato! «Sono piccolo e disprezzato, ma non dimentico i tuoi comandamenti»: così pregava, rivolto all’Eterno, il Salmista (Sal 119:141), e così dobbiamo fare tutti, cercando Dio nonostante la nostra piccolezza e il nostro misero essere. Questa vita è infatti come «un vapore che appare per un po’ di tempo, e poi svanisce» (Gc 4:14); ma, soprattutto, siamo tutti schiacciati dal peccato e «privi della gloria di Dio», finché non troviamo «la redenzione che è in Cristo Gesù» (Rm 3:9.23-24).

 

LA FOLLA È UN IMPEDIMENTO

Fra Gesù e Barabba, la folla scelse di salvare il criminale e, di fronte ai tentativi di Pilato, a più riprese, e con intensità crescente, gridò rispetto a Gesù: «Sia crocifisso!» (Mt 27:15-24). Il Vangelo evidenzia che «tutti» alzarono la voce in tal senso (Mt 27:22) e si assunsero la tragica responsabilità di quell’insana decisione (cfr. Mt 27:25). Non fidiamoci mai della voce della folla, della maggioranza, specialmente in religione. La folla è volubile (non aveva pochi giorni prima, lo folla, accolto entusiasticamente Gesù a Gerusalemme? Mt 21:8-11), incoerente, superficiale, soggetta a emozioni, passioni e pressioni capaci di stravolgere anche l’animo di coloro che poi tanto scellerati non sarebbero. La folla cattura, trasporta e trascina con sé, spesso snaturando e in mille modi sempre condizionando le proprie più o meno coscienti vittime. Non per nulla la legge di Mosé avvertiva: «Non seguirai la maggioranza per fare il male» (Es 23:2), ben conoscendo l’inclinazione dell’uomo in proposito. Al termine di uno dei più profondi e significativi discorsi di Gesù, la gran parte di quelli che fino a quel punto l’avevano seguito si tirò indietro, e il Maestro rimase col suo «piccolo gregge» (Gv 6:66-68; Lc 12:32), perché Gesù è venuto per offrire la salvezza a tutti, popoli e nazioni; ma dalla sua porta stretta (cfr. Mt 7:13) si entra uno per volta.

 

ZACCHEO DEVE FARE UNO SFORZO

Dobbiamo allora arrampicarci – spiritualmente parlando – su qualche sicomoro per vedere quel Ge- sù che (compresso e in buona parte celato da una miriade di persone, istituzioni, teologie, tradizioni e filosofie che da ogni parte lo assalgono e se accaparrano l’immagine distorcendola e strumentalizzandola) rischiamo altrimenti di non conoscere mai personalmente. Per salire sul sicomoro di turno ci è richiesto uno sforzo: «Sforzatevi di entrare la porta stretta», diceva il Signore, precisando che molti, pur cercando di farlo (ma a modo loro, cioè tentando di rimanere ancorati a qualche folla, e ai propri peccati, ai propri interessi, alle proprie idee precostituite) non vi riusciranno (Lc 13:24). Innalzarsi significa iniziare a vedere le cose in modo diverso, da un’altra prospettiva, rinunciando agli orizzonti più abituali, con tutto ciò che ne può conseguire. Per nessuno è facile prendersi le proprie responsabilità spirituali e morali, rinunciare ai propri vizi, alle proprie sicurezze umane, alle proprie idee quando esse non combaciano con quelle del Signore. Ma proprio questo è il ravvedimento secondo il N.T.: metánoia, ossia – secondo il significato del termine greco usato in passi quali Lc 3:8, At 11:18, 20:21; Rm 2:4 e via dicendo – un cambiamento di mente, un rivolgimento completo del nostro modo di essere e di porsi nei confronti di Dio, di noi stessi e del prossimo. E a chi riesce tanto facilmente tutto questo?

