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L’INCONTRO TRA GESÙ E PILATO

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«Mentre Pilato sedeva in tribunale, la moglie gli mandò a dire: “Non aver nulla a che fare con quel giusto [Gesù], perché oggi ho sofferto molto in sogno per causa sua”» (Mt 27:19).

 

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«Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: “Sei tu il re dei Giudei?». Gesù gli rispose: “Dici questo di tuo, oppure altri te l’hanno detto di me?». Pilato gli rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani; che cosa hai fatto?». Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui”. Allora Pilato gli disse: “Ma dunque, sei tu re?”. Gesù rispose: “Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”. Pilato gli disse: “Che cos’è verità?”. E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: “Io non trovo colpa in lui. Ma voi avete l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il re dei Giudei?”. Allora gridarono di nuovo: “Non costui, ma Barabba!”. Ora, Barabba era un ladrone» (Gv 18:33-40).

 

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«”Per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”. Pilato gli disse: “Che cos’è verità?”».

 

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Compito di Gesù fu testimoniare della verità. La regalità di Gesù è stata al servizio della verità divina, a costo della sua vita, mentre l’ubbidienza di Pilato è stata al servizio della vana verità umana. L’amore del cristiano per il Signore deve essere un valore assoluto. Nella Chiesa e nella vita di tutti i giorni, siamo tanto coraggiosi quanto Gesù nel recare testimonianza alla verità divina?

 

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Fiumi d’inchiostro sono stati versati per analizzare l’incontro tra Pilato e Gesù. Quest’incontro ci sembra il più celebre e importante di tutta la storia umana perché tornano a parlarsi Dio e l’uomo dopo la drammatica cacciata della prima coppia da Eden. Tuttavia, questa volta la situazione è rovesciata: è l’uomo, inconsapevole, che giudica Dio. In questa riunione Dio è rappresentato da Gesù, Adamo ed Eva da Pilato. Gesù è Dio (Gv 1:1), è colui nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della deità (Col 2:9), è la Parola (Logos) di Dio incarnata (Gv 1:1-18); Pilato è Roma in tutto il suo potere assoluto, di vita e di morte – fatte le debite distinzioni storiche con altre forme di autorità che oggi si giovano di una tecnologia militare assai diversa, l’Impero romano è stato forse il più forte che sia mai esistito, se si considerano la sua durata quasi millenaria , la sua estensione e, soprattutto, il suo lascito.

Assiso  sulla sedia curùle (simbolo del potere giudiziario), l’oscuro procuratore di una zona periferica sempre difficile per Roma non immagina di trovarsi al cospetto del creatore dell’universo (Gv 1:1ss), del signore assoluto dell’universo (Ef 1:20-23), del capo sotto il quale sono state raccolte (Ef 1:10; greco: anakephalaiòsastai) tutte le cose tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra (si potrebbe dire che Cristo è il “riassunto” dell’universo intero). Per Pilato il caso del Nazareno è probabilmente più una noia che altro riguardando la religiosità dei Giudei, nella quale non vuole avere parte e della quale capisce poco o nulla. In genere, i Romani erano poco inclini a discutere di cose religiose, che lasciavano volentieri ai filosofi (quanto alla teologia) e ai sacerdoti (quanto ai riti). Il medesimo atteggiamento di Pilato si nota anche nel proconsole Gallione (fratello di Seneca) a Corinto (At 18:16) e nel governatore Porcio Festo a Gerusalemme (At 25:13-27). Al contrario, il procuratore Felice, a Gerusalemme, pare dimostrare interesse per le questioni religiose, anche per il cristianesimo (At 24:22), non sappiamo se solo per incombenze di lavoro.

Si può immaginare l’anda, il tono, il comportamento di Pilato quando chiede a Gesù, che gli pare un miserabile, se davvero sia il re dei Giudei (la scritta in latino INRI, Gesù Nazareno re dei Giudei, farà affiggere sulla croce). Gesù, com’è suo solito, cerca di scavare, pure in quel drammatico frangente, nell’animo del suo interlocutore: lo dice per convinzione o per sentito dire? «Sono io forse Giudeo?»: sprezzante è la risposta di Pilato, che, forse scocciato dal tira e molla, va subito al sodo: «Ma dunque, sei tu re?». Il Signore gli fa capire che il suo regno non è di questo mondo, altrimenti i suoi discepoli lo avrebbero difeso, e che la sua missione consiste nel testimoniare della verità, di ciò che unicamente conta nella vita della creatura umana. Pilato risponde a Gesù esattamente come risponderebbe l’uomo medio della nostra società globalizzata e scaltra: «La verità? Mah, chissà che cos’è verità! Ci sono tantissime verità nel mondo, oggi. L’una vale l’altra». Occorre almeno concedere a Pilato l’attenuante di non avere duemila anni di “cristianesimo” alle spalle. Gesù parla della verità, Pilato di verità. Gesù parla dell’assoluto, Pilato del relativo. Lo scontro è inevitabile e carico di tensione.

