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PECCATI MORTALI E VENIALI

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Abbiamo già visto (nell’editoriale L’ibrido mostruoso e il peccato del 2 settembre 2021) come il cattolicesimo si sia preoccupato nel corso del tempo di stratificare il concetto di “peccato” (mortale e veniale). Sarebbe sommamente utile avere una lista aggiornata dei peccati mortali e dei peccati veniali, anche alla luce dei sostanziali cambiamenti avvenuti nella società italiana. Magari qualche peccato mortale di ieri è diventato veniale oggi, e viceversa. Il pretenzioso e sedicente infallibile Papa del cattolicesimo, dovrebbe gentilmente produrre tali liste, in modo da farci capire come stiamo messi. Credo che ci sarebbero parecchie sorprese davvero inaspettate. Insomma: una bella gatta da pelare per coloro che pretendono di scavare anche nell’ultraterreno. Ma, al solito, non se ne farà nulla. La questione sarà accantonata e gli animi più sensibili e protesi verso la vita eterna rimarranno nell’atroce dubbio.

 

NON FREQUENTARE LA MESSA È PECCATO GRAVE, MORTALE

Mi pare che il non frequentare la messa nei giorni di precetto sia peccato mortale. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC 2181) recita così in proposito: «i fedeli sono tenuti a partecipare all’Eucaristia nei giorni di precetto, a meno che siano giustificati da un serio motivo (per esempio, la malattia, la cura dei lattanti o ne siano dispensati dal loro parroco) … coloro che deliberatamente non ottemperano a questo obbligo commettono un peccato grave». In altro momento (2 dicembre 1984) Giovanni Paolo II spiega che un peccato grave è un peccato mortale: «durante l’assemblea sinodale è stata proposta da alcuni padri una distinzione tripartita fra i peccati, che sarebbero da classificare come veniali, gravi, e mortali. La tripartizione potrebbe mettere in luce il fatto che fra i peccati gravi esiste una gradazione. Ma resta sempre vero che la distinzione essenziale e decisiva è fra peccato che distrugge la carità e peccato che non uccide la vita soprannaturale: fra la vita e la morte non si dà via di mezzo … Perciò, il peccato grave si identifica praticamente, nella dottrina e nell’azione pastorale della Chiesa, col peccato mortale» (Reconciliatio et paenitentia, 17).

Ora, chi lo dice al cattolico tradizionalista ateo non frequentante che andrà all’inferno se non frequenta la messa? Certo, non il prete che bellamente se ne infischia – tanto, ai fini pratici, non cambia nulla: per la Chiesa Cattolica ciò che conta è non scoraggiare i fedeli, non provocarli, ma tenerli avvinti grazie alle tradizioni (sempre somministrate a dosi minime, non massicce e non tutte insieme). Poi, bene o male, senza nessuna sorpresa, tutto s’aggiusterà (quale risultato di una metodologia e di un modus operandi ben collaudati da parte delle autorità cattoliche). 

Questo esempio (uno dei tanti che si potrebbero addurre) dimostra l’estrema complessità di suddividere il peccato in mortale (grave) e veniale. Un altro problema che il cattolicesimo si trova ad affrontare è che ormai i buoi (i fedeli) sono usciti dalla stalla e risulta assai difficile riportarli indietro. La Chiesa Cattolica ha allentato le briglie della disciplina e ora sono dolori. Nondimeno, come già detto, essa, che ha una natura perfettamente camaleontica, saprà adattarsi (questo è indubbiamente uno dei suoi punti di forza). Darà alla società e al fedele cattolico ciò che occorre per tenerli a bada e, pian piano, sistemerà le cose. Non cambierà nulla e tutto scorrerà liscio come prima, come sempre.

 

IL PURGATORIO NELLA SOCIETÀ ODIERNA

Da ultimo, pensiamo al purgatorio nella società italiana contemporanea. Gli stessi cattolici sembrano non crederci più. Se ne parla pochissimo, oramai. Eppure, occorre passarvi, se si vuole il paradiso. Ma quanto tempo ci dovremo trattenere nel purgatorio a causa dei nostri eventuali peccati veniali? Chi è deputato a darci una cifra, seppure indicativa? La dottrina del purgatorio, d’origine medievale, è davvero assurda, improponibile, quasi comica (con tutto il rispetto dovuto a una tragedia spirituale del genere). Eppure, sta sempre là, ormai sola soletta, pronta alla bisogna. Nel cattolicesimo non si butta niente, come con la carne del maiale.

 

TUTTI DOBBIAMO COMPARIRE DAVANTI AL TRIBUNALE DI CRISTO

Venendo al mondo delle Chiese di Cristo, la teoria neotestamentaria sul concetto di peccato è chiara e ben compresa dai cristiani. In realtà, anche i cristiani continuano a peccare come tutti; ma il cristiano non può vivere nel peccato: si tratta di due realtà ben diverse. Quando pecchiamo, è richiesto il nostro ravvedimento; vivere nel peccato equivale a rifiutare il ravvedimento e ad essere condannato nel giorno del giudizio. La possibilità non è cosa da poco, non è da prendere alla leggera.

«Siamo dunque sempre pieni di fiducia, e sappiamo che mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore (camminiamo per fede e non per visione); ma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore. Per questo ci sforziamo di essergli graditi, sia che abitiamo nel corpo, sia che ne partiamo. Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male» (2Cor 5:6-10). Dunque, tutti saremo retribuiti per il comportamento avuto durante questa vita: ciascuno individualmente riceverà la sentenza che gli spetta. Il cristiano si affida a Cristo in questa vita perché possa stare con lui anche in quella futura. Ad ogni modo, non si vuole togliere al Signore la sua autorità unica: il giudizio ultimo spetta solo a lui, che saprà il da farsi. Nessun uomo ha potere decisionale circa il giorno del giudizio. Altro che vaneggiare sul purgatorio! 

 

Arrigo Corazza