 

GESÙ CONOSCE CHI DAVVERO LO CERCA, E LO AIUTA

La folla si manifesta uniforme, è difficile cogliere distinzioni sostanziali con uno sguardo d’insieme. Eppure, anche nel bel mezzo di una marea umana, il Signore individua perfettamente, in un dato momento, chi lo sta genuinamente cercando. Viene alla mente l’episodio di quella povera donna gravemente afflitta da una perdita di sangue da ben dodici anni e ormai vicina alla morte (vedi l’intero contesto in Lc 8:42-48). La poveretta, che aveva speso tutti i suoi beni pagando medici che nulla avevano potuto fare per risanarla, raccolse le sue energie residue, riuscì a farsi faticosamente strada fra la moltitudine che s’era accalcata attorno a Gesù e toccò un lembo della sua veste. Il Maestro se ne accorse subito, domandò chi l’avesse toccato, e Pietro rispose: «Maestro, le folle ti stringono e ti premono e tu dici: “Chi mi ha toccato?”». L’obiezione dell’apostolo era umanamente fondata: che senso ha dire che uno ci ha toccato, quando centinaia di persone ci stanno pigiando da ogni parte? Ma Gesù distingue: fra molti contatti, può essere che ce ne sia uno solo che conta, che cerca realmente guarigione, salvezza. La maggior parte della gente s’accalca per curiosità, senza effettive esigenze di redenzione, o con un approccio personale che mira più a trovare ciò che vuole ottenere piuttosto che ciò che il Figlio di Dio ha da offrire. Quella donna disperata raffigura ogni vero ricercatore di Dio: solo chi si rende conto di essere «travagliato e aggravato» (perché tutti, in un modo o nell’altro, lo siamo) si rivolge con piena fiducia al Cielo, e può ottenere il «riposo» che egli ci promette (Mt 11:28). Torniamo a Zaccheo: Gesù alza gli occhi, gli si rivolge personalmente e si auto-invita a casa sua. Fra tanti – e Gesù lo sa – l’unico che in quel momento è pronto al ravvedimento è lui, proprio lui, il piccolo e tanto disprezzato (come diremo oltre) Zaccheo.

 

ZACCHEO COGLIE L’ATTIMO

Zaccheo non si fa pregare, e scende «in fretta» dal sicomoro (Lc 19:6). Molte motivazioni potrebbero spingerlo a non accettare l’incontro (ciò a cui avrebbe dovuto rinunciare, i cambiamenti che avrebbe dovuto fare, la vergogna, l’umiliazione, l’ostilità delle persone, l’incertezza di un futuro da vivere in modo radicalmente diverso e così via), ma il nostro piccolo eroe è determinato, e non vuole perdere l’occasione. Quante persone ho conosciuto, da quando sono cristiano, che si sono avvicinate molto a Gesù, forse l’hanno toccato, ma poi non hanno accettato l’invito, si sono tirate indietro, hanno esitato perdendo quel treno che può anche non passare più, o che forse non ci troverà così pronti e vicini per prenderlo al volo la prossima volta: «Ecco ora il tempo accettevole, ecco ora il giorno della salvezza», scriveva Paolo (2Cor 6:2). Mi vengono alla mente altri convertiti del N.T.: l’Etiope del brano di At 8:26-39, ad esempio, il quale, dopo aver compreso (grazie all’intervento di Filippo) le profezie che stava leggendo, e dopo aver saputo come fare per entrare nel Regno di Dio, alla prima pozza d’acqua che trovò volle essere battezzato. Oppure il carceriere di Filippi, che poche ore dopo aver conosciuto Paolo e Sila, ed essere rimasto colpito dalla loro testimonianza e dalla loro predicazione, si fece battezzare assieme a quelli di casa sua (At 16:23ss.). Se sei davvero pronto dentro, se sei ravveduto, se hai deciso che la tua vita deve avere una svolta in Gesù Figlio di Dio … non aspettare troppo! Rischieresti di fare la fine del re Agrippa, che dichiarandosi quasi pronto a diventare cristiano, rimase così com’era (At 26:28). E se siamo discepoli bisognosi, per qualche motivo, di ravvedimento, non aspettiamo troppo: anche per noi, infatti, è oggi il giorno in cui dobbiamo fare qualcosa per non compromettere la nostra salvezza!