 

[Caesarensibu]s Tiberiéum/[Pon]tius Pilatus/[Praef]ectus Iuda[ea]

presso i Cesarensi, Ponzio Pilato, Prefetto di Giudea, [dedicato a] Tiberio

 

Il rappresentante di Roma aveva intenzione di liberare Gesù non avendo trovato in lui alcuna colpa (per quel pochissimo che poteva capire della questione in giudizio) e memore dell’improvviso avvertimento della moglie (rilevante in un mondo pieno di superstizione quale quello greco-romano). Pilato odiava di tutto cuore i Giudei e sarebbe stato estremamente lieto di scontentarli (questo continuo contrasto con i Giudei e i Samaritani lo porterà, però, nel 36 d.C., alla destituzione da parte di Tiberio). Il procuratore (o “prefetto”, come dice l’iscrizione rinvenuta nel 1961 a Cesarea dall’archeologo Frova) aveva capito che glielo avevano consegnato per invidia. Come che fosse, a lui spettava giudicarlo con il corretto discernimento di cui Roma era spesso capace. Ma ci chiediamo a questo punto: perché Pilato non ha liberato Gesù? Sostanzialmente per due ragioni: la prima, evitare rogne con Roma (i Giudei stavano mettendo la questione sul piano politico, cosa che infastidiva in genere e al massimo l’autorità centrale); la seconda perché aveva un’idea della verità diversa da quella propugnata da Gesù, il Figlio di Dio (per lui, invece, un semplice pezzente galileo). Per Pilato non era affatto difficile lavarsi le mani perché un innocente fosse condannato: la “ragione di stato” era più importante e più forte di qualunque giustizia o verità che non fosse quella stabilita dagli uomini che rappresentava. È esattamente quel che succede a molti peccatori, ma a volte anche ai cristiani quando amano la gloria degli uomini più che la gloria di Dio, proprio come facevano molti Giudei (cfr. Gv 12:42-43).

Colpisce, nelle parole di Gesù, la ricorrenza della frase “il mio Regno” (tre volte). C’è di più: Gesù specifica, per due volte, che il suo Regno non è di questo mondo, di quaggiù. Sarebbe preferibile tradurre: “non è da questo mondo, non è da quaggiù”, giacché il Regno è bensì una realtà apparsa nel mondo (e tuttora presente: la Chiesa), ma non segue le logiche sbagliate del mondo.

Compito del Signore fu testimoniare della verità, ossia della rivelazione salvifica di Dio nella sua persona. La regalità di Gesù è stata al servizio della verità divina, a costo della sua vita, mentre l’ubbidienza di Pilato è stata al servizio della “verità” umana, così capricciosa e mutevole nel tempo e nello spazio. A differenza della verità di Dio, quella degli uomini fa sì che gli uomini stessi la servano ma non sino in fondo, non oltre un determinato prezzo da pagare (in certo momenti, tutto diventa relativo). Pilato sapeva bene che Gesù era innocente e cercò di salvarlo, ma non volle pregiudicare la sua posizione oltre il dovuto. Non perché rispettasse i Giudei, ma per non perdere il privilegio di cui godeva presso le autorità romane. Quale grave errore commette il signor prefetto di Roma! La vita di un innocente vale assai più che non i fastidi dal potere.

Il discepolo di Gesù non deve essere come Pilato, ma come il Maestro, che testimoniò sino in fondo dell’amore per la verità: «chiunque è dalla verità ascolta la mia voce» (Gv 18:37). I regni di questo mondo sono sempre disposti a parteggiare per convenienza. Viceversa, l’amore del cristiano per il Signore deve essere un valore assoluto inattaccabile. Il cristiano non è subordinato a nessuno se non al Signore e alla sua regalità. Nella Chiesa di Cristo e nella vita di tutti i giorni, chi si dice “cristiano” è tanto coraggioso quanto lo fu il Signore Gesù nel testimoniare della verità? È pronto a dare il massimo perché la sapienza di Dio, la verità, sia predicata e rispettata?

Da ultimo, occorre dire che proprio dal dialogo di Gv 18:28-40 si capisce che il Signore non avrebbe voluto che si giungesse a fare quel che fece Costantino dal 313 d.C. a favore della Chiesa cattolica per motivi meramente politici. L’errore più grande è stato mischiare il sacro e il profano, consentire l’ingresso della “ragion di stato”, quella stessa che aveva spinto Pilato a crocifiggere il Re dei Giudei, nella vita delle chiese. Sepolta dalla filosofia e dalla teologia umane, la celeberrima distinzione voluta dal Signore fu accantonata («restituite a Cesare quel ch’è di Cesare, e a Dio quel ch’è di Dio»: Mt 22:21).

Si è consumato, così, il tragico matrimonio tra Stato e Chiesa, tra due mondi assolutamente incompatibili tra loro, con tutte le conseguenze storiche che noi Italiani, purtroppo, conosciamo bene. Venuto meno il potere imperiale, il vescovo cattolico presente a Roma seppe abilmente incunearsi nel vuoto politico-amministrativo, non solo colmandolo ma anche ritagliandosi a poco a poco una sempre più consistente fetta di territori, dando vita al Patrimonio di S. Pietro, la forma iniziale del futuro Stato della Chiesa … Ma questa è evidentemente un’altra storia!

 

Arrigo Corazza