 

ZACCHEO CONOSCE LA GIOIA DELLO SPIRITO

Rimanendo agli esempi di conversione sopra ricordati, la Scrittura dice che, una volta battezzato, l’Etiope «proseguì il suo cammino pieno di gioia» (At 8:39), e che il carceriere «si rallegrava con tutta la sua famiglia di aver creduto in Dio» (At 16:34). La gioia, la vera letizia, quella promessa da Gesù (Gv 16:20-22), quella che nessuno ci può togliere (perché nasce dall’intesa con Dio, dalla riconciliazione con lui, dalla rigenerazione interiore, dalla coscienza della grazia e della speranza che ne consegue) è ciò che sempre scaturisce dal ravvedimento e dall’ubbidienza alla Parola.

Nel mondo facilmente si esulta per tante cose, alcune buone, altre molto meno, ma comunque tutte passeggere, parziali, caduche. Nessuno può rallegrarsi tanto quanto un discepolo di Gesù: «Rallegratevi del continuo nel Signore; lo ripeto ancora: Rallegratevi» – scriveva Paolo –, il quale, nonostante tutti i tormenti e le difficoltà della sua missione, ben sapeva come la pace di Dio, «che sopravanza ogni intelligenza», sa custodire i nostri cuori e le nostre menti in Cristo Gesù (Fil 4:4.7). Zaccheo, nel giorno iniziale della sua nuova vita, riceve «con gioia» Gesù (Lc 19:6), una gioia che non aveva mai sperimentato prima. Ricordiamoci di quei cristiani che accettarono «con gioia» di essere spogliati dei loro beni, sapendo di avere «beni migliori e permanenti nei cieli» (Eb 10:34). Rinunceremmo ai nostri beni materiali per la fede in Cristo? E, se lo facessimo, riusciremmo a provare gioia per questo, guardando alla ricompensa celeste, la migliore?

 

LA GENTE MORMORA …

Proprio presso di lui, Zaccheo, capo degli odiati pubblicani (Ebrei considerati traditori, esosi e solitamente disonesti esattori delle pesanti imposte per conto degli invasori Romani, soliti ad arricchirsi con usurpazioni e furti più o meno legalizzati) … proprio da lui, fra tutti, deve andare ad alloggiare il Rabbi di Galilea?

Già in Lc 15:2 si dice che i farisei e gli scribi, vedendo che pubblicani e peccatori si accostavano a Gesù per udire la sua predicazione, «mormoravano, dicendo: “Costui [Gesù] accoglie i peccatori e mangia con loro”». Ma Gesù (narrando le parabole della pecora e delle monete smarrite, e quella del figlio prodigo: Lc 15:3ss.) aveva già risposto all’accusa dichiarandosi prontissimo a fare qualunque cosa anche per una sola anima perduta, e soprattutto per le più perdute fra tutte. Non di rado, di fronte a un vero convertito, molti (amici, parenti, colleghi, conoscenti), commentano mormorando, domandandosi come sia possibile che proprio lui possa aver fatto una scelta simile, o perché proprio la sua dovrebbe essere quella giusta, o perché Dio dovrebbe accogliere proprio lui, e via dicendo. Quando Gesù guarì un uomo cieco dalla nascita (l’intero episodio è narrato in Gv 9), costui diede fastidio a molti (genitori compresi) per la sua testimonianza sul Nazareno. Quel pover’uomo era meno ingombrante da malato senza Gesù che da sano con Gesù, al pari dell’indemoniato di Gadara (cfr. Mc 5) …

 

ZACCHEO SI È RAVVEDUTO SUL SERIO

La gente vorrebbe che noi restassimo come siamo, ossia come gli altri, come loro. Chi accoglie veramente Gesù, però, si preoccupa di una sola cosa: essere come lui vuole che siamo. Riconosciamo un ravveduto anche da quella che è la sua principale preoccupazione: piacere a Dio prima che agli uomini (cfr. At 4:19, 5:29). Se si riesce a fare entrambe le cose, tanto meglio, ma ciò riesce di rado. Infatti, Paolo scriveva: «Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo» (Gal 1:10). Questo non toglie che chi si ravvede deve e vuole mettere a posto i propri conti con Dio, con se stesso e, quando possibile, con il prossimo. Zaccheo s’è arricchito disonestamente? Ebbene, la sua decisione è pronta e schietta: «Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho defraudato qualcuno di qualcosa, gli restituirò quattro volte tanto» (Lc 19:8; cfr. Es 22:1). Chi è veramente pentito sa già, di regola, ciò che deve fare, mentre molti dicono di esserlo, ma neppure di fronte alla più netta evidenza delle Scritture porranno rimedio al proprio peccato. Capita spesso di conoscere persone che proclamano la loro fede e la loro conversione, ma pretendono al tempo stesso di continuare a vivere in uno stato illecito (tanto per fare qualche esempio: una convivenza, un rapporto omosessuale, un secondo matrimonio non lecito secondo la legge di Dio – e dunque una condizione di adulterio permanente –, o addirittura la poligamia, o un mestiere disonesto). Costoro sono individui ravveduti solo a parole, perché non intendono rimuovere dalla loro vita ciò che, di fatto, li tiene separati da Dio, e s’illudono di poter ugualmente scampare al suo Giudizio (cfr. Lc 3:7ss.).

 

ZACCHEO DIVIENE DESTINATARIO E FONTE DI SALVEZZA

La redenzione raggiunge la casa del piccolo e detestato pubblicano, che entra a far parte del piano di redenzione preparato da Dio a partire da Abramo (Lc 19:9; Gal 3:27-29). Così facendo, Zaccheo offre (tanto per cominciare) un’opportunità analoga anche alla sua famiglia, ai suoi servi, a tutti quelli che vivono con lui e che, da quel giorno, vedono un genere di vita ben diverso rispetto a prima.

Ponendo in salvo noi stessi, «fiumi di acqua viva» (Gv 7:38) possono sgorgare dal nostro esempio, dalle nostre parole, dalla nostra concreta speranza. Un vero ravveduto è anche, sempre, un vero testimone della fede che lo sospinge, un piccolo-grande monumento vivente del Vangelo, «tempio dello Spirito Santo», pronto a glorificare Dio nel corpo e nello spirito (1Cor 6:19-20). Invitando il giovane predicatore Timoteo a progredire nella fede, a dedicarsi come conviene all’opera di Dio e alla cura della propria anima, Paolo scriveva: « … perché, facendo così, salverai te stesso e coloro che ti ascoltano» (1Tm 4:15-16). Se un discepolo non diffonde la luce del Signore e non sparge il sapore del Vangelo intorno a sé (cfr. Mt 5:13-16) significa che o non s’è mai veramente convertito, o ha smesso di farlo. Entrambe sono lacune da colmare il più presto possibile.

 

CONCLUSIONI

«Perché il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19:10). Questa è la morale della storia: siamo perduti, e solo una vera ricerca del Signore, un vero benvenuto alla sua visita e un radicale mutamento dei nostri empi costumi – costi quel che costi – ci può portare nell’ovile di Dio.

Rivolgendosi agli induriti cuori dei cristiani della comunità di Laodicea (Ap 3:19-21), e dopo averli invitati a ravvedersi, con estrema chiarezza il Signore disse: «Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui, e cenerò con lui ed egli con me. A chi vince concederò̀ di sedere con me sul mio trono».

 

Valerio Marchi (1984)